Max: The Curse of Brotherhood – Recensione

max the curse of brotherhood
max the curse of brotherhood

Dopo aver terminato (in circa 6/7 ore) Max: The Curse of Brotherhood mi sono chiesto come avrei dovuto approcciare questa recensione. Il pensiero è andato subito a Resogun, perché fa un po’ strano che i fuochi di artificio più luminosi della generazione appena nata siano rappresentati, da una parte e dall’altra, da titoli digitali che non possono competere con quelli tripla A, almeno per quanto riguarda gli investimenti e il marketing. Max: The Curse of Brotherhood, nonostante qualche difetto di cui vi parlerò a breve, è al momento uno dei titoli migliori di Xbox One, e il fatto che sia in uscita nel 2014 anche su Xbox 360 non ne sminuisce di una virgola le qualità. Certo, dal punto di vista tecnico non c’è nulla che odori di next-gen (ma questo vale anche nel caso di Resogun); tuttavia, siamo di fronte a un puzzle-platform garbato, ben pensato e con buone idee sotto la crosta.

Il pretesto narrativo è tra i più semplici e abusati. Max ha un fratello rompiscatole: cosa c’è di meglio che andare su internet e cercare una formula che lo faccia sparire? Il problema sorge quando l’incantesimo funziona per davvero e il fratellino pestifero viene risucchiato in un periglioso mondo di fantasia e rapito da un mostro tutt’altro che amichevole. A Max il compito di rimediare all’errore e recuperarlo, tra mille pericoli e peripezie. La struttura è quella dei classici platform in 2,5D (motore in treddì, ma movimenti vincolati su un piano bidimensionale) e ricorda nemmeno tanto velatamente quanto già visto in titoli come LIMBO o Trine. Al nostro eroe, livello dopo livello, vengono donati alcuni poteri speciali, da azionare attraverso l’unico oggetto in suo possesso, ovvero… un pennarello. Questo diventa utile per modificare l’ambiente, ad esempio disegnando colonne di terra, liane, rami, getti d’acqua o financo palle di fuoco. Per attivare un potere è sufficiente tenere premuto il grilletto destro del pad, così da estrarre il pennarello e muoverlo all’uopo con l’analogico sinistro. All’inizio il sistema di controllo sembra farraginoso, ma ci si mette davvero poco a entrare “in fase” e a prendere la giusta confidenza.

Non sembra LIMBO?
Non vi sembra LIMBO?

Ovviamente, i poteri “in mano” a Max non possono essere esercitati ovunque, ma solo in punti determinati dello scenario. Più che un limite, questa scelta di design è la chiave di volta che rende The Curse of Brotherhood un titolo accessibile a tutti, seppur non banale in svariati passaggi. Gli enigmi sono per lo più interessanti e richiedono di assumere un minimo di spermuta di cervello (tranne nelle fasi di tutorial, laddove si prosegue senza la minima fatica), in particolare se fate parte di quel sottogruppo di completisti indefessi che vuole raccogliere ogni collezionabile. Seppur sufficientemente adrenaliniche da tenere alta la tensione, meno riuscite paiono alcune sezioni in tipico stile “running game”, laddove il trial & error è a tratti portato all’eccesso e può essere foriero di frustrazione per i videogiocatori meno pazienti. Paradossalmente, il momento più debole di The Curse of Brotherhood è sul finale, quando gli enigmi proposti coinvolgono tutti i poteri del pennarello, e non solo un paio. La fase calante culmina in un boss finalr tra i più brutti e insulsi che abbia mai visto, infarcito di dinamiche rotte e perfino buggato, tanto che ho dovuto ricominciarlo da zero perché il piccolo Max mi moriva in continuazione, senza che potessi fare nulla per impedirlo.

Al netto della stanca finale, del boss osceno e di altre piccole cosine, The Curse of Brotherhood diverte parecchio e offre non pochi spunti originali nel level design. Il gioco, poi, è un piccolo gioiellino di stile, se parliamo di direzione artistica. Gli scenari sono ottimi e ben dipinti, grazie a un tratto capace di differenziare in modo netto i livelli, pur mantenendo una coerente visione d’insieme. Max sembra una versione più piccola e buona di Syndrome degli Incredibili e riesce a suscitare quella giusta empatia che aggiunge una discreta dose di sfizio al prosieguo dell’avventura, grazie anche ad alcune brevi, ma ben realizzate cutscene. Mettiamola così: se avete speso il botto di soldi che serve per acquistare una Xbox One e poi tenete il braccino corto per risparmiare i 15 euro di The Curse of Brotherhood, beh… questa non sarebbe tra le cinque scelte più furbe del Natale.