Horizon: Zero Dawn è sicuramente un titolo ottimo. Tutti, dalla critica ai giocatori, hanno magnificato le sue doti: graficamente superbo, con ambientazioni e un concept del mondo di gioco non solo ottimamente contestualizzati ma decisamente immersivi e appaganti alla vista. Esplorare le terre dei Carja e dei Nora nei panni di Aloy è una di quelle esperienze che ogni videogiocatore dovrebbe fare. Giusto? No, estremamente sbagliato! Il titolo di Guerrilla Games, in realtà, è ben lontano dall’essere un capolavoro. Dopo oltre quaranta ore di gioco, colto da una epifania come Paolo sulla via di Damasco, mi sono cadute le scaglie che coprivano i miei occhi e ho realizzato: non c’è empatia. Ebbene si, ecco cosa manca in Horizon: Zero Dawn, ecco cosa prende quello che poteva tranquillamente essere non un capolavoro ma IL capolavoro di Guerrilla e lo trasforma di colpo in una parodia di se stesso, in un titolo incompiuto e che al giocatore non lascia nulla se non la soddisfazione d’averlo completato. Opinione dura? Si, ma ben ponderata.
La trama del titolo, seppur non banale, non è comunque nulla di eccessivamente esaltante; riprende in pieno i topos classici del genere. Emarginazione, riscatto, senso di smarrimento di fronte ad un destino apparentemente già scritto e segnato, nulla di tutto questo è nuovo ai giocatori. In Horizon tutto questo c’è, è ben visibile, quasi lampante ma non viene assolutamente enfatizzato o approfondito, complice una tecnica narrativa affidata a oggetti collezionabili sparsi per tutto il mondo di gioco. Non solo, errore ancora più grave è stato far si che quegli stessi, importantissimi oggetti potessero essere “persi” dal giocatore, lasciando quindi in sospeso molto della trama e delle motivazioni dei vari protagonisti. In soldoni, quella che poteva essere una storia da romanzo si traduce in uno squallido racconto d’appendice, in termini di appeal ovviamente. Parlando di un titolo single player nudo e crudo, che quindi si suppone faccia del saper coinvolgere il giocatore il suo punto di forza, una tale mancanza è qualcosa di davvero imperdonabile anche a fronte del superbo lavoro svolto sul gioco che ne viene dunque inficiato.
E un altro punto debole di Horizon: Zero Dawn è proprio lei, Aloy. Del tutto algida, incapace di mostrare la benchè minima emozione o tantomeno trasmetterla al giocatore. E non parlo solo delle sue espressioni facciali che, perdonate la franchezza, mi fanno seriamente dubitare che sia il clone di una scienziata dalla mente tanto brillante: non c’è una vera e propria crescita emotiva del personaggio. La perdita di Rost, la scoperta del suo ruolo come “salvatrice”, tutte le piccole o grandi rivelazioni che incontriamo nel nostro cammino nei panni di Aloy la lasciano decisamente indifferente. Nessun rapporto della nostra eroina viene approfondito fino al punto di farci rimpiangere una perdita, così come non c’è un solo nemico tra quelli incontrati che susciti odio o anche solo avversità nel giocatore. A parte quel simpatico para…gnosta di Sylens.
Ci sono mille altri esempi di come l‘impianto narrativo abbia decisamente rovinato l’esperienza di gioco, trasformando un titolo che sicuramente poteva piazzarsi nell’Olimpo del gaming in un gioco del quale a mio avviso sentiremo molto poco parlare in futuro. Eccezion fatta per il lancio di DLC o per l’annuncio di un sequel. E, nella speranza di vedere un sequel che renda giustizia al giocatore, che dia una ragion d’essere a tutto il mondo creato da Guerrilla, la mia domanda agli sviluppatori rimane una e una sola: perchè affidare quello che in un gioco come Horizon è il massimo valore, ossia la narrazione, ad un sistema così impersonale come i vari punti dati, osservatori e simili? Com’è possibile creare qualcosa di così vivo, così organico e non riuscire a dargli… beh, un’anima?