[Roma 2017] Last Flag Flying – Recensione

Last Flag Flying è il nuovo film di Richard Linklater (Boyhood), con un cast la cui sola nomina è capace di far venire brividi di piacere a qualsiasi cinefilo: Steve Carell, Laurence Fishburne, e Bryan Cranston. Last Flag Flying è anche la dimostrazione di come un grande regista e un grande cast possano venire schiacciati da una sceneggiatura pesante, scritta dallo stesso Linklater assieme all’autore del romanzo da cui è tratta, Darryl Ponicsan.

Il film segue tre veterani del Vietnam che si riuniscono – dopo trent’anni che non si parlavano nemmeno – quando il figlio di uno di loro muore in Iraq. Vanno a ritirare la salma ma il padre Larry ‘Doc’ Sheperd (Carell) ha ormai perso ogni fiducia nella Governo, nella Guerra e nel Corpo (dei Marine, ovviamente). Doc non vuole che il ragazzo sia seppellito nel cimitero degli eroi, Arlington, ma in quello di famiglia, accanto alla madre.

Inizia così una specie di Tre Uomini e una Salma, un viaggio fra treno e e auto di un trio di personaggi molto diversi fra loro. Sal (Cranston) possiede un bar, beve tanto e mette continuamente in discussione l’autorità. Mueller (Fishburne) è diventato un uomo di chiesa, e in dio ha trovato la retta via e la redenzione. Doc è un tipo mite. Passano il tempo a parlare dei vecchi tempi, dei bordelli del Nam, delle loro colpe. Da “veri” vecchi – si lamentano dei cellulari e in generale della modernità. Si parla davvero tanto in Last Flag Flying.

Eppure, nonostante o a causa di tutti quei dialoghi, i personaggi rimangono macchiettistici: nemmeno per un secondo riesci a crederli degli ex-soldati. Bryan Cranston, che si ritrova perfettamente a suo agio nella parte, è chiaro cosa è stato messo a fare lì: il jester, il buffone, che attacca sistematicamente tutte le ipocrisie della società e della visione religiosa del reverendo Mueller (Fishburne). Ma in realtà non smonta proprio nulla: dalla sua bocca e dal film in generale esce solo retorica cerchiobottista. Come quando si parla di tutto per non dire nulla.

Si avvicina la stagione degli Oscar, e i filmmaker che vogliono sperare in qualche candidatura devono cercare di accontentare un range di gusti e ideologie il più possibile ampio. E così in Last Flag Flying ci buttano dentro qualsiasi cosa: satira sociale, commedia, tragedia, giovani e vecchi, vecchi contro giovani, e così via. Naturalmente c’è anche la critica anti-militarista, che però nel finale trova la perfetta, scontata e contraddittoria sintesi con l’orgoglio di appartenere a un gruppo, e fa niente (e anzi meglio ancora) se si tratta dei Marines.

Non critico né l’una né l’altra ideologia, ma il modo in cui Linklater le mette assieme: un mucchio di discorsi, a tratti divertenti, a tratti noiosi o ripetitivi, che vorrebbero comunicarti quanto sia futile la guerra che ha irrimediabilmente danneggiato i suoi personaggi con l’esibizione di doti attoriali.

Siciliano di nascita e anche di adozione, adesso gravita sul Raccordo. Per qualche ragione a lui ignota continua a studiare, ma dopo la laurea è convinto che avverrà il ricongiungimento all'Essere. Scrive, legge e si guarda in giro.