Okja – Recensione

Netflix si presenta al suo primo Festival di Cannes con una favola commovente dalla trama tradizionale e dalle sfumature ambientaliste. Sarà forse l’emozione del debutto sul grande palcoscenico del cinema europeo, ma la casa di produzione online sceglie di giocarsela sul sicuro, senza prendere inutili rischi ma anche rinunciando ad elevate ambizioni. La regia è del coreano Bong Joon-ho, conosciuto al pubblico per Snowpiercer (2013) con Chris Evans.

Okja, in effetti, ha tutto quello che serve per non sfigurare ma nemmeno eccellere: il genere favola strizza l’occhio a più generazioni di pubblico; il tema ambientalista, a cui ormai si è comunque assuefatti, è un aspetto consolidato del nostro mondo contemporaneo; il modo action con cui il film è trattato è abbastanza avvincente anche se, spesso, risulta poco convincente e forzato. Se non fosse per l’emozione che suscita Mija, la ragazzina protagonista del film, o per la facilità con cui ci si affeziona a Okja, il suo supermaiale domestico geneticamente modificato dalle sembianze di un ippopotamo gigante stile classici-Disney, si assisterebbe soltanto ad una riproposizione della solita, ultra-sperimentata storiella.

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[quotedx]Una riproposizione della solita, ultra-sperimentata storiella.[/quotedx]La situazione idilliaca iniziale (la ragazzina, la sua cucciolona, il vecchio parente un po’ tonto un po’ saggio, le montagne della Korea) viene spezzata dalle logiche affaristiche e senza scrupoli di una multinazionale: Okja è di proprietà della Mirando Corp. (che si occupa di esperimenti genetici su animali destinati al macello), anzi sarà la testimonial della sua nuova campagna pubblicitaria. Per questo viene presa, strappata a Mija, caricata su un camion e portata a Seul con ultima destinazione New York. Ma la Mirando non ha fatto i conti con la caparbietà di Mija e con l’inaspettato intervento di un gruppo di ambientalisti gentili ma determinati. Questi riescono a liberare momentaneamente Okja e, con l’apparente benestare della ragazzina, pianificano la loro missione: registrare, attraverso una videocamera montata su Okja stessa, cosa accade nei laboratori della Mirando Corporation per mostrare al mondo le atrocità che i supermaiali subiscono prima di finire sui piatti dei buongustai di tutto il mondo. Al temporaneo rapimento, i dirigenti della multinazionale reagiscono da lucidi esperti di marketing, tentando di sfruttare l’accaduto per i loro tornaconti: Mija e Okja si dovranno incontrare a New York in occasione del lancio sul mercato della carne dei supermaiali. L’incontro tra la ragazzina e la sua cucciolona sarà l’occasione per vedere chi, tra gli ambientalisti e la multinazionale, avrà la meglio.

Non serve continuare. Ogni scena del film prepara nel modo più tradizionale la scena seguente. Ogni aspettativa che ci si fa è, inevitabilmente e fastidiosamente, confermata. Okja è in pratica la versione live-action di un qualsiasi film targato Studio Ghibli. 

È vero, lo stile Netflix è ben visibile nel modo di raccontare attraverso i suoi personaggi, anche quelli minori. Ogni ruolo, infatti, è ben caratterizzato e, in alcuni casi, anche in maniera accattivante ed ironica, come nel caso della Nancy Mirando (Tilda Swinton), una donna nevrotica e narcisista fino all’estremo, ispirata al personaggio di Effie Trinket della saga Hunger Games. Notevole performance anche quella di Jake Gyllenhaal, che si mostra a proprio agio anche in over-acting perenne. Giancarlo Esposito (Better Call Saul) e Steven Yeun (The Walking Dead) risultano invece un po’ sottotono, benché aggiungano comunque un po’ di spessore. Tuttavia ciò non basta a lasciare il segno. Al di sotto del piano prettamente sentimentale, la storia non sorprende, spesso risulta forzata e banale. Il film ha sì tutto ciò che ci si può aspettare, ma non ha nulla di più.