House of Cards – Terza Stagione – Recensione

Frank Underwood è presidente degli Stati Uniti d’America. Il sogno, al termine della scalata all’interno della Sala Ovale, era proprio quello di giungere a quella vetta del potere tanto ambita, che ha portato a complotti spregevoli e terribili decisioni morali. E quel traguardo è stato finalmente raggiunto. La terza stagione di House of Cards si apre così, e continua la filosofia intrapresa dalla madre di tutte le serie targate Netflix ma con una netta differenza che la distingue pesantemente dalle precedenti due stagioni. In questa terza serie, il delirio di onnipotenza di Kevin Spacey si sciolgono come ghiaccio al sole, l’arroganza e le meschine complicità non sempre daranno i frutti sperati, e spesso e volentieri muoversi nella credibilità (e nella legalità) sarà l’unico modo per Frank di rimanere saldo alla poltrona di presidente degli USA.

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Un terzo atto, quello di House of Cards, che spinge questa piccola, grande fetta di storia televisiva verso un nuovo modo di raccontare quella storia. Il castello di carte dei coniugi Underwood traballa dotto il peso delle responsabilità, dell’economia precaria, della disoccupazione ai minimi storici e, anche e soprattutto, di situazioni tese a livello mondiale (soprattutto con l’amico/rivale presidente Russo, Viktor Petrov, nemesi perfetta di Frank Underwood). Un provvedimento chiamato AmericaWorks, che prevede l’impiego di ingenti fondi da immettere sul mercato per favorire assunzioni e di conseguenza la ripresa dell’economia, sarà il tassello fondamentale attorno a cui il presidente Underwood cercherà di far girare la sua campagna elettorale per le presidenziali, che giorno dopo giorno si farà sempre più dura anche per via del rapporto con la moglie Claire, il quale perderà per strada qualcosa del suo irrefrenabile e a tratti perverso feeling.

La scrittura del creatore della serie Beau Willimon c’è ancora e la qualità si vede. Ad arrancare, come anche nelle precedenti due stagioni, sono purtroppo le vicende dei personaggi di contorno, da Doug Stamper (Michael Kelly), Gavin Orsay (Jimmy Simpson) che cerca di rintracciare Rachel, in fuga dopo l’ultimo colpo di scena della seconda stagione, cui si affiancano stavolta anche le vicedne della giornalista del Wall Street Telegraph Kate Baldwin (Kim Dickens), Jackie Sharp (Molly Parker) e Remy Danton (Mahershala Ali). Questo perché il vero protagonista assoluto è sempre e solo Frank Underwood, stavolta in un’inedita veste di vittima e carnefice, che per mantenere in piedi un sistema di contrappesi che tiene in equilibrio sia la parte politica che la sua vita privata, rischierà di perdere entrambe. Ma si sa, “il potere assoluto corrompe in modo assoluto”.