Nel 1993 Capcom era ormai maestra incontrastata nella nobile arte del picchiaduro a scorrimento arcade, dopo cinque anni trascorsi iterando in lungo e largo la formula del popolarissimo Final Fight. Gli eroi di Metro City avevano messo a tappeto il contemporaneo Double Dragon 2 di Technos Japan, raccogliendo quindi l’eredità di Yoshihisa Kishimoto che, con il suo Nekketsu Kouha Kunio Kun, aveva posto le basi delle risse da strada binarie. Dalla Camelot di Knights of the Round alla fantascienza di Captain Commando, (passando per licenze come The Punisher o Cadillac and Dinosaurs), la casa di Osaka aveva sfruttato sapientemente quella formula tanto popolare, tenendo testa alle ottime alternative di una Konami particolarmente aggressiva. Ma nel 1993, dicevo, qualcosa cambia. Dungeons & Dragons: Tower of Doom non è l’ennesimo gioco su licenza, ma rappresenta la punta di diamante dell’esperienza accumulata in un lustro di botte videoludiche. Quattro giocatori possono cooperare al fine di annientare il lich Deimos, le tecniche a disposizione dei vari personaggi sono numerose, la narrazione può variare a seconda delle scelte effettuate e ogni eroe ha a disposizione un inventario da cui scegliere oggetti e incantesimi da utilizzare.
La cosa bella è che una simile rivoluzione non è nemmeno merito di Capcom, bensì di Alex Jiminez, un consulente esterno reclutato da James Goddard di Capcom of America per fare da mediatore tra la TSR e il team giapponese. Inizialmente Tower of Doom doveva essere un classico picchiaduro a due pulsanti, ma Alex riuscì a ottenere l’aggiunta dell’inventario, coronando la sua visione iniziale, che vedeva il gioco come un incrocio tra il classico Golden Axe e il lasergame Thayer’s Quest. Quella fu la prima volta in cui le decisioni di Capcom vennero influenzate da un gaijin, e anche per questo Tower of Doom rappresenta una pietra miliare.
Squadra che vince non si cambia, e nel 1996 arriva Shadow Over Mystara, l’inevitabile seguito. Ancora più bello, sfrutta la CPS2 a dovere, con un numero di variazioni notevoli mirate ad incrementare la profondità dell’esperienza, senza trascurare l’immediatezza dell’azione, come ad esempio il sistema di combattimento più dinamico che abbina le mosse speciali a intuitive combinazioni à la Street Fighter 2. Riuscita anche l’introduzione di due nuove classi come il mago e la ladra: il primo è dotato di incantesimi ben più letali di quelli in dotazione all’elfa del primo capitolo (un omaggio alla Deedlit di Record of Lodoss War che la TSR non seppe rifiutare); l’altra è caratterizzata da un inedito doppio salto e dalla possibilità di borseggiare i nemici, aprire forzieri senza usare chiavi o effettuare attacchi critici alle spalle. Anche la varietà dell’avventura viene rivista e corretta, con livelli esplorabili solo avendo una determinata classe nel party e un gran numero di oggetti da raccogliere, alcuni ottenibili solo strappando ai boss determinati reagenti come nel caso della Dragon Slayer, vero flagello di Synn, il nemico finale.
I due giochi vennero convertiti esclusivamente per un ormai moribondo Saturn nel 1996 con alcune concessioni, primo fra tutti il numero di giocatori, ridotto a due per forza di cose. Questo fino ad oggi: Capcom ha incaricato Iron Galaxy Studios di realizzare una compilation scaricabile dei due titoli, e il risultato è sostanzialmente buono. Lo studio americano è ormai abituato a questo genere di collaborazioni, ma con Chronicles of Mystara ha alzato ulteriormente il suo standard, offrendo ai giocatori una massiccia dose di extra sbloccabili, peraltro piuttosto interessanti. Al di là dei flyer arcade dell’epoca – vere opere d’arte firmate da Kinu Nishimura, una delle migliori illustratrici della Capcom che fu – o di bozzetti storici dagli archivi TSR, è possibile mettere le mani su alcune regole da implementare nelle partite per rendere ad esempio gli oggetti indistruttibili o per fare perdere oro al posto dei punti ferita. Queste regole possono essere attivate all’unisono o una alla volta, creando interessanti varianti in grado di svecchiare i due titoli di cui vi ho parlato finora, agli occhi dei veterani.
Anche l’aspetto multigiocatore se la cava molto bene, a patto di trovare compagni: dall’esperienza maturata negli scorsi giorni, la maggior parte dei giocatori pare rivolta a Shadow Over Mystara, trascurando il povero Tower of Doom, ma va detto che è sempre possibile giocare in locale assieme ad altri tre amici, configurazione ideale in cui entrambi i titoli danno veramente il meglio. Per quanto riguarda la grafica, invece, è questione di prospettive, letteralmente. Su un bel cinquanta pollici, a dovuta distanza, scanline e filtri vari riescono a donare un “look catodico” abbastanza convincente agli aficionado delle sale giochi, ma per chi dovrà giocarlo sul monitor del PC, presumibilmente a qualche decina di centimetri dal naso, le alternative offerte dagli Iron Galaxy appaiono piuttosto inadeguate e fanno rimpiangere lo splendido filtro CRT visto nella compilation Final Fight Double Impact.