Difficile non farsi prendere dall’entusiasmo quando l’oggetto della discussione è Zelda, un brand che è sempre stato in grado di catturare l’attenzione di grandi e piccini, di giocatori affermati e di sporadici curiosi, di fan sfegatati del marchio Nintendo e di coloro che quel marchio l’hanno spesso guardato con compassato distacco. La serie si è sempre distinta per la capacità di proporre fattori comuni e funzionali a far “sentire a casa” i fan, affiancandoli a novità talvolta specifiche di un singolo capitolo, talvolta invece sufficientemente importanti da segnare il passo e trasformarsi in elementi poi sfruttati a più riprese. Da questo punto di vista, The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D (riedizione per 3DS dell’omonimo capitolo uscito all’inizio del millennio su Nintendo 64) può essere considerato quasi una mosca bianca, nonostante l’evidente parentela con Ocarina of Time, che per primo aveva portato la serie in un mondo completamente tridimensionale, con tutto quello che ciò comporta a livello di gameplay. Ma andiamo con ordine.
CHI HA TEMPO NON ASPETTI TEMPO
Ci troviamo nel mondo di Termina, e non più in quel di Hyrule, che fa da teatro solo ai primissimi secondi di gioco. Il nostro Link sta cavalcando nel bosco alla ricerca di Navi (la fata che lo ha accompagnato durante Ocarina of Time), ma finisce presto oggetto di una maledizione per colpa di Skull Kid, un infingardo esserino che ha avuto la pessima idea di rubare una maschera magica a un venditore. La maschera in questione è proprio quella di Majora (l’avreste mai detto, eh?), che deve essere recuperata quanto prima, perché Skull Kid ha tutta l’intenzione di usarne gli enormi poteri per far cadere la luna sul mondo di Termina. Per farlo il nostro Link deve dapprima riprendere le sue sembianze – visto che la maledizione l’ha trasformato in un legnoso Deku Scrub – grazie al supporto del venditore di maschere; successivamente, l’opera va completata sfruttando l’ocarina e un novero di altre maschere da indossare liberamente e che donano nuovi poteri.
Tutta la struttura ludica di The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D ruota attorno al continuo ripetersi di tre giorni. A schermo è presente un indicatore che ci mostra l’inevitabile scorrere del tempo e che viene riportato all’inizio dopo che sono trascorse 72 ore nel mondo di gioco (corrispondenti a circa 60 minuti nella realtà). Al momento del reset, Link conserva alcuni progressi, ma ne perde altri. Tra le cose che restano a disposizione ci sono le maschere fino a quel momento ottenute, le musiche da suonare con l’ocarina e le mappe delle zone; di contro, le chiavi e i progressi all’interno di dungeon non completati andranno perduti, così come la memoria dei personaggi con cui avremo parlato. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, fortunatamente esiste nel gioco un taccuino che tiene conto di tutte le cose scoperte chiacchierando con questo o quel figuro, così che si possano bypassare comodamente alcune situazioni. Ad esempio, se scopriamo un codice segreto da comunicare a un personaggio per lasciarci entrare in un vicolo, questo verrà segnato a nostro uso e consumo, così da poterlo usare istantaneamente e senza dover giocoforza ripetere tutta la sequela di dialoghi ed enigmi che avevano portato alla sua scoperta. Questo genere di approccio porta in seno un certo quantitativo di backtracking, oltre a costringerci a tenere conto del fatto che le attività degli NPC non si svolgono in modo continuativo, ma occorre che si stia attenti all’ora del giorno o della notte in cui ci troviamo, visto che alcune azioni possono accadere solo in determinate fasi.
[quotedx]Ecco un titolo invecchiato benissimo![/quotedx]Fortunatamente, la morfologia di The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D guarda meno alla dispersione rispetto a quanto proposto in altri episodi della serie. Proprio per via del reiterarsi infinito del ciclo di tre giorni, difatti, il gioco tende a concentrare i nostri sforzi in poche zone che, per quanto estese, sono ben delimitate e consentono di non perdere troppo tempo in chiacchiere inutili. In quelle occasioni dove è necessario tornare in luoghi già visitati ma distanti, tornano utili alcune statue a forma di gufo, sparse in giro per Termina e che consentono di risparmiare minuti preziosi. Clock Town, la città che funge da hub centrale, confina con quattro zone corrispondenti ad altrettanti punti cardinali, che ospitano dungeon da esplorare e i boss da abbattere per completare l’opera di pulizia.
PARADOSSI TEMPORALI
Se tutto quanto descritto finora vi sembra dannatamente old-school, beh… avete ragione da vendere. Certe dinamiche sono legate a un modo talmente vecchio di fare design che quasi fa il giro, tanto da apparire financo moderno e per certi versi “originale”. Di sicuro The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D non è un titolo per tutti, ed è proprio questo che lo rende un episodio un po’ atipico. In certi momenti viene difficile non farsi prendere dallo sconforto, con un po’ di frustrazione a fare da contorno. Il tempo che scorre fiata sul collo con una veemenza che nel 2015 non siamo più abitati a sopportare senza contraccolpi, ed è una cosa con cui tocca fare i conti spesso durante il nostro peregrinare per le terre di Termina. Anche se quanto sto per scrivere può sembrare un paradosso, The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D è tuttavia un titolo invecchiato assai bene, che poggia le sue radici su solide basi. Certo, serve prenderlo nel verso giusto, ben consci a cosa si sta andando incontro, prima di imbarcarsi nell’avventura e lasciarsi trasportare dalla corrente.
Tra l’altro, non è un caso che The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D venga distribuito nei negozi lo stesso giorno in cui è lanciato il New Nintendo 3DS. I due prodotti si sorreggono inevitabilmente l’uno con l’altro, visto che il primo si gioca meglio sulla nuova console (la telecamera automatica fa un po’ le bizze e fa quindi molto comodo avere a disposizione un secondo stick per la sue gestione), mentre il secondo non potrà non beneficiare di un titolo così importante che faccia leva sugli indecisi dell’ultima ora o su qualche nostalgico nintendaro che negli anni non aveva ancora ceduto al lato oscuro della portabilità.