Il rompicapo paradossale di Japan Studio ritorna su PlayStation in una veste tutta nuova. E con Move attorno. [Review]
Uscito circa due anni fa, Echochrome era un titolo davvero atipico e parecchio diverso dai puzzle game visti fino a quel momento. La prima cosa che saltava all’occhio era lo stile estremamente minimalista, totalmente in bianco e nero: un ritorno all’essenzialità che prendeva completamente le distanza dal fracasso e dagli eccessi dei giochi maggiormente in voga. Ad aggiungere il carico contribuiva lo splendido accompagnamento musicale, una delicata sinfonia da camera tutta composta con strumenti ad arco.
Il gioco in sé era davvero geniale, fondato completamente sui paradossi della prospettiva di Escher, anche se a tratti si faceva un po’ fatica a capire bene dove portare il manichino, nel tentativo di fargli guadagnare l’agognata uscita.
Echochrome II, comunque sia, non è un seguito che riprende le idee del precedente episodio aggiungendo un paio di novità, bensì un’esperienza completamente nuova. Anzitutto, i meglio informati sapranno bene che una delle caratteristiche fondamentali di questa produzione è quella di essere pensata intorno a PlayStation Move. Il motion controller di Sony non è, infatti, una scelta opzionale, ma è l’accessorio richiesto per poter interagire con il gioco, il che apre uno scenario molto interessante, perché ci troviamo di fronte a un qualcosa di pensato e ideato intorno a tale periferica.
L’idea di base, come nel precedente capitolo, è geniale: se prima avevamo a che fare con le angolazioni prospettiche, adesso sono le ombre cinesi a essere al centro degli enigmi che caratterizzando ogni livello. Il Move diventa quindi una sorta di torcia elettrica virtuale: a seconda dell’angolazione, puntandolo verso lo schermo verranno proiettate le ombre degli oggetti posti in primo piano; solitamente si tratta di parallelepipedi di varia natura, apparentemente senza senso, ma in realtà in grado di creare percorsi e figure incredibili. Uno degli obiettivi del resto è proprio quello di svelare alcune ombre artistiche nascoste in determinati livelli: non è particolarmente complicato trovarle, ma bisogna ammettere che c’è un qualcosa di magico nel vederle apparire davanti ai nostri occhi.
Quel che non è cambiato, non del tutto almeno, è lo scopo.
Anche in Echochrome II dovremo guidare un piccolo manichino fino all’uscita, che però è ben nascosta e andrà creata sempre spostando la prospettiva delle ombre: la differenza la fa il Move, che con la sua estrema precisione ci permette aggiustamenti anche minimi. Il protagonista si muove sempre in un’unica direzione e può cambiarla solo urtando un oggetto. Esistono anche alcuni portali con i quali ci si può spostare da una parte all’altra del livello (ma ci deve essere un collegamento ben preciso), mentre le ombre tonde hanno la funzione di farci compiere un balzo verso l’alto.
Ogni enigma è ben congegnato e non richiede solo una certa dose di neuroni per essere risolto, ma anche – di tanto in tanto – un po’ di sana abilità manuale. Insomma… avere un po’ di dimestichezza con il Move può solo che aiutare, specialmente quando per sbaglio si trascina il protagonista fuori dallo schermo o lo si fa cadere in qualche buco.
Per aggiungere un po’ di varietà, gli sviluppatori hanno pensato bene di includere tre modalità di gioco per ogni livello. Oltre a quella base, definita “scorta”, nella quale occorre formare e raggiungere l’uscita, troviamo quella “eco”, con l’obiettivo di trovare e raccogliere le ombre di altri manichini. Più complessa ancora quella “colori”, dove avremo a che fare con numerosi manichini contemporaneamente, i quali dovranno colorare dei blocchi affinché l’indicatore della percentuale richiesta si riempia completamente. Un bel mal di testa, perché gestire tre pupazzi tutti assieme, verificando che non finiscano male, è davvero un discreto delirio.
Con oltre 100 livelli la longevità è decisamente assicurata, ma se proprio non dovessero bastare, c’è pure un editor per crearsi nuovi stage e, soprattutto, metterli in sharing con tutto il resto della community mondiale. Difatti, una delle caratteristiche più forti di Echochrome, ovvero la condivisione delle proprie realizzazioni, è stata riproposta in questo seguito, rafforzata e migliorata facendo tesoro di quanto appreso in LittleBigPlanet. Ora, proprio come nel titolo di Media Molecule, si possono votare i lavori altrui, applicando degli sticker virtuali con i quali valutare la complessità e la bellezza dei livelli proposti.
In questo senso gioca un ruolo fondamentale l’opzione di ricerca, che permette di esplorare il database utilizzando vari filtri, dalla popolarità alla complessità, se non addirittura per utente. Esistono, inoltre, tre tipi di classifica generale suddivise per creatività, diffusione e impatto visivo. Chicca finale, la funzione upload su YouTube, con la la quale caricare i video delle vostre prodezze direttamente sul portale più famoso del pianeta.