Okamiden – Recensione

Chibi è un lupacchiotto già svezzato, ma la gente questo non lo sa! [Review]

A poco sono valsi gli sforzi della lupa Amaterasu per riportare la vita e il colore nelle desolate lande di Nippon, insozzate e deturpate dall’intervento mortifero di Yami e Orochi: i demoni sono tornati alla carica e la situazione, a distanza di soli nove mesi, è precipitata un’altra volta. Sakuia, lo “spirito guida” delle campagne di Nippon, decide così di compiere di nuovo il rito per evocare la dea-lupa, ma qualcosa va storto e al posto di Amaterasu si materializza un lupacchiotto bianco dall’aspetto tanto grazioso quanto innocuo. Un lupacchiotto che ha tutta l’aria di essere il figlio della protagonista di Okami, tanto da essere prontamente battezzato “Chibiterasu” (da “Chibi”, che in giapponese significa “piccino”). Essendo ancora un cucciolo, però, Chibi non può contare sui poteri della (supposta) madre Amaterasu, e appare piuttosto confuso e disorientato dalla situazione in cui è venuto, suo malgrado, a trovarsi. Fortunatamente, nel corso dell’avventura Chibi incontrerà dei piccoli alleati che lo aiuteranno a scoprire tutto il suo potenziale, e a portare a termine la missione per cui è stato chiamato sulla Terra.

Nelle premesse narrative di Okamiden, quelle appena descritte, si intravede già la vera natura del gioco, ovvero quella di una rivisitazione in chiave “minimale” del primo Okami. E non ci riferiamo soltanto alla tenera età del protagonista della storia, Chibi, o dei suoi alleati (che sono tutti bambini), ma anche alla struttura stessa, che appare come una sorta di Okami in versione “miniaturizzata”. Le terre di Nippon, per ovvie ragioni, sono state ridimensionate, così come l’avventura in sé, che pur restando di durata ragguardevole (soprattutto per una console portatile), appare meno articolata e complessa di quella che animava il suo predecessore, soprattutto nelle fasi finali, che risultano un tantino “affrettate”. Una condizione che a qualcuno potrebbe suonare come un limite, ma che in realtà può essere considerata come un vanto, se si pensa alla mole e alla ricchezza di contenuti che valorizzavano il primo Okami. Il team di sviluppo, insomma, è riuscito a concentrare l’essenza del “canto del cigno di Clover” in una minuscola cartuccia per DS, e il risultato è, almeno a tratti, davvero sorprendente.

L’idea di piazzare in groppa a Chibiterasu un manipolo di piccoli amici che lo aiutino nelle sue peregrinazioni, difatti, si rivela assolutamente vincente, perché offre lo spunto per la creazione di una serie di enigmi costruiti proprio attorno alle abilità dei vari alleati. Kuninushi (il figlio di Susano e Kushi, due dei personaggi più carismatici di Okami), per esempio, è capace di dare man forte a Chibi durante i combattimenti, assistendolo con la sua spavalderia e il suo spadino di legno, mentre Nanami (una sirena strappata alle grinfie di un gruppo di demoni) torna utile ogni qualvolta il nostro lupacchiotto si trovi di fronte a un corso d’acqua da attraversare o nel quale immergersi, magari per azionare un dispositivo sommerso, ma può anche ricorrere a un getto d’acqua sprizzato dalla sua chioma per spegnere un fuoco che ostruisce il passaggio. Kagura, una giovanissima attrice con un caratterino tutto pepe, è invece in grado di scorgere ponti e passaggi invisibili agli occhi di Chibi, mentre Kurou, un bimbo dall’aria assai familiare, sa spiccare dei balzi prodigiosi, utili per cavare il lupacchiotto dagli impicci in più di un’occasione. E che dire di Manpuku, un giovane dall’appetito insaziabile e dalla pettinatura “esplosiva”? Ogni alleato di Chibi, insomma, rappresenta il trampolino di lancio verso una nuova meccanica di gioco, ed è questa la vera forza di Okamiden, soprattutto quando si parla di battaglie contro i boss, sempre ingegnose e in grado di valorizzare al meglio sia i poteri del Pennello Celestiale che quelli degli alleati.

Il Pennello Celestiale di cui dispone Chibiterasu viene impiegato in maniera non dissimile da quanto accadeva in Okami: un cerchio in mezzo al cielo per far spuntare un bel sole caldo (utile, ad esempio, per rianimare le piante avvizzite), uno scarabocchio nei pressi di un ciliegio morente per far ricrescere le foglie e per far (ri)sbocciare i fiori, una linea orizzontale per tagliare in due una roccia o un tronco e via dicendo. In Okamiden, tuttavia, trovano anche spazio delle tecniche che non erano presenti nel primo episodio, come la “Guida” che consente di indirizzare i movimenti degli alleati di Chibi, tracciando con il pennino la traiettoria che dovranno seguire, il “Magnetismo”, con il quale attrarre o respingere massi e blocchi che ostruiscono la strada, o la cosiddetta “Vine Technique”, una sorta di rappresentazione del legame che unisce Chibi al suo accompagnatore e che si concretizza in un getto di “viti rampicanti” da impiegare nei modi più disparati (per esempio a mo’ di catapulta per sbalzare Chibi da una piattaforma all’altra, sfruttando il compagno come “appiglio”).

A proposito di pennello magico, non si può fare a meno di notare come quest’ultimo abbia finalmente trovato la sua “tavolozza ideale” nel touch screen del DS, visto che tutti gli incantesimi legati alle pennellate di Chibi risultano più piacevoli e “naturali” da mettere in atto. Insomma, Chibi sarà anche un lupacchiotto, ma rimane pur sempre il figlio di una dea. E si vede.