La Seconda Evoluzione undici anni dopo la prima? Alla faccia della maturazione!
Inutile fare finta di nulla: la tanto sventolata “Seconda Evoluzione” che campeggia nel titolo, sa proprio di farsa. Sì, insomma di presa in giro, di bieca manovra. Qui di Evoluzione non c’è proprio nulla… e come potrebbe esserci nel remake di un gioco che è datato 1998? Star Ocean: The Second Story era un gioco di ruolo classico uscito su PSone tanti anni prima di questo Second Evolution ed è tutto rimasto come allora, o quasi. Qualche cambiamento c’è, anzitutto estetico e, in misura minore, a livello di meccaniche, ma è ben poca cosa e restiamo dinanzi a un GdR che al tempo suscitò un minimo di scalpore ma con possibilità vicine allo zero di mietere larghi consensi oggi. Il gioco, sviluppato da Tri-Ace e pubblicato da Enix (quando Enix e Square non si erano ancora unite in matrimonio), è rimasto naturalmente in lingua inglese e resta dedicato a una nicchia di giocatori appassionati di GdR giappo, con una solida conoscenza della lingua anglosassone.
Siamo alle solite: ecco l’ennesimo prodotto preparato per una ristretta cerchia di giocatori, resa ancora più limitata da quella fascia che mastica l’inglese più che bene. E assicuratevi di essere davvero preparati nella materia, perché un dizionario alla mano non può davvero nulla contro la logorrea di protagonisti e comprimari. Qui i dialoghi si sprecano e il ritmo è letteralmente sbriciolato da tonnellate di discorsi, monologhi, chiacchiere, riflessioni, flashback e chi più ne ha più ne metta. Se da un lato ne beneficia la caratterizzazione dei personaggi, dall’altra vi ritroverete presto con il feroce desiderio di strangolare uno dei maledetti eroi, gente che a parlare è sempre pronta e meno a entrare in azione con pochi indugi. Non aiuta neppure la parsimoniosa distribuzione dei punti di salvataggio, obbligandovi di fatto a lunghe sessioni di gioco, dove il salvataggio resta una chimera irraggiungibile. Se tale restrizione poteva avere il suo “fascino” sulla cara vecchia “Plèi” grigia, ora sembra proprio che il giocatore debba subire in silenzio un sopruso bello e buono. Tanto più che siamo in presenza della PSP, di una console tascabile, dove i tempi di gioco dovremmo essere noi a deciderli, non una struttura rigida, vecchia come il cucco.
Quindi, se siete tra coloro che, come il sottoscritto, ha potuto giocare al Second Story originale, traendone pure un’esperienza per lo più divertente e, a tratti, persino esaltante, non avete alcun motivo per tornare a calcare la scena di Second Evolution, se non per un irresistibile sentimento nostalgico. L’avventura è la stessa, la storia (lunga, un po’ farraginosa e sin troppo classica nello svolgimento) non è cambiata. Persino i fondali, apprezzati ai tempi dell’originale, non hanno ricevuto alcun lifting e hanno quell’aria di vecchio e ammuffito. In contrasto con i fondali muffi, trovate i disegni 2D dei personaggi, ridisegnati ad arte con chiaro gusto manga, che stridono con lo stile delle cose che li circondano, accentuando il divario tra i cambiamenti dell’ultima versione e l’originale. Fatto buffo: i nuovi disegni in salsa manga tolgono troppi anni ai protagonisti; Rena, in particolare sembra avere 12 anni, al posto dei suoi 17. E quindi il tono dei dialoghi tende a risentirne. Quindi, tornare all’antichità non ha un gran senso, a meno che siete appassionati dell’ultima ora, desiderosi di farvi una cultura su ciò che è c’è stato di buono nel lontano passato, quando ancora la PSone era la regina dei GdR giapponesi.
Se il tempo si fosse fermato, e se di acqua non ne fosse passata così tanta dal ’98 a oggi sotto il ponte dei GdR made in Japan, si potrebbe dire che Second Evolution possiede pure qualche freccia al suo arco. Il sistema è di quelli complessi e pieni di trovate, dove potete perdervi in un batter d’occhio se non siete avvezzi alla navigazione dei menu giappo style. Gli eroi (tanti e tutti da reclutare) possono cucinare, costruire accessori e distillare pozioni, a patto di avere le giuste abilità e gli ingredienti a disposizione. Sopratutto, alla base di tutto c’è un complesso sistema di relazioni sociali, basate sulle vostre scelte in alcuni cruciali dialoghi e nelle propensione a sfruttare i numerosi siparietti chiamati “Private Actions”, da attivare a piacimento in certe locazioni. Addirittura il livello di amicizia stretto con i comprimari nel corso della lunga avventura, può modificare il finale stesso. E di varianti ce ne sono decine! Comunque, è possibile che lo spessore delle meccaniche e la profondità delle relazioni non basti a farvi superare gli ostacoli di un gioco che non si è rinnovato più di poco, denso di dialoghi superflui e condito da mille incontri casuali. Anche il sistema delle battaglie non è per tutti: a metà tra tempo reale e turni, vi costringerà a dure sessioni di allenamento per districarvi nelle confuse battaglie che in breve vi sembreranno altamente ripetitive.