Da un team specializzato in sparatutto (vedi alla voce Blacklight: Retribution, oppure alla serie Spec Ops) come Zombie Studios, non ti aspetteresti un survival horror così, dove di armi non se ne vedono manco con il binocolo. Daylight, a modo suo, deve molto a produzioni come Outlast e Amnesia, con le quali condivide la visuale in prima persona, un protagonista disarmato e la conseguente, quanto angosciante, sensazione di essere perennemente seguiti da qualche entità maligna. E in effetti in questo gioco è proprio così, almeno per buona parte del tempo: con la generazione degli spettri sempre alle capcagna, è sufficiente spostare lo sguardo di lato o girarsi di scatto per intravedere qualche orribile volto o un agghiacciante essere umanoide, che sembra pronto a ghermirci e a trascinarci all’inferno. In pratica è un incubo ambulante, che si fa forza della più grande delle paure dell’uomo, il buio.
Già, perché la nostra protagonista, Sarah, dovrà andarsene in giro per questo labirintico ospedale maledetto munita solo di una manciata di oggetti. Quello più evidente è lo smartphone, che oltre a fare da bussola e a illuminare (parzialmente) il cammino, permetterà di orientarsi negli intricati livelli, anche grazie all’utilissima e imprescindibile mappa. Le barrette luminose avranno invece la fondamentale funzione di evidenziare le cosiddette Reminiscenze, ricordi di eventi (comunque criptici e frammentari) relativi alla storia della struttura. L’inventario si conclude con i bengala, utilissimi per allontanare le presenze e le visioni che ci terranno amichevolmente compagnia per tutto lo svolgimento della storia. Come da copione, i due elementi sopracitati saranno disponibili in quantità assai limitata e dovranno essere utilizzati con parsimonia. Certo, tutto molto facile in teoria, ma quando hai l’incarnazione del male che ti corre dietro, c’è ben poco da stare sereni.

In ogni caso, l’idea dei livelli procedurali non deve trarre troppo in inganno, con il loro impatto appena discreto sulla longevità. È possibile arrivare ai titoli finali nel giro di quattro ore (anche meno, se siete avvezzi al genere), sufficienti fra l’altro a togliere i veli dalla storia principale. Dopo di che, ricominciare tutto da capo è solo una questione di gusti personali o, più probabilmente, un qualcosa legato allo sblocco dei vari trofei/achievement. A quel punto entra in gioco una casualità della mappa che effettivamente aggiunge un pizzico di sfida e rende l’esperienza meno monotona, almeno in teoria. Questione di punti di vista: se il game design è ben strutturato, anche un secondo giro può essere interessante e appagante. Certo, Daylight ha dalla sua un’atmosfera molto intensa, anche grazie a una serie di effetti sonori decisamente inquietanti e al buon utilizzo dell’audio posizionale, veicolo di suoni di lynchiana memoria.
Delude quindi un po’ la scarsa interattività di Sarah con l’ambiente. Tolte le Reminiscenze, l’interazione è limitata a qualche porta/cassetto da aprire, una manciata di casse da spostare e poco altro. Non aspettatevi nulla di paragonabile a Outlast o Amnesia: non sono presenti enigmi ambientali simili e neppure forme di difesa preventiva, come piazzare un armadio davanti a una porta. Insomma, bisogna accontentarsi di quel che c’è..

Di base siamo di fronte a un survival horror che riesce nel suo intento principale, quello cioè di terrorizzare il giocatore e, soprattutto, tenerlo sempre sulle spine. Sotto questo punto di vista, Zombie Studios ha fatto un lavoro apprezzabile, forte anche di un motore grafico nuovo di zecca: parliamo dell’Unreal Engine 4, che di certo fa il suo sporco lavoro, anche se difficilmente farà entrare Daylight nell’olimpo dei titoli tecnicamente più sofisticati di sempre. Di sicuro, pur apprezzando le armosfere visive di Daylight, dovremo attendere titoli dal budget ben superiore per assaporare la vera potenza del nuovo rampollo di Epic Games.