Quando un titolo è oggetto di un annoso tira e molla sulla sua natura, è sempre molto grande il rischio di trovarsi con in mano qualcosa di indefinito. Ve lo dico subito, ché tanto il voto qui sopra lo avete già sbirciato: The Bureau: XCOM Declassified ha subito le conseguenze di uno sviluppo travagliato e indeciso, col risultato di scontentare un po’ tutti gli appassionati di un genere, piuttosto che di un altro. Eh sì, perché quello che inizialmente avrebbe dovuto essere un FPS è stato trasformato in una sorta di TPS pseudo tattico, un po’ perché gli afecionados della serie, all’epoca dell’annuncio, avevano sollevato un polverone mica da ridere, e un po’ per via del successo di Enemy Unknown, che ha dimostrato come la community sia più legata agli aspetti tattici di XCOM (o X-COM, guardando più indietro), che al resto. Il cambio in corsa non ha giocato a favore di The Bureau: quello che ho avuto modo di giocare è un TPS tattico che non sa né di carne, né di pesce, anche se sarebbe ingiusto bocciarlo in modo definitivo, visto che alcuni aspetti sono comunque al posto giusto, tanto da garantirgli un giudizio più abbondante della sufficienza.
Il nostro alter ego è l’agente William Carter, un uomo dal passato burrascoso, tanto abile ed efficace in combattimento, quanto ombroso e spigoloso nel relazionarsi con gli altri. L’invasione aliena ha luogo negli Anni ’60, quindi scordatevi di avere a vostra disposizione armi sufficientemente potenti da respingere gli schifocosi con facilità, almeno all’inizio. Dopo un incipit roboante, Carter finisce in una base segreta à la Area 51, dove i rimasugli della resistenza umana a stelle e strisce si sono radunati per cercare una soluzione al problema. Qui è possibile gestire alcuni semplici aspetti di briefing, per lo più legati alla tipologia di missioni da compiere (che si tratti di principali o secondarie poco importa), oltre che chiacchierare con questo o quel personaggio. I dialoghi, necessari per la prosecuzione della campagna o per sbloccare qualche sottotrama, si svolgono col tipico sistema a scelte multiple e sono realizzati in modo più che discreto, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto grazie a una scrittura a tratti ispirata, che restituisce in modo intelligente e sottile le atmosfere sci-fi Anni ’60 tipiche, ad esempio, di celebri serie televisive come Ai Confini della Realtà. La decorosa direzione artistica è una delle cose positive di The Bureau: XCOM Declassified: gli sviluppatori sono riusciti a sfruttare in maniera coerente il lore della serie, pur in una collocazione temporale inedita.
I problemi grossi di The Bureau, purtroppo, emergono al momento di mettere mano alle armi. Sia la parte di shooting vera e propria, sia quella più strettamente tattica, richiamano alla mente in modo nemmeno troppo velato quelle di Mass Effect (che – diciamocelo – erano la componente meno riuscita del titolo di BioWare). Con Carter ci sono quasi sempre due colleghi, le cui abilità di classe possono essere attivate attraverso un menu radiale che rallenta l’azione di parecchio (ma non la ferma… ocio!), così da avere il tempo di impartire gli ordini. Una buona parte dei livelli di gioco pulula di coperture, utilizzabili tanto da noi quanto dagli alieni. L’uso primario è quello di evitare colpi critici in campo aperto e di attivare il fantastico giochino degli aggiramenti, reiterato all’infinito nello schema “io ti copro, tu spostati e colpisci da dietro”, interessante i primi momenti, ma riproposto con eccessiva insistenza per tutta la durata della campagna. Che comunque non sarebbe neanche male, se a rompere in parte il giocattolo non intervenisse un’Intelligenza Artificiale dei nostri compagni sostanzialmente deficitaria. Gli uomini sotto il nostro comando, difatti, hanno la capcità di mettersi nei guai ogni tre per due, muovendosi talvolta per la mappa senza una logica di base. In questi frangenti, a poco serve impartire gli ordini di movimento, che vengono eseguiti alla lettera per qualche secondo, salvo poi essere dimenticati in fretta e furia. Un uomo sanguinante a terra deve essere rianimato rapidamente, se non si vuole perderlo in via definitiva: è vero che il gioco mette a disposizione una fucina di soldati, ma è altrettanto vero che alla crescita di livello di ciascuno corrisponde un ventaglio maggiore di abilità a disposizione (ampliabile attraverso un semplice albero di talenti), e non è mai bello perdere un compagno “cappato” perché l’IA ha deciso di comportarsi in modo autolesionista.
Va un po’ meglio quando è lo stesso Carter a fare pulizia. Le dinamiche di shooting funzionicchiano: la differenza tra le varie armi si sente, soprattutto quando si riesce a recuperare quelle aliene più potenti; anche l’aiming è sufficientemente snello da non rendere nervose le sparatorie, anche se non siamo di fronte a nulla di particolarmente raffinato. Peccato solo dover interrompere ogni tanto la scaramuccia per reimpartire ordini dimenticati dai compagni o per salvare loro le chiappe: un fatto che spezza l’azione e trasforma le fasi di shooting in ripetuti singhiozzi.
Anche dal punto di vista tecnico The Bureau fa il compitino. Tendenzialmente, siamo di fronte a un titolo vecchio, che usa l’Unreal Engine 3 in modo basilare, senza infamia e senza lode, anche su PC. Fortunatamente, la buona direzione artistica di cui vi ho riferito poc’anzi riesce a mitigare, almeno parzialmente, l’odore di muffa, senza contare che il frame rate è sufficientemente stabile da non rappresentare mai un problema quando si deve prendere la mira e sparare in scioltezza. Troppo poco, comunque, perché quest’ultimo sforzo di casa 2K Games possa competere con chi, in questo ultimo sussulto generazionale, è invece riuscito a spremere al massimo l’hardware a disposizione.