Un Batman non sviluppato da Rocksteady? Apriti cielo! Questa è stata la prima reazione di molti all’annuncio che Arkham Origins sarebbe stato il frutto del lavoro di Warner Montreal, e non del talentuoso studio britannico. Chi ha storto il naso fino a oggi è ora che si ricreda: questo è un gran bel gioco. Certo, per alcuni aspetti un filo sotto le magnificenze del titolo che lo ha preceduto, ma comunque capace di calmare la sete di tutti i fan della serie, in attesa che Rocksteady ci faccia sapere ufficialmente cosa sta combinando (Batman next-gen anyhow?).
Ovviamente, un brand così importante non si lascia in mano ai primi che passano per strada. E altrettanto ovviamente, un brand così importante impone una supervisione feroce da parte dei suoi genitori. Ecco perché Rocksteady ha comunque tenuto più di un occhio su quanto svolto da Warner, ed ecco perché non era lecito attendersi grandi stravolgimenti. Arkham Origins è, a tutti gli effetti, più un Arkham City 1.5 che un seguito fatto e finito. E anche parlare di seguito è improprio, visto che siamo al cospetto di un prequel, che ci mette nei panni di un Batman se non alle prime armi, almeno alle seconde. L’Arkham City che abbiamo conosciuto nel 2011 è ancora da venire e il nostro eroe mascherato ha preso servizio in pianta stabile da solo due anni, tanto che è proprio durante le vicende di Origins che Batman fa la conoscenza di alcuni dei suoi più acerrimi nemici, tra cui il Joker. Tutta l’avventura si svolge in una fredda notte di Natale, con Batman impegnato a sgominare una serie di cattivoni, assoldati da Maschera Nera proprio per eliminare il nostro vigilante in erba, prima che la sua voglia di giustizia percorra troppa strada. Bastano un paio d’ore di gioco per scoprire che la verità non è quella che appare all’inizio. Ad esempio… lo sapevate che Babbo Natale esiste? A Gotham va in giro vestito di nero e a cavalcioni di un batwing.
ARKHAM CITYGINS
Detto dei prodromi narrativi, sui quali non mi dilungo oltre per non rischiare spoiler inopportuni, vediamo di capire cosa c’è di buono in Arkham Origins e cosa di dimenticabile. Il primo fatto positivo è che si respira aria di Arkham City un po’ ovunque, il che – a mio modo di vedere – è solo un gran bene. Chi ha giocato in lungo e in largo lo scorso capitolo si troverà subito a casa, sia per quanto riguarda l’interfaccia, sia per quanto concerne l’esplorazione della mappa. Anche il sistema di combattimento Freeflow è stato preso paro paro da City, ché non c’era mica bisogno di toccarlo, tanto già era buono di suo (a tal proposito, mi ha fatto molto ridere la frecciatina ad Assassin’s Creed da parte dello scagnozzo di un cattivo, che esorta i compagni a menare Batman tutti assieme, e non uno alla volta). La città ha una toponomastica ben definita ed è divisa in due da un lungo ponte. Nonostante la mappa sia sostanzialmente diversa, non è difficile scorgere luoghi noti, che chi ha giocato ad Arkham City non faticherà a riconoscere. Ugualmente, tutta la superficie esplorabile è tappezzata di faccende che riguardano l’Enigmista e che rappresentano il consueto “gioco nel gioco”, capaci come sono di spezzare l’avventura con un “divertissement” innescato anche dalla semplice esplorazione. A voler ben vedere, al di là di qualche gadget secondario, l’unica grande novità è rappresentata dalle sezioni chiamate Scena del Crimine, nelle quali Batman deve analizzare il luogo di un delitto e ricostruire l’accaduto. L’indagine avviene più o meno come nei Remix di Remember Me: mano a mano che gli indizi vengono raccolti si riempie una barra temporale che può essere percorsa avanti e indietro, fino alla scoperta dell’indizio successivo. Questa nuova modalità – va detto – funziona bene ed è molto divertente, ma interviene solo sporadicamente nel corso dell’avventura e non stravolge in alcun modo il costrutto generale, solidamente ancorato a quello di Arkham City con un patto che più di sangue non si può.
La stragrande maggioranza dei gadget visti in passato sono a disposizione di Batman fin da subito. Questo non significa che Arkham Origins non sia caratterizzato da un sistema di progressione ben definito, legato tipicamente all’accumulo di XP. I punti esperienza possono essere accumulati in vari modi, ma principalmente combattendo in modo pulito e portando a compimento alcuni obiettivi particolari, elencati in una sezione del menu di gioco chiamata Sistema Cavaliere Oscuro. Ugualmente, è corposa anche la parte dedicata agli upgrade veri e propri, raccolti sotto la dicitura Waynetech. Questi sono suddivisi in tre categorie: gli upgrade Mischia aumentano le possibilità in combattimento, aggiungendo scudi o combo nuove; gli upgrade Predatore Invisibile sbloccano tutto quello che fa stealth, come ad esempio la possibilità di effettuare un KO da una corda; infine, gli upgrade Ausiliari rappresentano il sottoinsieme “di tutto un po’”, come l’Amplificatore di Raggio Crittografico, utile per hackerare i dispositivi più distanti. Come nei precedenti capitoli della serie, quindi, al giocatore viene lasciata la scelta di migliorare le prestazioni dell’Uomo Pipistrello secondo le proprie inclinazioni, visto che molte situazioni di gioco possono essere affrontate con approcci totalmente diversi.
CAVALIERI SMASCHERATI
Personalmente, ritengo Batman: Arkham City uno dei migliori titoli della generazione che si sta chiudendo, e quindi non posso non evidenziare alcune sottili differenze che posizionano Arkham Origins un gradino sotto il suo predecessore. La trama, per dire, è interessante e ben sviluppata, ma di tanto in tanto perde quella tensione narrativa che Arkham City riusciva a tenere sopra una certa soglia per tutta la durata dell’avventura, persino nelle sidequest. Anche le fasi di esplorazione in free-roaming, nonostante restino eccellenti e molto spettacolari da vedere, sono talvolta condizionate da punti di lock del rampino non posizionati secondo logica, visto che ci sono zone in cui non ci si può proprio aggrappare, anche se la logica suggerirebbe di sì. Infine, resta solo minimamente abbozzata la componente umana di Bruce Wayne, sopravanzata con fin troppo impeto dal piglio del vigilante senza macchia né paura. Questo, certo, era un limite anche dei precedenti capitoli griffati Rocksteady, ma in Arkham Origins è ancora più spinto all’eccesso.
Un punto a favore di Arkham Origins è la presenza di una modalità multiplayer, peraltro ben strutturata e interessante. Il gioco online, sviluppato a parte da Splash Damage, prevede la presenza di due fazioni di scagnozzi, legate una a Joker e l’altra a Bane. In questo scenario tipico, alcuni giocatori possono vestire i panni del terzo incomodo, giocando come Batman o Robin e ingaggiando entrambi i gruppi di cattivi, possibilmente restando il più a lungo invisibili. Per quello che ho potuto vedere, il threesome funziona bene e può garantire divertimento a lungo termine, grazie anche a un sistema di leveling che pare ben equilibrato. Purtroppo, al momento in cui scrivo i server sono ancora pressoché deserti e ho potuto fare solo un paio di match con qualche collega d’oltralpe. Ergo, il giudizio sul multiplayer è da rimandare la momento in cui tutto sarà a regime.
E VIENI IN UNA GROTTA
Arkham Origins è il fratellastro di Arkham City anche dal punto di vista tecnico. La rappresentazione della città e dei suoi “dungeon” è talmente simile che in un confronto all’americana i due titoli sono graficamente indistinguibili, almeno per coloro che non li hanno mai presi in mano. Di diverso c’è che in Arkham Origins nevischia, fa un freddo boia e la città non è ancora quell’estensione del manicomio che fungeva da scenario perfetto per Arkham City. Questioni di look, certo, anche se la direzione artistica è la medesima, tanto che ho il sospetto che il lavoro di Warner sia stato fortemente agevolato dal passaggio di molti asset da parte di Rocksteady. Anche dal punto di vista delle prestazioni, Arkham Origins si comporta esattamente come il titolo che lo ha preceduto. Nelle fasi di volo e planata si nota qualche incertezza di troppo a livello di frame rate (un po’ di più su PS3 che su Xbox 360), ma nulla che disturbi eccessivamente il giocare. Quando serve davvero, il frame rate di Arkham Origins è costante e non perde un colpo.
Parliamo infine di doppiaggio. Le voci sono quelle dei soliti noti: l’inossidabile Marco Balzarotti presta l’ugola all’Uomo Pipistrello, mentre il Joker è sempre faccenda dell’istrionico Riccardo Peroni. Il lavoro è svolto egregiamente e – a questo giro – al passo con la versione anglosassone, visto che il pazzesco duo Kevin Conroy/Mark Hamill di Arkham City è stato sostituito da uno meno ispirato, composto dai semisconosciuti Roger Craig Smith e Troy Baker (anche se Ron Perlman nei panni di Deathstroke è roba da pelle d’oca, tanto che il pur buon Claudio Moneta non riesce proprio a stargli dietro). Manca, purtroppo, una voce femminile di spicco, complice l’assenza di una co-protagonista d’effetto come è stata la Catwoman di Arkham City, ma non si può certo avere tutto dalla vita.