Ovvero, come produrre un seguito che inciampa nello spazio di un balzo. [Review]
Il remake di Bionic Commando è stato senza dubbio uno dei cavalli di battaglia della recente storia di Capcom. Del resto, la software house giapponese vanta al suo attivo un’infinità di titoli che hanno segnato la vita di milioni di videogiocatori in tutto il mondo, paraltro di svariate generazioni. Chi ha vissuto la gloriosa epoca dei coin-op fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 ha sicuramente incrociato, anche solo per sbaglio, cabinati leggendari come quello di Ghosts’n Goblins, Black Tiger e – ovviamente – Bionic Commando. Chi vi scrive ricorda con particolare nostalgia la conversione per Commodore 64, che pur con con tutte le limitazioni della macchina in questione, era un piccolo gioellino e vantava una colonna sonora meravigliosa.
Per il remake in salsa HD di questa produzione, Capcom ha scelto, almeno per ciò che concerne il primo capitolo, di evitare troppi stravolgimenti, cercando di non alterare in alcun modo la sua natura originale e anche piuttosto hardcore. Del resto, i giochi di una volta erano assai più carogne di quelli odierni e non concedevano un grande margine di errore: anzi, la punizione era quasi sempre la perdita di una preziosissima vita. Anche le meccaniche potevano essere micidiali: del resto, quale mente malata potrebbe concepire un platform game dove non si può saltare? Una scelta folle, che costringeva a muoversi fra una piattaforma e l’altra unicamente usando una sorta di braccio bionico allungabile, che permetteva al protagonista di agganciarsi e dondolarsi laddove era possibile farlo.
Due anni fa i Grin hanno dimostrato che si poteva ridisegnare una leggenda del passato senza tradirne lo spirito e nemmeno lo stile. Anche in Rearmed non era concesso saltare, e se questo ha fatto imbestialire le nuove leve, a noi “vecchi” è sembrata la cosa più logica e naturale che ci potesse essere. Eh già, quando si dice “scontro generazionale”…
In ogni caso, vuoi per l’effetto nostalgia, vuoi per il buon game design, vuoi per le splendide musiche synth che facevano tanto 8 bit (soprattutto SID, l’insuperato chip audio del C64), tutto funzionava piuttosto bene e, nonostante l’intrinseca difficoltà, si lasciava davvero giocare.
Ma il tempo è assai impietoso in questo campo, e non ci vuole molto per passare dalle stelle alle stalle. Anzitutto oggi sappiamo che i Grin, dopo la fallimentare produzione di Bionic Commando (quello visto dalle spalle del protagonista… sì, è un bel casino capirci qualcosa, ma non è colpa nostra), hanno chiuso baracca e burattini, tanto che il seguito di Rearmed è stato prodotto da alcuni ex-dipendenti, sotto il nome di Fatshark.
L’idea di base era quella di dare una sferzata alla serie, andando oltre i limiti precedentemente imposti e ripescando alcune delle idee del titolo 3D. La novità più eclatante (anche se fa ridere dirlo…) è senza dubbio l’introduzione del salto. Ora Nathan Spencer (che per l’occasione ha un look decisamente più sbarazzino) non solo può spiccare balzi da una piattaforma all’altra, ma persino effettuare una mossa nota come “morte dall’alto”, ovvero una sorta di schiacciata che gli permette di distruggere alcuni oggetti e ferire determinati nemici.
È comunque la possibilità di spiccare balzi quella che fa davvero la differenza, anche se segnaliamo l’opzione per disabilitarli, casomai foste dei duri e puri del gioco originale. Indubbiamente, un’opzione del genere implica un gameplay che viaggia pericolosamente su una linea assai sottile, cercando di far convivere due anime (il passato e il presente) che non di rado finisco col fare a pugni. Per esempio, difficile capire il senso del poter salire sulle piattaforme da sotto, ma di non poterci scendere a meno di non effettuare una scomoda manovra: di fatto dovete saltare giù e agganciarvi al volo con il braccio, una vera iattura a tratti. Non di rado, poi, si ha che fare con un sistema di controllo tutt’altro che comodo, poco reattivo e terribilmente sensibile al “lag” generato dalla TV. Sappiate che se il vostro display non dispone di una modalità “game”, vi troverete spesso a mancare la presa con il braccio bionico. In ogni caso imparerete preso che la croce digitale è di gran lunga preferibile allo stick analogico: Rearmed 2 è un gioco che sembra pensato proprio alla vecchia maniera, ovvero con quattro direzioni ben precise e una tolleranza davvero minima che non lascia spazio a eventuali imprecisioni. Buona fortuna se giocate su Xbox 360, specialmente se avete un pad di quelli non troppo nuovi.
Ma al di là di questo, sono altre le cose che non funzionano molto bene in Rearmed 2. Prendiamo i potenziamenti: questi sono di due generi, attivi e passivi. I primi sono più che altro una sorta di arma secondaria e vi conferiscono caratteristiche aggiuntive come la possibilità di lanciare delle granate, di fulminare i nemici con il braccio bionico o di far vorticare velocemente lo stesso. Hanno comunque tempi e modi di funzionamento differenti e, una volta attivati, richiedono un certo tempo affinché possano essere nuovamente disponibili.
I potenziamenti passivi sono un’altra storia: una volta selezionato un determinato potere questo rimane sempre acceso, fin quando non decidiamo di cambiarlo. Anche se il più utile rimane quello che ci ricarica di energia costantemente, non sono male quelli che ci conferiscono una velocità superiore o ci permettono di muoverci silenziosamente. Ci sono anche sei tipologie di armi, tutte con proiettili contati (tranne la pistola) e potenziabili. Queste possono essere cambiate durante il gioco premendo i tasti frontali, mentre per i potenziamenti tocca sempre accedere a un menu a parte: una cosa scomoda, che spezza non poco l’azione.
In generale comunque è il gioco a essere piuttosto scialbo e poco ispirato, con dei boss che si ripetono sempre uguali, degli schemi di attacco prevedibilissimi e decisamente noiosi. L’aspetto dell’esplorazione dei livelli è poi mortificato da scelte di design molto discutibili, che costringono il giocatore a costanti salti nel vuoto nella speranza di trovare un qualche potenziamento nascosto o una vita extra. Il più delle volte però si muore e basta, non esattamente la cosa più entusiasmante del mondo.