L’America ha una grande passione per i suoi eroi, e un grande talento a crearne. Stronger è il nuovo film di David Gordon Green in cui Jake Gyllenhaal interpreta Jeff Bauman, ventottenne che all’attentato della Maratona di Boston, nel 2013, perse entrambe le gambe, e che dopo un periodo parecchio difficile trovò la forza – intellettuale e fisica – di rialzarsi. Bauman, tornato in seguito a camminare grazie a delle speciali protesi, diventò fonte di speranza e simbolo della lotta al terrore.
Il salto logico non è scontato, e il film mostra come il passaggio da ordinary guy a Boston Strong non sia stato semplice, per il protagonista, da accettare. “Mi chiamano eroe solo perché ho perso le gambe?“, chiede Jeff in un passaggio, esprimendo disagio per l’attenzione mediatica che non gli permette di metabolizzare il trauma subito.
Jeff Bauman era un ragazzo normale, sempre allegro, con un impiego da Costco, i genitori separati e frequenti tira e molla con una ragazza, Erin (Tatiana Maslany). Per riconquistarla, va alla Maratona a fare il tifo per lei. Ad un certo punto, una figura incappucciata gli passa davanti, e poco dopo un’esplosione.
Un ragazzo normale, dicevo, che ebbe la straordinaria presenza di spirito, appena risvegliatosi e scoperto che aveva perso le gambe dal ginocchio in giù, di avvertire la polizia di aver visto l’attentatore. Fra una sessione di riabilitazione e l’altra, Jeff impara faticosamente a convivere con la nuova condizione. Erin, da un lato, lascia il lavoro e la famiglia per rimanergli accanto, spingendolo a superare i limiti della mente ancora prima di quelli del corpo. La famiglia, d’altro canto, nonostante le buone intenzioni, si unisce al coro del pubblico che lo vuole un eroe. Madre, padre e amici di una vita sono capaci di comprendere solo i buoni effetti dell’esposizione mediatica, incoscienti dell’influenza che essi hanno sulla psiche del ragazzo.
Il film è molto toccante, la Maslany e Gyllenhaal fanno due performance quasi da Oscar e, benché l’argomento sia decisamente strappalacrime, ci sono diversi momenti comici che alleggeriscono la visione. A volte anche troppo, specialmente se qualcuno va al cinema con la decisa intenzione di farsi un bel pianto liberatorio.
L’apprezzamento di un film del genere, comunque, dipende soprattutto dalla capacità che uno spettatore ha d’immedesimarsi in una storia molto intima, di rinunce e ostacoli, con aspirazioni celebrative, secchiate di retorica e metaforoni dell’America che non si arrende à gogo. Io, per esempio, di questa capacità non ne posseggo molta, ma a qualcun altro sicuramente Stronger piacerà.
Alla Festa del Cinema di Roma 2017 ho avuto l’occasione di vedere Bauman dal vivo, e credo che la serenità delle sue parole sia più comunicativa e commovente dell’intero film.