Sono passate delle giornate infernali dal reveal trailer di Call of Duty WWII; momenti nei quali due affiatati schieramenti si sono scontrati a colpi di confronti e insulti per far vedere al fronte rivale quale sparatutto avrebbe dominato il 2017. Tra chi ha adorato il ritorno del kit di pronto soccorso e il primo trailer del gioco, però, nessuno ha pensato di aver guardato unicamente un trailer, leggendo nel frattempo qualche indiscrezione e, in definitiva, rimanendo a snocciolare pochissime informazioni. Il problema di questa situazione è che, nonostante la penuria di dettagli, la maggior parte delle persone ha già decretato quale tipologia di sparatutto sarebbe diventato Call of Duty WWII, confermando la sua dote innata da indovino. Perché di teorie e ipotesi ne sono state dette, sì, ma molte provengono da un mondo dove il nuovo titolo di Sledgehammer Games non ha ancora mostrato un livello della sua campagna, né una partita in multigiocatore. È da nuovi pretesti che riparte la crociata contro Call of Duty ma, in un contesto così macchiato e confuso, c’è un bisogno istintivo di fare chiarezza, comprendendo due realtà importanti: in primis, realizzare dove vorrà puntare la serie, leggendo le parole di Sledgehammer Games, e comprendere che il classico kit di pronto soccorso, rispetto alla tanto disprezzata salute rigenerante, non riuscirà mai a stravolgere un sistema di gioco, bello o brutto che sia.
Call of Duty WWII si è mostrato al pubblico il 27 aprile alle 19:00, svelando un approfondimento mirato verso i conflitti più importanti della seconda guerra mondiale e condensando i momenti con la presenza di alcuni solidi comprimari, con un tono che dovrebbe farci riflettere sulle conseguenze di un conflitto smisurato e semplicemente soffocante. Quantomeno, queste sono state le parole di Glen Schofield, co-fondatore e amministratore generale di Sledgehammer Games. Il resto è semplicemente fumo, perché è inutile parlare di quanto un concetto simile sia in contrasto con la serie stessa, o di quella che sarà la realizzazione finale. Si possono fare delle previsioni, certo, ma delle teorie son ben lungi dalle parole che sono state pronunciate nel corso delle giornate e, purtroppo, anche a distanza di qualche ora dal reveal trailer. Per capire quanto siano veritiere le parole di Schofield, non dovremo fare altro che aspettare. Lo so, è un concetto quasi imperscrutabile da comprendere per chi vive di critiche e sconforti quotidiani, ma senza una missione della campagna c’è poco da dover analizzare. Chi vorrà parlare di Call of Duty WWII, lo potrà fare quando Sledgehammer Games si deciderà a mostrare una missione completa o, ancora meglio, quando Activision distribuirà Call of Duty WWII in tutto il mondo, dando alle persone uno strumento autentico per decretare il valore di quest’ultimo capitolo.
Un altro tema caldissimo e ben presente è quello del kit di pronto soccorso. Ah, finalmente! I bei vecchi tempi, no? Un periodo che poneva ogni titolo per risultare difficile agli occhi del videogiocatore, e non per fargli vivere una passeggiata tra le strade di Kabul! Almeno, questo è quello che avete sempre pensato, ma vi siete mai messi a riflettere sul significato del kit di pronto soccorso, o della salute rigenerante, all’interno di un sistema di gioco? Parliamo sempre di meccaniche collaudate e pensate per interi mesi, se non anni, prima di essere decise da un team di sviluppo vastissimo. Il fatto di essere tornati al kit di pronto soccorso non è stata una decisione esplicita per tornare alla gloriosa difficoltà di un passato nostalgico, no. Sledgehammer Games è tornata agli antipodi per un motivo ben preciso, e che è stato perfino spiegato nelle giornate passate. Rispetto a un conflitto che ci fa vestire i panni di un soldato corazzato da tecnologie futuristiche, il periodo della seconda guerra mondiale è stato provato in prima linea da persone reali, che non avevano ancora la certezza di quello che sarebbe accaduto dall’oggi al domani. In questo contesto, il medikit può aiutare il giocatore a immergersi in quello che è stato un conflitto formato da esseri umani, prima che da soldati. È semplicemente un altro tipo di mentalità, e una meccanica che stravolgerà elementi come il level design e il gameplay del titolo. Gli eserciti sconfinati presenti in ogni sezione di gioco saranno probabilmente assenti in Call of Duty WWII, ma bisogna capire anzitempo che, soprattutto in questo caso, la sola conferma del kit di pronto soccorso non significherà che ci troveremo dinnanzi al capitolo più difficile della saga, anzi. È solo una diversa filosofia nello sviluppo di un gioco.
In definitiva, vorrei soltanto fare una richiesta a chi sta leggendo queste righe: non sprecate aria fritta per sparlare con toni pomposi; per il vostro bene e di chi vi sta attorno. Call of Duty: Infinite Warfare non riuscì a raggiungere le aspettative di vendita o un consenso generale del pubblico per colpa dei pregiudizi, eppure fu indubbiamente uno dei migliori capitoli della saga, offrendo un gameplay ancor più immediato e una campagna in giocatore singolo che è riuscita ad alzare l’asticella della serie, seppur non in maniera così evidente. È dei fatti che si dovrebbe discutere, evitando delle reazioni sproporzionate e fuori da ogni contesto. Per una buona volta, il silenzio ci aiuterà a seguire lo sviluppo di un titolo, dando anche una mano agli sviluppatori di Sledgehammer Games, che hanno dedicato quasi 3 anni della loro vita a realizzare un titolo martoriato dagli insulti del pubblico. Se vi considerate dei giocatori coscienziosi di quella che è la game industry, evitate di tirare in ballo il nulla più assoluto. Finora, nessun dettaglio è uscito dalle informazioni pubblicate da Sledgehammer Games e, probabilmente, dovremo aspettare l’E3 per vedere finalmente qualche filmato sostanzioso della campagna. In quel preciso istante, una fazione di questo conflitto potrà anche fornire più prove alla sua tesi, nel tentativo di far deragliare la saga di Call of Duty verso il baratro che ha passato negli ultimi anni. In caso contrario, aspettate che sia il gioco stesso a parlare, e discutete a cuore aperto di quello che è stato un lavoro sofferto e, soprattutto, volto specificatamente per farsi apprezzare dal pubblico.