“La Forza è con me, sono un tutt’uno con la Forza”. Questo deve aver pensato il regista Gareth Edwards mentre girava il suo Rogue One: a Star Wars Story, uno dei film che segna (forse ancor più del precedente Episodio VII) il passaggio ad un’ideale “Fase due” cinematografica dell’universo di Guerre Stellari, in perfetto stile Disney (e Marvel). Fase due, si diceva, poiché questo è a conti fatti il primo spin-off della saga cinematografica base, senza numerazione e senza i classici personaggi tipici della serie che abbiamo imparato ad amare nei secoli. Skywalker inclusi, mi spiace.
Questo perché, inutile far finta di non saperlo, Rogue One è nient’altro che un “esperimento”, un tentativo (commerciale in primis) di vedere se e come un racconto trasversale della galassia lontana lontana può o no piacere al grande pubblico. E le differenze si notano sin dal primo istante: il film racconta di un gruppo di soldati che si riunisce per rubare i piani della temibile Morte Nera, una missione impossibile che porterà ciascuno di loro a confrontarsi con il proprio destino. Nessun Cavaliere Jedi, nessun Sith: ambientandosi quindi tra Episodio III ed Episodio IV, Rogue One: a Star Wars Story è un prodotto decisamente più cupo e roboante dei precedenti Guerre Stellari (dopotutto, si tratta di un film di guerra alla D-Day a tutti gli effetti). Il look generale strizza l’occhio proprio a Una Nuova Speranza (o Episodio IV), tanto che sia i costumi, che i veicoli, che intere sequenze d’azione sembrano versioni “riviste” di alcuni passaggi della trilogia classica. Non che questo sia un male (né parliamo del famigerato copia-incolla di cui soffrono molti sequel o spin-off), ma è anche vero che Rogue One patisce una prima ora decisamente prolissa, a tratti soporifera, atta a illustrare e spiegare cose che nella maggior parte dei casi lo spettatore conosce già (salvo che questi non abbia davvero mai visto un film di Star Wars in vita sua, ma francamente ne dubito). Così come difficile da mandar giù è la presenza di un paio di personaggi in CGI (diciamo, per necessità anagrafiche), la cui resa è a tratti imbarazzante.
[quotedx]Un film decisamente più cupo e roboante dei precedenti Guerre Stellari[/quotedx]
Fortunatamente, la pellicola di Edwards ritrova la via della Forza proprio quando le speranze sembrano essersi perdute nel marasma bellico messo in piedi da Lucasfilm, con un’impennata colossale nella parte finale che ha il suo picco massimo quasi a ridosso dei titoli di coda, con alcuni omaggi e citazioni al cardiopalma (che non vi rivelerò nel dettaglio, state tranquilli). Ma non solo: alcuni combattimenti spaziali e su terra di epiche proporzioni vi faranno tornare nel 1977 per stile e resa estetica, ma con una regia sempre puntuale nel sottolineare che la Guerra dei Cloni, nonostante tutto, non è mai finita per davvero. Molto buono il cast (il personaggio di Felicity Jones allontana da subito lo spettro della sosia sbiadita di Rey, mentre l’androide riprogrammato sarebbe stato uno straordinario personaggio per un videogame ispirato a Star Wars), così come molto buona è la colonna sonora di Michael Giacchino, che finalmente corona il suo personalissimo sogno di orchestrare un capitolo di una delle saghe più celebri di John Williams, storico compositore della serie regolare e ispiratore dello stesso Giacchino.
Quindi, nel caso in cui gli incassi al botteghino gli dessero ragione (e molto probabilmente sarà così, visto e considerato che parliamo di sua maestà Disney, nonché di una delle saghe più redditizie di tutti i tempi a venire), Rogue One: a Star Wars Story potrebbe essere davvero l’inizio di una nuova saga parallela, capace di smuovere le corde della nostalgia grazie a rimandi, omaggi e citazioni più o meno velate. Una pellicola, quella di Gareth Edwards, che nonostante manchi della “magia” classica della serie si dimostra una produzione bellica tutto sommato coraggiosa e accurata che, nonostante escluda dall’equazione spade laser e Jedi, riesce ad incarnare appieno lo spirito di Guerre Stellari. E questa, forse, era davvero la missione più difficile da portare a termine per la Ribellione.