It – Recensione

Siamo tutti d’accordo che il pagliaccio di It (che poi pagliaccio non è), è entrato di prepotenza nei nostri incubi, principalmente grazie alla potenza della penna di Stephen King. Chi non ha avuto modo di immergersi nel libro, oltre 1000 pagine di angoscia, inquietudine e orrore pre-adolescenziali, ha probabilmente avuto la possibilità di entrare nella cittadina di Derry grazie all’adattamento con protagonista Tim Curry.

Possiamo già dire che il nuovo adattamento di Andy Muschietti non ha nulla a che vedere con il serial televisivo, e traghetta piuttosto It verso una sensibilità moderna e attuale, pur rispettosa dell’opera originale del Maestro di Portland. It, nella visione di Muschietti, funziona, perché non si limita a riciclare gli strumenti del cinema horror “mordi e fuggi”, ma tesse piuttosto un’opera autoriale che gioca con le nostre paure più profonde, esattamente come avveniva nel romanzo originale. Buona parte della grandezza della pellicola deriva quindi dal fatto che si muove sulle spalle di un gigante, ossia il romanzo originale, ma non per questo vogliamo togliere a Muschietti il merito di aver saputo cogliere lo spirito di quell’opera, rielaborandolo magistralmente e adottando tutti gli strumenti in forza al linguaggio cinematografico. Il Re dell’horror ha visto molte delle sue opere trasformarsi in film, ma il nuovo It è, assieme a Le ali della libertà e Il miglio verde, è uno degli adattamenti più fedeli e coinvolgenti.

[quotesx]Un’efficace tensione psicologica[/quotesx]La storia bene o male la conoscete tutti: It è un’entità che vive nelle fogne di una cittadina della provincia americana; alcune persone scompaiono, soprattutto bambini, e cominciano a verificarsi strane e inquietanti visioni. Il bello del film è che l’elemento horror è sì presente (e vi farà saltare sulla sedia in più di un’occasione), ma allo stesso tempo l’adattamento si affranca dalla necessità di dover spaventare in ogni istante, preferendo una più sottile ed efficace tensione psicologica. Il ritratto che viene fatto della cittadina di Derry è spietato, e spesso Pennywise non è neanche in cima alla lista delle sue attrazioni più spaventose. Abbiamo un padre che abusa mentalmente (e forse anche fisicamente) di sua figlia, in una scena non descritta ma comunque disturbante e d’impatto; abbiamo una madre iperprotettiva che tiene suo figlio in una bolla di vetro somministrandogli dei farmaci inutili; e abbiamo naturalmente i bulli, che non si fanno problemi a inciderti la pancia con un coltello se hai la sfortuna di essere cicciotello. I momenti di approfondimento della vita dei ragazzi e dei cittadini sono probabilmente la parte più interessante dell’opera, ed è un peccato che, pur essendo presenti, siano così brevi rispetto all’economia generale del film; ma mi rendo conto che le esigenze del marketing hanno imposto un maggiore focus sulle scene movimentare invece che sull’approfondimento narrativo.

Il vero orrore non si nasconde nelle fogne, o almeno non soltanto, ma è lo stesso che abbiamo vissuto quando eravamo piccoli, quando eravamo ingenui e inesperti, e se malauguratamente eri nel club dei Perdenti la vita diventava incredibilmente più difficile. Spesso l’infanzia viene celebrata come un periodo dorato in cui tutto ero bello e andava bene; King, e la bravura di Muschietti è stata nel cogliere quest’aspetto, ci racconta una storia diversa, esplorando gli aspetti più oscuri e perversi degli anni delle elementari e delle medie. Senza per questo tralasciare gli occasionali momenti di pura bellezza, come può essere far leggere una poesia alla ragazza che ci piace, o la consapevolezza di avere degli amici su cui contare, per sentirsi un po’ meno sfigati e affrontare le nostre paure. Anche quelle più oscure.

[quotedx]Un taglio stilistico personale[/quotedx]Muschietti è stato sagace nell’amalgamare tutte le opere di successo più recenti, che a loro volta hanno saccheggiato It, in quello che è un cortocircuito efficace; il film, in più di un momento assomiglia a Stranger Things, o a Super 8 di J.J. Abrams (che, non dimentichiamolo, è stato il responsabile di aver lanciato il trend della nostalgia per i favolosi Eighties). Al di là delle inevitabili influenze, l’opera ha comunque un suo taglio stilistico molto personale, e riesce a ritagliarsi una forte identità grazie all’uso di un montaggio sincopato e di trovate visive di grande efficacia. In questo senso non si può proprio non citare il Pennywise interpretato da un Bill Skarsgård in forma smagliante. Pennywise è una presenza inquietante, un vero mattatore quando appare sullo schermo, con le sue oscene movenze dinoccolate, il ridicolo costume, i balletti e uno sguardo penetrante che ghiaccia anche il più ardito degli animi; la performance è talmente efficace che Pennywise riesce a spaventare anche quando non è sullo schermo, a dimostrazione che il non mostrare, spesso, è ancora più terrificante del mostrare.

In un’epoca di film horror videoclip, e sequenze di “jumpscare” montati tra di loro per tentare di scuotere uno spettatore ormai assuefatto, ho gradito molto il fatto che Muschietti abbia intrapreso una strada del tutto diversa, costruendo il film non sugli effetti speciali, ma piuttosto sulle tematiche e su di una solida morale. Perché alla fine It non è altro che una celebrazione dell’amicizia, di quella che va contro tutto e tutti, ed è in grado di sconfiggere ogni difficoltà della vita, persino i mostri più spaventosi. Sì, il nuovo It spaventa, ma non tanto per colpa di Pennywise, bensì per tutto quello che c’è intorno, che parla della paura più grande: crescere.