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La storia spesso insegna che errare è umano, ma perseverare rischia di diventare un fatto diabolico. Il mondo dei videogiochi rappresenta la quintessenza di questa solenne verità: tra i videogiochi su licenza ce ne sono alcuni che emergono per intelligenza e voglia di stupire, ma è indubbio come la maggior parte di essi raschi il fondo di un barile ormai consumato. Transformers: Rise of the Dark Spark, giusto per essere chiari fin dall’inizio, non assomiglia per niente a uno qualsiasi dei Batman di Rocksteady, ma entra di diritto nella categoria dei titoli che vogliono sfruttare al massimo il marchio che portano in copertina, magari cavalcando l’onda del quarto film dedicato agli Autobot, che a breve troveremo nelle sale italiane. La classica operazione al risparmio, insomma, che però avrebbe potuto avere un epilogo differente da quello infame che ci troviamo tra le mani, considerando che alcuni dei videogiochi della serie griffata Activision (per lo più quelli a opera di High Moon Studios) si erano rivelati ben più che decorosi.
Cominciamo col dire che la storia è un guazzabuglio di circostanze, che incrocia in modo improprio le strade ludiche e cinematografiche del brand: Autobot e Decepticon lottano per il possesso di un potente artefatto (la Dark Spark, per l’appunto) dall’inizio alla fine del gioco, in un susseguirsi di sparatorie senza fine e lungo quindici livelli che alternano tipici canaloni a piccole arene. Al giocatore viene demandato il compito di alternarsi nel controllo di buoni e cattivi, cercando di sfruttare al meglio le caratteristiche di ciascun personaggio. Purtroppo, già dopo una manciata di minuti si capisce dove va a parare Rise of the Dark Spark, che non fa alto che proporre in sequela un’azione in terza persona composta da coperture e sparatorie, nonché condita da una banalità quasi disarmante nel suo incedere e da un’intelligenza artificiale ben al di sotto del minimo sindacale, con nemici che si prestano a fare da carne da macello o tentano inutilmente di ripararsi in modo meccanico dietro a qualche riparo (salvo poi riportarsi comodamente proprio sulla nostra linea di fuoco).

A donare un minimo di varietà potrebbero intervenire le abilità dei singoli robot: ognuna di esse stupisce e funziona al primo utilizzo, ma già al secondo viene voglia di mollare il colpo e lasciare che siano le sole armi ad aprirci la strada. Poco fanno anche gli oggetti consumabili e gli innesti cibernetici: i primi forniscono buff temporanei per lo più poco pratici nel caos che contraddistingue ogni sparatoria, mentre i secondi modificano in negativo la percentuale del drop di munizioni o di salute, così da sacrificare qualcosa sull’altare degli XP guadagnati. Qualche personaggio, ovviamente, ha la possibilità di cambiare forma e trasformarsi in un auto o in un velivolo, ma anche in questo caso il sistema di controllo è deficitario e nulla di davvero interessante viene aggiunto all’esperienza ludica, se non un botto di frustrazione dovuta all’imprecisione delle manovre.
Infine, il comparto tecnico è talmente imbarazzante che sarebbe quasi inutile infierire in ulteriori commenti: Transformers: Rise of the Dark Spark sembra uscito dal calderone dei tie-in di un paio di generazioni fa, con texture ripetute all’infinito per creare superfici piatte e, più in generale, una resa visiva d’altri tempi. Peraltro, cotanta tristezza si è persino permessa di perdere frame per strada su un PC carrozzato con un i5 da 3,00 GHz, 8 GB di RAM e una Radeon 7850HD in appoggio (capisco non sia un sistema di ultimo pelo, però suvvia…). Si salva in parte il multiplayer, confinato però alla sola modalità Esacalation, ovvero un’orda tutto sommato divertente e che può regalare mezza serata di spensieratezza, ma giusto mezza. Troppo poco perché Transformers: Rise of the Dark Spark di Activision possa apparire appetibile anche ai fan più sfegatati della celebre saga.