[Roma 2017] Logan Lucky – Recensione

Quattro anni fa il regista premio Oscar Steven Soderbergh annunciò la sua volontà di ritirarsi dall’ambiente cinematografico, almeno finché non fosse arrivato lo script giusto. A febbraio 2016 si è presentata una certa Rebecca Blunt (persona palesemente inesistente) con una sceneggiatura d’esordio che l’ha conquistato. Logan Lucky, non c’è modo migliore per dirlo, è l’Ocean’s Eleven dei poveri. La squadra non è più quella cool capitanata da George Clooney alle prese con i casinò di Las Vegas. L’America in cui vive la famiglia Logan è quella dei contadinotti, dei low-life, la cui unica possibilità di risalire la scala sociale è il football o i child beauty pageants. O, al limite, rapinare la Nascar: è il contante del caveau della Charlotte Motor Speedway, infatti, l’obiettivo dell’operaio divorziato pseudo-luddista appena licenziato Jimmy Logan (Channing Tatum).

Jimmy coinvolge il fratello Clyde (Adam Driver), reduce dell’Iraq che ha perso un avambraccio (come tiene a precisare), e la sorella super-hot Mellie (Riley Keough). Se l’ambiente è quello dei buzzurri e delle gare di campagna, i Logan – almeno i maschi – sono l’ultimo anello della catena alimentare, e pare che una qualche maledizione perseguiti la famiglia. È con qualche resistenza, quindi, che riescono a convincere a partecipare al colpo anche Joe Bang (Daniel Craig), praticamente una leggenda delle esplosioni.

A questi personaggi si aggiungono i due sporchi e cattivi fratelli di Bang, l’ex-moglie del protagonista (Katie Holmes), un eventuale flirt (Katherine Waterstone), un’agente FBI ficcanaso (Hilary Swank), un integerrimo pilota Nascar (Sebastian Stan) e il suo eccentrico capo attaccabrighe (un irriconoscibile Seth MacFarlane).

I personaggi, tanti ed esagerati dal primo all’ultimo, è chiaro: sono il punto di forza del film, un ensamble pensato a posta per il genio di Soderbergh. È vero che alcuni sono buttati in mezzo un po’ a caso, e in più momenti ci si chiede cosa ci facciano lì, ma in generale sono ben costruiti.

Insomma, sulla carta, quella della Blunt (cioè la moglie di Soderbergh) è una sceneggiatura coi fiocchi. Ma all’atto pratico i risultati non sono così esaltanti. Ciò che vuol essere comico, e fallisce nel far ridere, diviene ridicolo o, peggio, noioso. Nella prima metà del film, come in ogni caper movie, avviene la solita formazione della squadra: i momenti vorrebbero apparire brillanti, ma sono invece sin troppo statici e le battute sui redneck forzate. Nella seconda, quando finalmente si comincia a vedere un poco della regia acuta e coinvolgente cui Soderbergh ti ha abituato, il ritmo viene continuamente interrotto da gag o momenti semi-drammatici.

Per carità, è sempre Soderbergh, gli attori sono tutti eccellenti e i personaggi adorabilmente anti-glam, e in fondo il copione neanche è così male. Ciò che è mancato al film è un produttore degno di questo nome (Soderbergh si è auto-prodotto) capace di far prendere a Logan Lucky la direzione giusta: + azione, – gag.

Siciliano di nascita e anche di adozione, adesso gravita sul Raccordo. Per qualche ragione a lui ignota continua a studiare, ma dopo la laurea è convinto che avverrà il ricongiungimento all'Essere. Scrive, legge e si guarda in giro.