«Dio è morto! (…) E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? (…) Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?» così parlava l’uomo folle di Nietzsche ne La gaia scienza, ma forse non intendeva spingere l’uomo ad accaparrarsi la superpotenza di Dio. Forse intendeva suggerire agli assassini di coglierne tutta la responsabilità, il sacrificio e che solo così gli uomini dovevano e potevano diventare Oltreuomini. Questo il cuore pulsante di Matar a Dios, il lungometraggio di Caye Casas e Albert Pintò.
Una coppia in declino si prepara per una cena natalizia insieme alla famiglia. Carlos, un sessista e rancoroso, ha appena scoperto che sua moglie Ana – che ancora lo ama – lo ha tradito. E il resto della famiglia non è certamente messa meglio: il padre di Carlos – dopo la morte di sua moglie – ha definitivamente deciso di darsi all’alcool e alla bella vita, nella dissoluzione e nel disinteresse per una qualità di vita che non ha più senso salvaguardare; anche il fratello Santi ha perso l’amore: ne è rimasta solo una cieca e deprimente ossessione. Nonostante i dialoghi divertenti e le situazioni di brillante comicità, l’atmosfera riesce a mantenere la tonalità tragica della narrazione. Ed è qui – quando gli uomini perdono l’amore – che si presenta Dio, un nano irriverente, alcolizzato e furbo che, a tutta prima pare, solo un barbone in cerca di cibo e riparo.
La famiglia finisce per credergli e l’uomo dice loro di essere lì per una ragione precisa: l’indomani il mondo finirà, moriranno tutti ad eccezione delle due persone che loro indicheranno in un foglio. Ma la storia ci dice – con le sue stesse parole – che non abbiamo nulla di speciale per “meritarci” questo compito, non abbiamo nessuna qualità morale o etica per un’azione simile! “Somos basura! (siamo immondizia!)” dice Carlos. Ma il dio-nano non dà spiegazioni, li prende in giro per le loro credenze vuote, per quel Paradiso che è in cielo (e che non cerchiamo qui in Terra) e per quelle domande stupide alla presenza dell’entità più grande dell’intero nostro universo. Loro, del resto, non riescono a mettersi d’accordo neanche sul criterio di scelta e il cinismo, il rancore, l’orgoglio e forse anche la profonda tristezza della condizione umana decideranno le sorti della storia…dell’umanità!
Matar a Dios porta argomenti importanti, teologici e antropologici, in una tavola imbandita di scherzi, di giochi linguistici e di situazioni esasperate che sapientemente incedono verso l’horror. E che gli spagnoli siano molto abili nel puntellare la commedia sulla sua più alta e ricca capacità espressiva è quello che questa 37° edizione del Fantafestival ha dimostrato a partire dai Fantacorti selezionati e che coerentemente ha deciso di premiare col titolo di Miglior lungometraggio straniero (la pellicola aveva già vinto il Gran premio del público del Festival di Sitges)
Un film natalizio della cui uscita nelle sale italiane non sappiamo ancora nulla, ma che certamente preannuncia, ci auguriamo, l’esplorazione di nuove chiavi cinematografiche per le future commedie natalizie e non solo.