Grande Guerra, mech “vampirici”, armi forgiate dal demonio. Tutto in un fps, strampalato e ostinatamente classico.
Quando le promesse suonano altisonanti, si sa, il rischio di rimanere delusi è molto elevato, pur senza particolari esplosioni di hype. Nella fattispecie, in NecroVisioN si è cercato di ibridare la struttura degli FPS più “ignoranti”, nello stile fanta-horror di Painkiller, con elementi estrapolati dagli shooter bellici o, semplicemente, dagli action in soggettiva più raffinati in termini di plot. Gli sviluppatori “anziani” dei The Farm 51, d’altronde, provengono quasi in parti uguali dalle esperienze di Medal of Honor:Allied Assault e dell’ammazzasette demoniaco dei People Can Fly. Tra le due “palestre” produttive, la seconda si è dimostrata la più proficua, anche solo per i limiti tecnici che affliggono la parte relativa alla Prima Guerra Mondiale, ma alla fine nemmeno l’accostamento con Painkiller giova più di tanto al lavoro del piccolo studio polacco. Non si può dire, però, che NecroVisioN trascuri chi fa della skill una ragione di vita, e nemmeno i giocatori alla ricerca di ambientazioni sempre più grandiose nell’incedere dei livelli, fino allo scontro con il boss dei boss.
Più di un anno fa, visionai la gran mole di bozzetti preparati da The Farm 51 per personaggi, armi e scenari degli stage più avanzati, e mi ha fatto piacere ritrovare ogni singola idea in uno story-mode piuttosto lungo e articolato (almeno rispetto alla scarsa media vigente): il soldato Simon, protagonista di NecroVisioN, dalle insanguinate trincee della IWW si muove verso il centro della Terra, attraverso il mondo sotterraneo costruito da un’avanzata civiltà vampirica, per approdare allo scontro finale con i demoni dell’Inferno. Al di là del discutibile valore del soggetto, poco serio anche per come viene raccontato, le ambientazioni hanno permesso agli sviluppatori di mettere in scena tutte le feature (pure troppe) che avevano in mente: dal bullet time agli upgrade magici, fino all’uso contemporaneo di armi da fuoco e da taglio… sono davvero innumerevoli i riferimenti ai più famosi FPS degli ultimi dieci anni, per quanto una scelta di questo tipo possa indispettire i giocatori più affamati di innovazione a tutti i livelli.
In NecroVisioN, invece, tutto è già visto, ma una volta che si accettano come “citazioni” gli elementi del gameplay, il titolo presenta lati positivi che comprendono, tra le altre cose, una vasta gamma di strumenti di distruzione: si va dai gingilli d’epoca (realizzati senza eccessiva fedeltà, ma c’era da aspettarselo) alle potenti armi concepite dai vampiri, alcune delle quali di ottima fattura, passando per mech pilotabili e, addirittura, inattese cavalcature dalle connotazioni epiche. In altri ambiti, invece, torna prepotentemente il confronto con le dinamiche del “maestro”: laddove le battaglie con i boss di Painkiller costituivano l’eccezione alla regola, per cui un minimo di cervello era richiesto, in questo caso l’approccio “muscolare” resta assolutamente predominante, con l’unica incombenza di liberarsi dei gregari di contorno per raccogliere punti vita o cariche di mana.
Passando alle annotazioni tecniche, la versione rivista e corretta del Pain Engine mostra le sue migliori qualità negli effetti (che ben collaborano con la fisica di gioco) e nei vasti scenari, mentre il peso degli anni si fa sentire nella definizione poligonale dei modelli: questo limite, in particolare, ha penalizzato la componente estetica degli avversari in forma umana, ovvero i soldati tedeschi e austriaci della Prima Guerra Mondiale, mentre è meno evidente, per ovvie ragioni, nel design delle creature di fantasia. Un discorso analogo si può fare sulla scarsa qualità della IA, visto che a un personaggio “umano” è richiesto, giustamente, un approccio al combattimento meno schematico rispetto a un qualunque mostro digrignante. Questi problemi, a cui aggiungiamo la qualità altalenante degli script, non possono che abbassare la valutazione finale, anche se affliggono “solo” le sezioni di NecroVisioN più vicine agli FPS a sfondo storico, per circa un terzo dell’esperienza. La pesantezza del motore grafico, invece, si fa sentire per tutta la durata del gioco: va detto, però, che una volta raggiunta una ragionevole fluidità, magari agendo sulla risoluzione, il frame rate resta costante anche in presenza di un numero considerevole di nemici, mettendo in mostra le originali attitudini “quantitative” del Pain Engine. Sul fronte della longevità, infine, possono risultare gradite le tante sfide sbloccabili durante l’esperienza in singolo, e pure la dignitosa componente multiplayer, ma dubito che tali aspetti possano essere valutati dai giocatori come veri valori aggiunti, con tutto il ben d’iddio che c’è in giro.