Rimanere nel cosiddetto blackout mediatico con un titolo come questo è stata davvero un’impresa titanica. La quantità di screenshot e video che ci sono stati propinati in questi mesi è qualcosa che davvero non ha eguali: non proprio una meravigliosa idea se si considera la lunghezza totale dell’esperienza di gioco (intorno alle otto ore, se non trascurate nulla). Killer is Dead, infatti, basa tutto il suo essere sull’ennesima delirante trama partorita da quel pazzoide di Goichi Suda, uno che ci ha abituati nel corso degli anni a tutta una serie di produzioni, una più sbroccata dell’altra. killer7, i due No More Heroes, Lollipop Chainsaw e, per certi versi, Shadow of the Damned, sono indubbiamente i più rappresentativi del folle estro di questo game designer giapponese, capaci di partorire giochi stilisticamente irreprensibili, nonché dotati di una trama più o meno allucinante.
Segni distintivi, questi, che hanno elevato Grasshopper Manufacture a uno status di magnificenza da parte di un vero e proprio zoccolo duro, fatto di appassionati disposti a passare sopra le evidenti lacune tecniche del team, in favore di un’esperienza a dir poco stravagante. Badate, non ho scritto “originale”, perché alla base son sempre action game, benché magistralmente camuffati (bisogna dargliene atto). La cosa che mi ha sempre colpito, al di là del gameplay davvero frenetico e comunque sempre discretamente impegnativo, è l’incredibile fantasia di Suda 51 nel mettere in piedi un teatrino delirante, che trova il suo apice nella caratterizzazione dei vari boss. A dirla tutta, se non fosse per questi scontri spettacolari, i giochi in questione risulterebbero alquanto scialbi, dato che il contorno, spesso e volentieri, sconfina in un mare di mediocrità. Se prendiamo le fasi open world di No More Heroes, tanto per fare un esempio, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Ovviamente lo scopo di queste fasi d’intermezzo (chiamiamole così) è solo quello di incrementare le abilità del personaggio principale a suon di scontri, via via sempre più numerosi e complicati. Insomma è un grinding vero e proprio, inutile girarci attorno.
La formula in questione viene applicata alla lettera anche in questo Killer is Dead, dove il concetto di missioni è ulteriormente espanso: è infatti possibile giocare e rigiocare ogni stage tutte le volte che lo si desidera, anche a diversi livelli di difficoltà. Questo vale tanto per gli obiettivi primari, legati alla storia, tanto per quelli secondari, che generalmente impongo al giocatore di effettuare una serie di prove a tempo, nemmeno tanto banali fra l’altro.
Il gameplay rimane comunque ancorato al più classico concetto di action game stile Metal Gear Rising e Ninja Gaiden: il protagonista, Mondo Zappa, è un sicario davvero sui generis, che se ne va in giro armato di una katana (detta Gekkou) e di un braccio robotico, il Musselback, che funge da arma secondaria. Questo arto è un vero e proprio coltellino svizzero bellico, capace di trasformasi in quattro differenti strumenti di offesa, compresa una sorta di mitra, una trivella e persino un cannone. A dirla tutta, l’unico davvero utile e il Bulletshot, in grado di vomitare un discreto numero di proiettili al secondo, sempre che abbiate pieno l’apposito indicatore. Già, perché ogni attacco è legato una barra, da colmare debitamente combattendo con stile e infilando combo a tutto spiano: in questo modo potremo anche scatenare dei colpi speciali, in grado di aprire un nemico in due senza troppi complimenti (in un oceano di sangue, fra l’altro).
Sembrerebbe uno stile di gioco visto e stravisto, e in effetti non è difficile provare una discreta sensazione di déjà vu mentre si passano a fil di spada tonnellate di bizzarre creature. Non ci sono poi così tante mosse davvero efficaci/efficienti, e anche acquistandone di nuove si ha sempre l’impressione che quelle potenzialmente più letali siano davvero una manciata. Il discorso delle counter, basato sull’anticipare gli attacchi dei nemici, non funziona proprio benissimo, anche perché il più delle volte il sistema tende a bufferizzare la combo in corso, impedendoci di fatto d’interromperla per poter contrastare altre eventuali minacce.
C’è poi tutto il discorso della modalità Gigolò. In queste sezioni occorre osservare e “fotografare” la bellona di turno nel tentativo di riempire la cosiddetta Barra del Coraggio, per poi cercare di conquistarla a suon di regali. Alcuni funzionano meglio di altri e starà a voi intuire quali omaggi porteranno la fanciulla a concedervi le sue grazie. Ogni volta che il nostro Zappa andrà a segno otterrà un’arma aggiuntiva per il suo Musselback e, soprattutto, le scenette di accoppiamento si faranno via via sempre più esplicite. Questo discorso, però, vale solo per timida Koharu e la prorompente Natalia, mentre per rimorchiare Scarlett, la sexy infermiera a cavallo di un grosso siringone (…), toccherà affrontare tutta una serie di arene caratterizzate da prove a difficoltà variabile. Ne vale la pena solo perché in questo modo entreremo in possesso degli occhiali a raggi-X, con i quali spiare le donzelle sotto i vestiti. Utilità del tutto? A parte il pure piacere voyeuristico, è davvero difficile trovare un senso a queste sezioni, ma del resto se volete entrare in possesso di tutte le armi vi toccherà passarvi le tre fanciulle più e più volte. È uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo.
Due parole, infine, sull’aspetto tecnico. Vorrei tanto raccontarvi che gli amici di Grasshopper hanno finalmente imparato a programmare, ma non è così. Killer is Dead è il festival del tearing, del frame rate scostante e non ha mai visto l’antialias nemmeno dipinto. Ha stile da vendere, questo bisogna concederglielo, perché un Unreal Engine usato in questo modo non si era mai visto, però insomma… siamo anche a fine generazione e qualche sforzo in più non avrebbe guastato. Eccellente, invece, la colonna sonora, ma su questo punto Suda 51 non ha mai deluso. È quindi un vero peccato che questo, forse ancora più di altri, ha più il sapore di un esperimento che di un gioco vero e proprio. Fatevi due conti.