The Witcher 2: Assassins of Kings – Recensione

Il ritorno dello Strigo, in grande stile.

Il gioco di ruolo The Witcher, uscito dalla “penna” dello studio polacco CdProjekt nel 2007, venne salutato da tanti appassionati come uno dei più grandi capolavori del suo genere, almeno per quel che riguardava la “storia videoludica” degli ultimi anni. A contribuire all’ottima fama del titolo ci pensarono anzitutto l’ottima giocabilità, basata su un egual peso dato a esplorazione, combattimenti e dialoghi, ma soprattutto il notevole valore dei contenuti, attestati su una maturità e su una complessità raramente presenti nei prodotti dell’intrattenimento digitale. Ora abbiamo per le mani il nuovo capitolo, The Witcher 2: Assassins of Kings, e dopo averne sperimentato una gran parte ci sentiamo di affermare che si tratta di un altro capolavoro. Come nel primo episodio, anche in The Witcher 2 il giocatore è chiamato a vestire i panni di Geralt di Rivia, un “witcher”, ossia un cacciatore di mostri, frutto di un processo di mutazione atto a renderlo un umano dalle capacità superiori alla media. Sia il protagonista e sia il background, un mondo fantasy medievaleggiante particolarmente ambiguo e “adulto”, sono tratti ancora una volta da una saga letteraria molto popolare nell’est Europa, dovuta al talento del grande scrittore polacco Andrzej Sapkowski, che abbiamo intervistato qualche tempo fa. La storia prende il largo dalla conclusione del primo capitolo, dove Geralt si trovava a difendere il re di Temeria Foltest da un improvviso attacco da parte di un ignoto sicario. Chi si nasconde dietro gli “assassini dei re”? Scoprirlo significa, per Geralt, intraprendere un cammino che apparirà presto assai legato alla vicenda personale dell’eroe, vittima, fin dall’inizio della sua saga digitale, di una incomprensibile quanto inquietante amnesia.

Il primo The Witcher era costruito sul vecchio motore di gioco Aurora, creato da Bioware per Neverwinter Nights. Una delle novità del secondo capitolo è il suo essere basato su un motore completamente nuovo, creato dagli stessi ragazzi di CdProjekt. Geralt ha un’inquadratura fissa dietro le spalle e può essere mosso nel mondo di gioco con i classici tasti WASD, mentre il mouse gestisce la direzione dello sguardo, le interazioni e le mosse di combattimento. Il notevolissimo sistema grafico sarà probabilmente la prima cosa che attirerà la nostra attenzione di molti giocatori: il livello di dettaglio e la direzione artistica sono davvero validi, e le numerose possibilità di configurazione consentono l’adattamento alle macchine più diverse (anche se ovviamente le virtuosistiche opzioni “ultra” rimangono appannaggio dei computer più potenti).

In realtà, ciò che colpisce è soprattutto l’abilità con cui gli sviluppatori hanno contenuto la libertà esplorativa di Geralt senza che questo si sia tradotto in sensazioni di artefatta frustrazione: il motore riesce a evocare amplissimi paesaggi, introducendo al contempo plausibili elementi che limitano il terreno “calpestabile”, così da favorire l’esplorazione senza però renderla il fulcro dell’esperienza di gioco. Una volta superato il tutorial, per forza di cose molto “guidato”, entreremo in contatto con la vera struttura di The Witcher 2: tre capitoli, ciascuno ambientato in una sorta di “mondo” quasi liberamente esplorabile fin dall’inizio e caratterizzato solitamente da un insediamento dove si ricevono le missioni e da territori selvaggi dove queste possono essere completate. Alla semplicità dell’impianto fa da contraltare una ricchezza di contenuti davvero notevole, sia dal punto di vista del puro dipanarsi delle missioni, spesso reciprocamente intrecciate e tutte egualmente importanti, sia dal punto di vista della qualità della scrittura, che si assesta su livelli raramente toccati nel mondo dell’intrattenimento digitale (anche grazie al coraggio degli autori, che spesso affrontano temi scabrosi senza alcuna tentazione di fuga nel “politically correct”). Le conversazioni sono gestite col classico sistema della risposta multipla: talvolta le differenti opzioni sono accompagnate da icone che rimandano alla specifica abilità coinvolta; in rari casi, il giocatore avrà un tempo limite per scegliere la risposta di Geralt. Sarà spesso attraverso le conversazioni che il nostro eroe potrà effettuare scelte destinate a ripercuotersi in tutta l’avventura a venire, anche nei capitoli successivi. Già il tutorial, pur nella sua necessaria limitatezza, può variare notevolmente a seconda delle decisioni prese, e questo naturalmente garantisce a The Witcher 2 – come peraltro accadeva col suo primo capitolo – una notevole rigiocabilità.

Il sistema di combattimento è stato completamente rivisto rispetto a quello dell’episodio precedente: ora le mosse di Geralt possono essere controllate direttamente, secondo modalità che ricordano i giochi d’azione in terza persona. Sono previsti colpi rapidi e colpi lenti e potenti, nonché parate, veloci contrattacchi e spettacolari mosse finali. Questo senza contare che gli scontri col nemico possono essere resi più interessanti dall’uso dei “segni”, ossia degli incantesimi che fanno parte del bagaglio formativo di ogni witcher che si rispetti. Complessivamente, il sistema non manca di spunti interessanti, anche se l’implementazione, come abbiamo già accennato in sede di anteprima, lascia qualche perplessità: molti scontri, soprattutto quelli con più nemici, tendono ad apparire eccessivamente confusi e a lasciare poco spazio per una reale iniziativa tattica da parte del giocatore, senza contare che l’intelligenza artificiale appare molto facilmente “ingannabile” con stratagemmi quali l’allontanamento temporaneo dal campo di battaglia (in attesa che i punti ferita di Geralt si “ricarichino”).

La gestione del personaggio è basata su quattro rami di abilità: l’addestramento (nel quale è obbligatorio investire alcuni punti all’inizio della partita), la spada, i segni e l’alchimia. Per quanto sia possibile creare un eroe specializzato in vari settori, Geralt rimane anzitutto uno spadaccino. Ai livelli di difficoltà più bassi gli altri ambiti del suo sapere (alchimia, segni, trappole e bombe) rimangono simpatici diversivi, che possono essere anche completamente trascurati. Assieme alla schermata delle caratteristiche del personaggio, The Witcher 2 è corredato dalla consueta serie di visuali atte a organizzare al meglio la gestione dell’avventura: inventario e mappa sono abbastanza classici, mentre il diario è forse tra gli elementi meglio riusciti del gioco visto che non si tratta di una semplice lista di missioni ma di un vero e proprio “racconto”, scritto durante l’avventura stessa dal bardo Dandelion, storico compagno di avventure di Geralt. Completa la gestione dell’interfaccia un comodo menu circolare richiamabile tramite il tasto CTRL, indispensabile per attivare la modalità “meditazione”, tramite la quale è possibile creare e in
gurgitare pozioni (non utilizzabili direttamente durante il combattimento), gestire la crescita di livello dell’eroe e far avanzare velocemente il tempo. Nonostante gli evidenti sforzi tesi a migliorarla, non si può dire che l’interfaccia di The Witcher 2 sia perfetta: in alcuni casi si rivela anzi insolitamente macchinosa, tanto da lasciare spazio ai giustificati sospetti di chi la ritiene concepita fin dall’inizio anche in funzione delle levette analogiche dei controller delle console (nonostante The Witcher 2 sia per ora una esclusiva PC).