The Knick (seconda stagione) – Recensione

Steven Soderbergh

The Knick, serie tv diretta da Steven Soderbergh e con un grande Clive Owen protagonista nel ruolo del Dottor John Thackery, primario del Knickerbocker Hospital di New York a inizio 1900, giunge al termine della sua seconda stagione, e per noi di MovieVillage è tempo di giudizi. Una cosa è certa: fare meglio della prima, dirompente stagione, una delle novità più fresche e interessanti della scena televisiva, era un compito dannatamente difficile. Anche solo eguagliarla, a dire il vero. Nonostante ciò, la formidabile squadra dietro la serie andata in onda in USA su Cinemax e qui da noi in Italia su Sky Atlantic HD, capitanata dagli scrittori e ideatori Jack Amiel e Michael Begler, ha incredibilmente centrato il bersaglio, e con una classe a dir poco rara.

The Knick

Diciamolo chiaro e diretto: la stagione 2 di The Knick è quanto di meglio vi può capitare di vedere, oggi, al livello di serie televisiva. Drammatica e a tinte molto forti, coraggiosa e varia nelle tematiche, questa nuova serie di puntate si presenta artisticamente granitica, in possesso di una identità così esuberante e netta da conquistare subito lo spettatore… o quantomeno costringere il critico a detestarla dal primo minuto, il che rappresenta comunque una dote non indifferente. Fa bene Steven Soderbergh ad abbandonare la serie dopo queste due formidabili stagioni e dopo aver chiuso brillantemente un ciclo narrativo: chi verrà dopo, regista singolo o pool di talenti che sia, avrà il compito di scegliere un nuovo percorso audiovisivo e tematico, in qualche modo reinventando una serie che, orfana anche del suo mattatore Clive Owen, continuerà a seguire le vicende di quell’incredibile contenitore di umanità e sofferenze che è il Knickerbocker Hospital (The Knick, appunto).

Steven Soderbergh

Ma è inutile correre avanti, perché è molto probabile che la terza stagione non arriverà prima del 2017 (dovrebbe essere girata insieme alla quarta, se è per questo): semmai, torniamo a tirare le somme di questa straordinaria season 2, che ha chiuso i battenti lo scorso 28 dicembre con un finale a dir poco sconvolgente. Il tutto comincia con l’odissea del Dott. Thackery, alle prese con la dipendenza dalle droghe, che minaccia di distruggere per sempre la sua vita personale e professionale. Una volta superata questa ordalia, sarà di nuovo la vita ospedaliera a dettare il ritmo della serie, sempre sospesa tra avanzamenti medici, questioni sociali (non solo il razzismo e la minaccia dell’eugenetica, ma anche altre tematiche quali la diffusione degli anticoncezionali) e vicissitudini economico-lavorative e sentimental-personali del cast di personaggi che popolano la serie. In particolare, i lavori per la costruzione di una nuova e ancor più imponente sede per il Knickerbocker costituiranno il catalizzatore di una serie di drammatici e altamente imprevedibili accadimenti.[quotedx]Il tutto comincia con l’odissea del Dott. Thackery, alle prese con la dipendenza dalle droghe[/quotedx]

I personaggi, e questa è una delle caratteristiche di maggior pregio della stagione 2 di The Knick, sono tutti profondi, ben caratterizzati e fortemente valorizzati dalla sceneggiatura: i 50 minuti di ciascuna puntata sono gestiti con un senso del ritmo eccezionale, che mette in scena una polifonia di storie, volti e situazioni che si muovono in un perfetto balletto, senza mai oscurare o dimenticare qualcuno per troppo tempo. Ne beneficia la tensione, che è sempre elevatissima e che esplode in sequenze che non esitiamo a definire liriche, a tratti persino lisergiche, dove una colonna sonora che sa essere straniante accompagna inquadrature e giochi visivi che spiazzano lo spettatore e abbassano le sue difese, magari proprio prima che Soderbergh affondi il colpo da knock out. Lo aiuta non poco il cast artistico, che da Clive Owen in giù è semplicemente da standing ovation: menzioni d’onore vanno a Jeremy Bobb, il viscido e debole Herman Barrow, corrotto amministratore dell’ospedale; Eve Hewson, la seducente infermiera Lucy Elkins, arrampicatrice sociale; Chris Sullivan e Cara Seymour, rispettivamente l’autista di ambulanze (traffichino) Tom Cleary e l’ex suora abortista Harriet, forse avviati a formare un’improbabile coppia. Ma la lista dei grandi interpreti potrebbe continuare, dai dottori del Knick a molti altri personaggi apparentemente minori, tutti in realtà fondamentali a dar vita a una ricostruzione storica grandiosa, forte anche di magnifici costumi, scenografie impeccabili e tanta tanta cura per i dettagli.

The Knick

Torna anche, ovviamente, la caratteristica shock che ha reso celebre The Knick durante la sua prima stagione: la pratica di inquadrare in modo esplicito gli interventi chirurgici, senza risparmiare nulla allo spettatore. E nel caso ve lo steste chiedendo: no, non siete abituati e quindi pronti a tutto. Se alcune sequenze sono, diciamo, soft, altre aggrediscono i sensi e la nostra sensibilità con inaudita ferocia: non è solo la crudezza delle immagini e la vista del sangue, ma il peso psicologico delle azioni che guardiamo e il nostro vivere l’apprensione e a volte il terrore dei chirurghi in azione, che all’epoca erano (ahinoi!) ancor meno infallibili che oggi. Da questo punto di vista, l’ultimo intervento del geniale e istrionico Dottor John Thackery, in scena nel season finale della stagione, tocca il vertice del coinvolgimento: sfidiamo chiunque a non contorcersi sulla sedia, fare smorfie o cercare di distogliere lo sguardo! Sia chiaro, però: nulla è gratuito o anche solo superfluo. The Knick usa le operazioni in camera in modo funzionale alla narrazione e alla trasmissione del suo messaggio di fondo, altamente materialistico, quasi darwiniano. La scienza si evolve, e lo fa attraverso la sperimentazione, che spesso è anche dominata dal caso. Nessun disegno divino, nessuna giustizia: solo segreti biologici da scoprire, leggi mediche da dominare. Ma senza voli pindarici, giù in basso, nel sangue e negli umori corporali, sempre a mani sporche, sporchissime. Congratulazioni a tutta la crew di The Knick: la seconda stagione è un pezzo di storia televisiva, una delle serie più meritevoli dell’anno trascorso e, molto probabilmente, anche di tutto il 2016 appena incominciato. Steven Soderbergh e Clive Owen non avrebbero potuto scegliere un momento migliore per congedarsi dalla serie: lasciano da campioni, nel punto artisticamente più alto raggiunto. Chi verrà dopo, questo è certo, non avrà affatto vita facile. True Detective insegna.