[Fantafestival 2017] Soviet Zombie Invasion – Recensione

È stato ospite d’onore della prima giornata del Fantafestival il maestro Andrea Marfori, autore del cult del 1988 Il Bosco 1 (del quale è attesissimo il sequel). Ho così avuto il piacere (tanto) di vedere due fra le sue opere più recenti. La prima, Soviet Zombie Invasion, è un mediometraggio prodotto in Russia, a Mosca, il cui titolo, che adoro, fa il verso ai vari Dead Snow e Frankenstein Army, nei quali a tornare dall’oltre tomba sono invece i nazisti. Il set è un enorme edificio abbandonato, labirintico, pieno di murales, calcinacci: dio solo sa a cosa doveva servire in origine. Per un film di zombie, comunque, è assolutamente perfetto. Le riprese, rivela il maestro, sono state effettuate senza autorizzazioni (dopotutto siamo in Russia), nell’arco di pochi giorni a causa del budget limitato.

Ma “di necessità, virtù“, dice un vecchio adagio, e quanto è vero! Soviet Zombie Invasion è il classico quanto raro caso in cui la mancanza di mezzi diventa forma d’espressione. Anzi, più che forma: libertà d’espressione. È un sapiente, creativo mix d’ingegno e ingenuità quello che, spente le luci in sala, decide di sorprendere le orecchie degli spettatori con musica metalla russa sparata a mille; mentre è occhio attento alle tendenze del momento quello che sceglie di mostrare, come prima scena, un evento in cui il pubblico di un cinema viene aggredito per finta da attori posticciamente travestiti da zombie.

Quando mai l’hai visto uno zombie con lanterna?

Da qui seguiamo un gruppetto di due giovani coppie. Uno dei ragazzi, Dima, infervorato dall’esperienza appena vissuta, decide di fare una bravata: allora entra in un ospedale abbandonato, che si vocifera essere covo di oscure presenze. La sua ragazza e i suoi amici, troppo spaventati per seguirlo, in un primo momento lo aspettano fuori. Stanchi e preoccupati, quelle che sembrano ore dopo, lo vanno a cercare.

Intendiamoci: stiamo parlando di un film che presenta quelli che, a un’occhiata troppo abituata agli onnipresenti buoni sentimenti del cinema contemporaneo e alla fredda perfezione estetica del green screen, potrebbero risultare enormi difetti. Il doppiaggio è sballato, la fotografia inesistente, la trama oscura, i costumi dozzinali, gli effetti speciali fatti con un’applicazione Android, il make-up abbozzato. Eppure…

Eppure c’è un motivo se sono rimasto per tutta la durata del film con un sorriso ebete stampato sulle labbra. Quello di Marfori è un cinema crudo, divertente, artigianale, spontaneo: sincero. Ho colto, in particolare, la fiducia del regista nella mano femminile che ha realizzato lo script, Paola Mingoni. L’ospedale di Soviet Zombie Invasion diventa così un microcosmo distopico nel quale si entra e mai si esce, il tempo della narrazione si dilata, e i personaggi si trasformano quindi in archetipi quali “Il Dottore”, “Il Mercante”, e il veterano che, a furia di portare una maschera da zombie, si scopre alla fine non-vivo egli stesso.

L’unico vero difetto? Dura solo 45 minuti. Il film è stato concepito infatti come pilota per una serie che, a questo punto, spero davvero si riesca a realizzare.

The unfortunate life of Georgina Spelvin chained to a radiator

Ma è con lo pseudo-snuff movie sulla povera Georgina Spelvin, per la durata di 17 gloriosi minuti, che ho provato l’emozione di non sapere – davvero, scena dopo scena – a cosa andavo incontro. Nel corto c’è solo lei, l’attrice Erika Kamese, seguita ossessivamente da una videocamera mentre si sottopone a un gioco pericoloso con la promessa di aiuti con l’ufficio immigrazione. Ammanettata a un termosifone, Georgina subisce umiliazione e tortura. Non posso dire, in merito, né dirò altro. Ho scoperto così un tocco più autoriale di Marfori, il quale invece di choccare con la ricerca dell’assurdo sceglie di mettere lo spettatore a disagio, e gli pone la domanda: “Sei sicuro che ciò che stai vedendo sia finzione?“.

Siciliano di nascita e anche di adozione, adesso gravita sul Raccordo. Per qualche ragione a lui ignota continua a studiare, ma dopo la laurea è convinto che avverrà il ricongiungimento all'Essere. Scrive, legge e si guarda in giro.