Il nuovo film del buon Massimiliano Bruno s’intitola Beata Ignoranza e affronta il tema – è vero, non troppo originale – dell’ingerenza dei social nella vita privata. Nella mia, di ignoranza, ero convinto che Bruno fosse solo capace di dire “bucio de culo” in una serie televisiva ormai cult che non ho bisogno di nominare. E invece – guarda un po’ se non – vado a scoprire che è un regista niente male, e certo non alla prima opera. Il film, con Marco Giallini e Alessandro Gassmann, nonostante la sua tipica struttura da commedia corale all’italiana risulta piuttosto godibile e strappa anche qualche risata. I due protagonisti, che interpretano dei professori liceali, rappresentano altrettanti atteggiamenti radicali nei confronti dei social network. Il primo insegna letteratura italiana, ascolta musica classica e ha l’abitudine di recitare poesie ai suoi alunni. Naturalmente non sa nemmeno cosa vogliano dire le parole “postare” e “selfie” e i cellulari durante la lezione sono banditi. Il secondo passa la vita con lo smartphone in mano, fa risolvere equazioni ai ragazzi con un’app e gestisce una pagina da 5000 like. Il video di un loro litigio in aula diventa virale, e da lì nasce una scommessa: per un paio di mesi Gassmann dovrà girare con un cellulare da museo, di quelli con l’antenna; a Giallini spetterà invece informatizzarsi. La rivalità fra i due, comunque, non scaturisce solo dalla differenza di vedute nel metodo d’insegnamento, né sarebbe commedia italiana se la tecnologia non fosse un semplice pretesto per raccontare una storia più complessa, quella delle relazioni affettive. I “maschi alfa” sono infatti legati da un’amicizia di lungo corso, interrotta quando l’uno ha fregato la tipa all’altro. Loro s’insultano, si fanno dispetti, ma non vincono. Riusciranno, alla fine, a raggiungere solo il punto zero. A emergere vittoriosa è piuttosto la figura della donna, che si dispiega qui nei personaggi forti e consapevoli di tre attrici: la “tipa” oggetto del passato contendere è l’adorabile Carolina Crescentini, colei che il Ferretti chiamava affettuosamente “cagna maledetta”; poi c’è la figlia Nina (a posta non specifico di chi), interpretata da Teresa Romagnoli; infine la provocante prof. che ha il volto di Valeria Bilello.

Le donne di Bruno, indipendenti e coraggiose, riescono a destreggiarsi nello smart-world senza estremismi, e pazientemente aspettano che gli uomini si adeguino a relazioni serene, inter-personali o social che siano. Il web riesce a tirar fuori il peggio degli uomini, ma non quello delle donne, comunicativamente superiori e meglio preparate. Ma non è persa ogni speranza: basta maggiore consapevolezza. Uno dei messaggi del film è che, insomma, il fatto che il web abbia dato parola a legioni d’imbecilli non è necessariamente un male: solo una volta che l’imbecille si ritrova faccia a faccia con se stesso può smettere di esserlo. Il social non è un mondo, è un mezzo che permette di creare un avatar più autentico del Mii. E se il tuo è una persona orribile la colpa non è certo di Facebook.
[quotedx]Diritto di parola a legioni d’imbecilli: non è necessariamente una brutta cosa.[/quotedx]
A proposito di brutte persone e smartphone, viene naturale il paragone con il film di Genovesi Perfetti Sconosciuti, che ha riscosso un notevole successo anche all’estero. A me, quello lì – sarà che i dialoghi erano tutti una sequela di frasi fatte, che era abbastanza noioso, che non c’era nulla di veramente attuale – ma non mi era piaciuto. O magari era solo per l’insostenibile leggerezza di Kasia Smutniak. I due film trattano un argomento simile (tant’è vero che il campo semantico della conoscenza regna in entrambi i titoli) in un modo completamente diverso. L’approccio di Beata Ignoranza è fresco e, nonostante l’impostazione caricaturale, riesce a colpire molto più a fondo di quei quattro Sconosciuti. Risultando, in ultimo, ben più verosimile. Ma vi pare normale che un gruppo di amici nasconda una biblioteca di segreti che neanche Gossip Girl? Il racconto immaginario della vita privata di questi professori, categoria ultimamente parecchio bistrattata, si fonde invece qui con il reale problema dell’informatizzazione della scuola italiana e dell’educazione (all’)elettronica. Beata Ignoranza riesce a parlare di tutto questo con una certa eleganza, grazie anche alla bravura del cast e all’attenzione che gli sceneggiatori (fra cui figura lo stesso Bruno) hanno posto nella caratterizzazione di tutti i personaggi, compresi quelli secondari.