Sono ispirato. A dir poco. Senza Doom, non sarei qui a scrivervi del suo clamoroso ritorno sugli scaffali di tutto il mondo. Quei quattro floppy da tre pollici e mezzo, mi hanno letteralmente cambiato la vita. Porto molti giochi nel cuore… ma la prima volta che ho segato Imp con una motosega e un sorriso sadico pregno di schizzi di sangue, ho capito che non potevo fare un lavoro al di fuori della game industry. Sì, ero a metà strada tra il bambino e il ragazzino, ma diamine se l’ho capito. Un amore puro, infinito come le orde di demoni e la pioggia di proiettili partorite dalla coppia di John più famosa del videogioco. Un amore che non è mai sfiorito, tra editor di mappe, mod, espansioni, conversioni, sfide, LAN party… per 23 anni. Avete capito bene. Persino oggi, non appena acquisto un nuovo smartphone, Doom è sempre la prima app da installare per me. Quindi capirete bene quanto questo momento storico sia importante, per chi vi scrive. Perché il mio cuore di fan (senza boy), è stato spezzato già due volte in passato. Prima nel 2004, con Doom 3, dove Carmack e soci decisero di fondere il capostipite del genere con l’innovativa struttura narrativa di Half-Life: il risultato a mio avviso risultò impietoso, un puro sfoggio di potenza grafica che aveva totalmente perso il focus sulle radici del suo gameplay. E dopo, nel corso del 2011, quando ancor prima dell’annuncio ufficiale, una persona all’interno di id Software mi confessò che lo sviluppo di Doom 4 stava per essere azzerato a causa di risultati non soddisfacenti: troppo diverso dal feeling dei titoli originali, mi disse. Insomma, pensare che questo giorno sarebbe infine arrivato, per me e per chi è cresciuto navigando tra WAD ed editor per buona metà degli anni novanta, poteva essere la classica delusione dalla quale non ci si riprende più. Sì, i due John, non ci sono più. Così come tanti altri di casa id Software. Bethesda, poi, è ingenuamente vista come la cattivona di turno da molti di voi che leggete, molti di voi che giocate. Eppure, dopo otto anni dal suo annuncio, il nuovo Doom è davvero qui. E non è il caso di dire “hurt me plenty”, adesso.
IL DESTINO DIVENTA ROSSO SANGUE
La violenza messa su schermo fin dai primi istanti della campagna single player, è potente. Viscerale e incisiva, come una coltellata in pieno ventre. Giusto il tempo di un passabile scambio di battute da film di serie B (per qualche motivo oscuro, sono ancora affezionato a The Rock con un BFG), e sarà tempo di fare carneficine. E che carneficine. Doom è una gioia per gli occhi, una valzer di arterie recise e corpi mutilati con tanto di aggressiva colonna sonora Metal in sottofondo, uno schiaffo in pieno volto agli stenti di Doom 3 e i suoi corridoi con due, massimo tre Imp che tentano il jumpscare di turno. Fa carta straccia dei claudicanti giri in macchina di Rage, della pretenziosità di Quake 4, dei nuovi CoD, Battlefield ed altri FPS impomatati, pronti da consumare per generazioni che non hanno mai assaggiato il gusto della sfida contro un’IA più carogna di qualsiasi PVP. Niente coperture, niente classi, diciamo “NO” ai camper, via fucili da cecchini da codardi e sì alla massima “l’attacco è la miglior difesa”. No, non dovremo attendere neanche 20 minuti che su schermo si scatenerà l’inferno. Come non succedeva più da troppi anni. Una danza che chi ha provato a battere anche il clamoroso, sadico, Doom II, ricorderà ancora bene. Si, ve lo dico: è come andare in bicicletta. E il lavoro su questo capitolo è il frutto di chi ha passato davvero infinite ore, sui padri del loro genere. Una danza di strafe e combattimenti a pieno volto, dove vi sembrerà quasi di sentire il ticchettio delle freccette laterali della tastiera, tra un’esplosione di carni e un assolo di chitarra elettrica. No, non sto esagerando. Il voto in calce, l’avrete già visto. Ora continuate a leggere, che vi dirò fino a che punto è dannatamente meritato.
Pochi fronzoli: se davvero seguirete i dialoghi o le scuse per fare pile di cadaveri ordinate, sulla terra rossa di Marte, state sbagliando completamente approccio. La storia c’è, così come addirittura i log in salsa Doom 3, vero. Ma per fortuna, è a dir poco marginale. Ciò che conta è la velocità insana (per i tempi di oggi) dell’id Tech 6: una gioia per gli occhi, che ripara i danni del suo predecessore in pasto ad hardware per nulla all’altezza dell’ingrato compito (qualcuno ha detto MegaTexture?) e persino dei soldi che sborsammo all’inizio del 2000 per mettere in linea il nostro vetusto PC con i computer della NASA, preparandolo all’arrivo poi del mediocre Doom 3. Ma qui, anche su PS4 e Xbox One così come su PC di fascia media, godremo di un framerate ancorato tra i 50 e i 60 fps, tra riverberi romantici di effetti di luce e particellari, nuvole di sangue, e orde di demoni che riempiranno lo schermo. Ricordate le dichiarazioni all’uscita di Doom 3, in cui Carmack disse che uno dei problemi più gravi con l’avanzare della tecnologia era l’impossibilità di avere tanti nemici ultra-curati su schermo? Ecco, ora è preistoria. La complessità delle mappe su infiniti livelli di altezza è un altro schiaffo morale ai trucchetti del Doom Engine, con la sua impossibilità di posizionare una stanza sopra l’altra. Come detto, ora non dovrete più aspettare: come ai vecchi tempi. E badate: questo gioco porta la firma di chi con i capitoli originali si è fatto le osse, ci è cresciuto, li ha amati incondizionatamente. Quindi, aspettatevi tante ore (circa 16 di media) di pura azione, cascate di sangue e adrenalina, sfilate di bellissimi demoni (¼ Doom, ¼ Quake 4, ¼ Bioforge, ¼ Ignoranza pura), sfide continuative e tante, tante imprecazioni. Beh, se siete cresciuti a DOS, metal e VHS, siete a casa.
Persino a livello normale (“hurt me plenty”… come no), avrete pane per i vostri denti. Perché si muore, spesso e volentieri, anche tra gli hardcore gamer della saga. Non solo: ci si perde. Le mappe, dopo le prime battute, diventeranno via via più complesse e trovare le chiavi rosse, blu e gialle, diventerà sempre più arduo. Sì, avete letto bene: chiavi rosse, blu e gialle. Accendetevi una sigaretta, suvvia. Doom è davvero tornato. E vi farà sentire il cuore pompare nel petto, ancora una volta. Confesso di aver provato leggera preoccupazione, davanti alla scelta di inserire dei potenziamenti e delle modifiche alle armi. Il motivo, è ovvio: funziona già tutto perfettamente, oggi come allora, e la motivazione poteva anche essere di quelle devastanti. Del genere: “si deve farlo perché ehi, siamo pur sempre nel 2016”. Invece no. Anche qui, applausi scroscianti. Qualcuno si è presa la briga di scremare tutto quello che è arrivato dal 1995 ad oggi. Di buttare via tutto quello che fosse inutile e di fondere ciò che rimaneva con l’anima ignorante e brutale del vero Doom. Ecco che anche aggiungere uno slot di missili al nostro mitragliatore acquista un senso nel gameplay, riflesso nelle nostre pupille dilatate, mentre scivoliamo in pieno strafe su piattaforme metalliche, conficcando testate esplosive nelle carni putrefatte di un Mancubus, e continuiamo tranquillamente a fare fuoco, senza pietà, su orde di Imp e Cacodemoni. E ritroveremo tutti i vecchi classici, compresa la motosega del buon Tom Hall (sì, quella digitalizzata nel gioco, che mi raccontò di aver portato direttamente in ufficio dal suo garage). La potremo usare per fare rifornimento di munizioni maciullando demoni. Ma diciamo la verità: la useremo comunque perché è da 23 anni che fare a pezzi demoni è troppo divertente. Per quanto riguarda invece le modifiche della bellissima tuta Praetor, spazieranno dalla resistenza alle cadute a un maggior numero di colpi trasportabili. Ah, e nel caso ve lo stiate chiedendo, non ci sarà bisogno di ricaricare le nostre armi, qui. Già, come ai vecchi tempi. Pochi fronzoli e più proiettili.
Insomma, una campagna perfetta? A voler essere pignoli, non del tutto: c’è qualche passaggio forzato, un finale “particolare”, e qualche ripetizione di troppo. Ma, a dirla tutta, neanche le mappe dei tre storici episodi del 1993 erano davvero “tutte belle e riuscite”. Quello che si può dire senza ombra di dubbio è che ci troviamo di fronte alla migliore campagna di un FPS da tanti, e troppi anni. Ma badate: il voto che avrete già sbirciato non è meritato soltanto da questa fantastica doccia di sangue ed esaltazione targata id Software. Sarebbe già un titolo di ottima fattura, il ritorno sperato e inaspettato per il quale abbiamo acceso ceri del cimitero nelle nostre stanze, e per decadi. Ma c’è molto di più. E così ci colleghiamo online, carichi di quad damage da fan estasiato, e ci rendiamo conto perché Bethesda non ha fornito i codici del gioco per le recensioni, prima che i server fossero online. Di sicuro, qualche altro collega oltre a me, avrà temuto che fosse soltanto per salvare il day one ma possibili voti negativi. Ma, grazie al demone barone, non è questo il caso. Il fatto, anche inaspettato, è semplice: la componente online è davvero importante, non un semplice accessorio ma dannatamente curata e tanto, tanto corposa. Supponiamo che le due cose che avete amato di più, targate id Software, siano Doom I & II e Quake 3 Arena. Supponiamo. Ebbene, il sottoscritto rientra perfettamente nel caso sopracitato, e si è quindi letteralmente sciolto sul divano, come i frame di un cacodemone (che Romero disse essere stati un inferno da realizzare), davanti a questo comparto online. Perché il nuovo Doom prova a fondere quelle tre pietre miliari insieme. Sul serio. Il risultato è una vera e propria rivisitazione di Arena, frenetica e brutale. Poche modalità ma tanto diverse tra loro, che spaziano da un dominio dove l’area da conquistare camminerà (letteralmente) lungo la mappa, fino ad arrivare ai team deathmatch con permadeath. Ovviamente sì, potremo salire di livello e sbloccare nuove importanti funzioni per il nostro alter ego ma, anche qui, tutto è stato scremato e filtrato. E anche bene. Ad esempio, una caratteristica unica e determinante del multiplayer di Doom è la possibilità di trasformarsi in un demone, e per usufruire di quelli più avanzati come il Mancubus dovremo prima spendere qualche oretta e farci le ossa, tra doppi salti e frenetiche multi-kill. Da Arena ad Unreal Tournament, passando per Halo 2, “l’online di una volta” è quindi tornato… e vi posso assicurare che se avete passato anni sui titoli sopracitati, spenderete davvero tante, tante ore anche qui. Ore di puro massacro e divertimento.
Ma no, non è ancora finita. Perché id Software ha voluto fare le cose una volta e per bene, dopo Doom 3, dopo il non del tutto riuscito Rage. Perché voleva tornare dai suoi innumerevoli fan (tra il 1993 e il 1997, il solo shareware di Doom venne scaricato nella sola forma digitale da oltre 15 milioni di persone) con una nuova incarnazione definitiva. E voleva senza dubbio riuscire a far breccia anche sui giovani, con la saggezza di chi ha dettato legge e di chi “still got it”. E così, oltre a tutto questo, ritroveremo anche l’editor delle mappe. Avete capito bene: potrete creare mappe con numerose modalità (c’è già chi ha creato minigiochi come uno “Speedball Doom”), giocarle con i vostri amici, trovarne sempre di nuove al vostro ritorno a casa. Certo, l’editor non risulta semplicissimo da usare e non tutti lo utilizzeranno: a tratti l’ho trovato anche più “duro” del DEU. Ma dopo un discreto numero di ore, siamo riusciti a partorire un piccolo capolavoro… e sono soddisfazioni che non si provavano da qualche tempo. Snapmap, da solo, allunga quindi la longevità del titolo verso l’infinito, calcolando che in soli due giorni ci siamo ritrovati sui server un numero impressionante di mappe a nostra disposizione, comodamente filtrabili attraverso alcuni parametri (più votate, più giocate, ecc). E dopo averne giocate e provate di ogni colore e tipo, siamo ritornati nell’arena del multiplayer. E poi in quella della campagna con sfide che farebbero impressionare anche Doom II (no, non esageriamo: provate Ultra-Nightmare con permadeath e un’unica chance per finire la campagna, poi ne riparliamo). E così via. Fino al sorgere del sole, tra un caffè e una sigaretta. Come non succedeva da… e sì lo so, l’avete già letto tante volte. Eppure, è la stessa sintesi nostalgica del nostro verdetto. Perché davvero, era troppo tempo che non andavamo all’inferno.