Another Year

Se la vita è come il corso di un fiume, nel quale si agitano milioni di organismi viventi, Tom e sua moglie Gerry sono come una piccola isola felice…

Regia: Mike Leigh
Cast: Jim Broadbent, Ruth Sheen, Lesley Manville
Distribuzione: BIM

Se la vita è come il corso di un fiume, nel quale si agitano milioni di organismi viventi, Tom e sua moglie Gerry sono come una piccola isola felice, sulla quale ogni tanto arenarsi, bisognosi di una parentesi di serenità, di un abbraccio amichevole, di una parola di conforto, per un riposo del corpo e dello spirito. Coppia rodata e serena, geologo quasi in pensione lui e psicologa in un consultorio lei, hanno trovato un hobby rilassante nella cura del loro bellissimo orto, nel quale vivono l’avvicendarsi delle stagioni, ciascuna necessaria, come i passaggi della vita, per lo sviluppo armonioso di ogni sua parte. Come sulle coltivazioni dell’orto anche su di noi il tempo scorre e opera cambiamenti, Qualcuno, una pianta più forte, resiste, altri appassiscono e sfioriscono. Infatti l’umanità che gira loro intorno non è altrettanto serena, anzi. Nel corso della narrazione, che è suddivisa in quattro capitoli seguendo appunto il ciclo delle stagioni, conosceremo Mary, collega di Gerry, donna matura e sola, di grande fragilità, di imbarazzante insicurezza.

In un’altra occasione sarà la volta di Ken, un uomo solo e demotivato, sovrappeso, fumatore e bevitore, un disperato autodistruttivo. Nella dimora passa spesso in visita anche il figlio Joe, avvocato, un ragazzo sereno e aperto, capace di trovare nella vita ciò che può farlo felice. Conosceremo anche l’anziano fratello di Tom, appena rimasto vedovo, un uomo la cui rigidità deve aver danneggiato gli equilibri famigliari per tutta la vita, e la fidanzata di Joe, una ragazza pratica e positiva. L’interazione fra questi personaggi non produrrà eventi epocali, perché spesso la vita va così, senza effetti speciali, ma provocherà ugualmente gioie, speranze, dolori, delusioni, consolazioni, nel minimalismo degli eventi, nella vastità del dolore o della limitatezza di una “normale” felicità. Intorno intanto chi nasce e chi muore. All’inizio del film compare un personaggio isolato, Imelda Staunton (attrice cara al regista), una paziente di Gerry, una donna aspra, chiusa, drammaticamente infelice che sta somatizzando tutto il suo epocale scontento, incapace di sfogarsi e di alleggerire il suo fardello. Parafrasando la famosa frase di Nietzsche, se guardi il mondo, il mondo ti guarderà. Altrimenti non c’è che la deriva. Dopo film come Il segreto di Vera Drake, Tutto o niente, Segreti e bugie, Mike Leigh, uno dei massimi esponenti del realismo inglese, sembra volerci ammonire che solo con l’empatia, solo nel muto scambio di sentimenti, con la comunicazione, si possa sopravvivere nel grande freddo della vita e che l’eccezionale può essere fatto di cose impercettibili, al di là dell’enfatica narrazione di ingigantite passioni, di gesta eroiche fatte in altre narrazioni (c’è un dio nelle piccole cose?).

Il regista, qui anche autore della sceneggiatura, mette in scena in modo teatrale, con pochi esterni (quasi tutto ruota intorno alla cucina di Tom e Gerry). I suoi protagonisti sono semplici persone e non, per precisa intenzione, dei personaggi, con un tono della narrazione che è quanto di meno “cinematografico” si possa immaginare, composto dalle registrazioni di normali chiacchiere famigliari, dalle quali poco alla volta affiorano i sentimenti nascosti, balenano le ferite e i danni, si intuiscono i percorsi che hanno condotto ai diversi punti di arrivo. Il film si avvale di un cast eccezionale, del quale l’unica faccia nota al grande pubblico è quella del meraviglioso Jim Broadbent, ma degni di menzione sono la patetica Mary di Lesley Manville e la paciosa ma non meno decisa Ruth Sheen che è Gerry, così come anche ogni altro comprimario è perfettamente scelto.