Resident Evil: Revelations – Recensione

Resident Evil: Revelations

Uscito all’inizio dello scorso anno, in un momento particolarmente felice per il 3DS, Resident Evil: Revelations si è immediatamente fatto notare per una realizzazione di alto profilo: un gioco cupo, un ritorno alle origini per una saga che dal quarto capitolo in avanti ha preso una piega sempre più action e sempre meno survival. Visto il successo ottenuto dall’opera di Koushi Nakanishi e cavalcando l’onda dei remake in HD che tanto di moda sono andati in questa generazione, non era poi così improbabile che il gioco facesse il grande balzo verso l’ambiente casalingo. Del resto il motore grafico, l’MT Framework, era stato già utilizzato in numero apprezzabile di produzioni, compresi gli ultimi Resident Evil. La base c’era insomma, bastava solo intervenire in alcuni punti, ottimizzare la resa visiva, adattare il sistema di controllo, et voilà… ecco servito un nuovo titolo, scaldato a puntino.

Prima di addentrarvi nelle faccende più tecniche, preferisco però parlarvi del gioco in sé, perché questo Revelations ha sicuramente del buono e presenta tutte quelle caratteristiche che hanno fatto la fortuna di questa antesignana saga zombesca. La trama vede coinvolti i membri di una BSAA alle prime armi: la neonata agenzia infatti si muove in un momento storico che precede gli eventi narrati in RE5 e 6, pur potendo già contare fra le sue fila gente come Jill Valentine e Chris Redfield, entrambi veterani (e sopravvissuti) di Raccoon City. Al loro fianco, due patner inediti: Jill si trova a far coppia con Parker Luciani, mezzo inglese e mezzo italiano, una sorta di Richard Benson dei videogiochi. Chris invece ha avuto più fortuna, dato che se ne va in giro con un gran pezzo di figliola, all’anagrafe Jessica Sherawat. Scomparsa l’Umbrella e con Tricell ancora lontana dall’essere un problema, il nuovo nemico si chiama Veltro, un gruppo dedito al bioterrorismo, noto per aver infettato la città di Terragrigia, un’oasi di pace e prosperità, ridotta ormai a un cumulo di macerie per contenere l’ennesima diffusione virale. Per tutta una serie di ragioni, ci troveremo quindi su una nave da crociera nel bel mezzo dell’oceano e non certo per un viaggio di piacere. L’enorme transatlantico, infatti, pullula di creature a dir poco inquietanti, figlie di un nuovo ceppo virale detto T-Abyss, e nel contempo qualcuno a bordo sembra bramare la nostra prematura dipartita. Partiranno così tutta una serie di missioni, suddivise in dodici capitoli, dove, di volta in volta, andremo a controllare i vari protagonisti, con diverse varianti nel mezzo.

Per rendere il gioco meno lineare e più dinamico, Capcom infatti ha inserito molteplici ambientazioni, che esulano dalla Queen Zanobia, la Love Boat degli orrori sulla quale si trovano Jill e Parker fin dall’inizio: non mancheranno infatti diversi flashback e persino momenti in cui andremo a controllare altri personaggi, come Keith Lumley e Quint Cetcham, due (improbabili) agenti della BSAA.

In ogni caso, esattamente come nel quinto e sesto capitolo di RE, sarete sempre affiancati da un compagno controllato dalla IA, non proprio un fulmine di guerra a dirla tutta. Negli scontri a fuoco, l’utilità del nostro fratello d’armi è davvero risibile: non riuscirebbe a uccidere un mostro neanche se disponesse di un bazooka, e nove volte su dieci gira in tondo senza combinare nulla di utile. Non che pretendessi l’Elizabeth di BioShock Infinite o la Ellie di The Last of Us, ma sarebbe ora che Capcom assumesse qualche esperto in intelligenze artificiali, uno bravo magari.

Rimane il fatto che l’esperienza di gioco, tranne in qualche raro caso, è quasi un tuffo nel passato, con tanto di telecamera fissa, porte che si aprono solo con la chiave giusta e oggetti da trovare e quindi combinare con qualche altra diavoleria meccanica. C’è pure un mini-puzzle ricorrente necessario per sbloccare alcune serrature elettroniche: nulla di mostruosamente impegnativo comunque.

Per il resto, il gameplay rimane più votato all’esplorazione che non ai combattimenti e la cosa è in un certo senso amplificata dalla cronica mancanza di proiettili e dai limiti di trasporto degli stessi. Specialmente nelle prime ore di gioco, l’inventario bellico presenta diverse limitazioni, quindi più di un tot di caricatori non è possibile portarsi dietro. Questo si va a sommare alla resistenza media delle orride mutazioni ambulanti, che necessitano di un gran numero di colpi per essere ridotte a una poltiglia disgustosa. A proposito, questi rimasugli andranno poi analizzati con il Genesis, uno scanner biologico portatile, che in Revelations serve principalmente a due scopi: far salire un valore percentuale, legato ai nemici scannerizzati e, in alternativa, trovare oggetti nascosti nelle vicinanze. È una meccanica non proprio meravigliosa, più che tutto perché alla lunga diventa stancante.

La suddivisione in episodi invece è meno drammatica di quel che pensassi: nonostante le dimensioni di ogni missione siano piuttosto contenute, la cosa non pesa in termini di coinvolgimento e, se proprio non si gradiscono i riassunti stile “nelle puntate precedenti”, è sempre possibile saltarli. Meno piacevole invece il backtracking, con il quale invece tocca scendere a patti.

Due parole infine sul sistema di controllo, disponibile sia nella variante sparatutto che in quella classica: nel primo caso potete muovervi e sparare, con telecamera e mirino mappati sugli stick analogici; nel secondo invece si torna nel medioevo, quindi niente movimenti liberi e frustrazione a manetta. C’è a chi piace eh, ma io preferirei sfregarmi gli occhi con il peperoncino piuttosto che giocare così.

In generale comunque la conversione si può dire pienamente riuscita, nonostante le differenza hardware abissali fra 3DS e le console da casa, per non parlare del PC. In particolare è proprio quest’ultima piattaforma a godere dell’edizione migliore, grazie ai 60 fps fissi (anche di più, se lo desiderate) e a una pulizia video estrema, che si avvantaggia di texture oltremodo definite e di un antialias di tipo FXAA, con tre livelli di qualità selezionabili. Non che le versioni Xbox 360 e PS3 siano infinitamente peggio, sia chiaro, il gioco rimane sempre quello, solo a 30 fps e con una definizione generale meno entusiasmante. Per quanto riguarda quella Wii U, non ho avuto modo di testarla, ma da quello che ho visto nella demo, il risultato pare il medesimo, tranne per qualche leggera incertezza del frame rate (stuttering?).

L’adattamento in HD in ogni caso si può dire riuscito e, anche se non siamo di fronte a un titolo da mascella per terra, si difende più che degnamente. In fondo abbiamo visto remake ben peggiori negli ultimi anni, alcuni al limite dell’insulto. C’è però un “ma” ed è grosso quanto il prezzo applicato sulla scatola del gioco: Resident Evil: Revelations infatti è venduto come se fosse un titolo AAA e, spiace per Capcom, non è proprio
questo il caso. Non dico che mi sarei aspettato di trovarlo a 19 euro, ma trovo che i 69 di listino siano davvero esagerati: una via di mezzo a mio avviso sarebbe stata decisamente più conciliante, anche perché stiamo pur sempre parlando di una conversione. Mai come in questo caso, il rapporto qualità prezzo ha il suo peso e scommetto che non saranno pochi quelli che attenderanno tempi migliori per aprire il portafoglio.