A dispetto dell’abuso di espedienti narrativi che sempre in più produzioni ludiche vedono il fulcro in una qualsivoglia apocalisse zombi, ci sono talune produzioni che ancora riescono a trasmettere un buon feeling, nonostante si tratti di remaster che poco hanno da aggiungere rispetto alla prima incarnazione di un gioco. E’ il caso di Deadlight: Director’s Cut, titolo risalente al 2012 che approda adesso sulle piattaforme current gen PS4, Xbox One e PC. Nel gioco vestiremo i panni consumati di Randall, una guardia forestale canadese che, trovatosi nel mezzo di un’epidemia globale in grado di trasformare gli esseri umani in ciondolanti ma pericolosissimi zombi, viene separato dalla sua famiglia nel corso della fuga verso un non meglio precisato ‘punto sicuro’, che si trova nella devastata città di Seattle. Siamo introdotti alle peripezie di Randall da delle cut scene in stile fumetto in cui il nostro uomo si ritrova costretto, suo malgrado, ad eliminare Karla, membro del suo gruppo di scampati, la quale ha commesso l’errore di avventurarsi in solitudine all’esterno del loro rifugio temporaneo, per poi essere attaccata a suon di morsi da dei non morti ed iniziare, quindi, il suo ciclo di trasformazione in un’ombra (questo il nome che è stato dato agli zombi nel gioco). A risolvere la situazione è proprio Randall che esplode un colpo di pistola alla testa della donna, ma con l’effetto collaterale di attirare l’attenzione delle altre ombre e costringendolo, in un atto eroico, a separarsi dal suo gruppo per fargli guadagnare tempo ed iniziare, quindi, un disperato viaggio in solitaria per ricongiungersi con i suoi compagni di sventura e raggiungere, appunto, la zona sicura della città. Disarmato e carente di mezzi, Randal dovrà dare sfogo a tutto il suo ingegno e la sua prestanza fisica per progredire in quello che è, a tutti gli effetti, un platform bidimensionale (ma con grafica in 3D) fortemente contaminato da ambientazioni ed elementi survival horror.
La migrazione del gioco alle macchine di questa generazione ha portato con se tutta una serie di miglioramenti tanto nel comparto visivo quanto in quello del giocabilità. L’atmosfera resta la stessa dell’originale, forte di una direzione artistica encomiabile che gioca buona parte della suspance sul forte contrasto tra luci e ombre. Il protagonista sarà sempre avviluppato da un’intesa penombra mentre tutte le ombre saranno completamente scure, ad eccezione degli occhi rigorosamente caratterizzati da un color rosso intenso. Le ambientazioni, da canto loro, si rivelano ricchissime di dettagli, attorniate di cromatismi crepuscolari immersi in un costante grigiore, conferendo al gioco il necessario pathos ed una rigorosissima alea coerente con la visione apocalittica di una piaga globale non dissimile da quanto visto nel lungometraggio Io Sono Leggenda con Will Smith. Atipico, in qualche modo, è il frangente temporale in cui le vicende si verificano, nel lontano 1986, proponendo quindi una linea temporale non futuristica (e forse futuribile) ma uno scorcio parallelo al passato che tutti conosciamo. Presupposti e antefatti sono affidati al diario del protagonista che per qualche motivo è incompleto e le cui molte pagine mancanti saranno recuperate proprio da questi nel corso delle vicissitudini controllate dal giocatore mediante pad. in questa Director’s Cut, Deadlight acquisisce un’indubbia maggior pulizia dell’immagine e l’alta definizione restituisce un ottimo risultato circa il lavoro fatto dagli sviluppatori in sede di aggiornamento. Ne guadagna anche la fluidità ed il comparto delle animazioni ora più convincenti, nonostante si sia trattato di un lavoro di mera rifinitura. Effetti particellari ed elementi come fuoco e fumo sono anch’essi distintivi del salto generazionale. Il guadagno è sensibile anche sul fronte della giocabilità: nonostante la struttura rimanga invariata, l’affinamento delle meccaniche e dei comandi capaci di rispondere meglio rispetto all’originale, rendono il gioco ancora più godibile. Randall si ritroverà, quindi, in una situazione di costante pericolo in cui dovrà affrontare (e, se possibile, evitare) degli scontri con le ombre, pedissequamente attirate da qualunque rumore. Per farlo, avrà a disposizione un armamento risicato ma utile composto inizialmente di un’ascia da pompiere cui, solo successivamente, si uniranno una revolver ed un fucile. Interessantissima e altamente godibile è anche la necessità costante di risolvere degli enigmi ambientali per poter procedere e che riguarderanno l’attivazione di un generatore per dare o togliere corrente a delle zone (facendo attenzione ad evitare le pozzanghere che, quando elettrificate, sono, si, un ottimo metodo per friggere le ombre ma sortiscono il medesimo effetto sul protagonista causandone la morte istantanea), attivare dei macchinari che riverseranno sui nemici dei pesi che li schiacceranno (casse, automobili e quant’altro). Farà parte della risoluzione degli enigmi ambientali anche la possibilità di poter attirare l’attenzione delle ombre con un richiamo vocale o un fischio al fine di farle cadere in una trappola o farle raggiungere un’area dello schermo che ci renderà più pratico il superarle o l’eliminarle.
Tale struttura, in tutta la sua validità, sarebbe stata poco consistente se non fosse per un level design davvero ispirato e decisamente accattivante. Il gioco risulta essere diviso in tre capitoli, ognuno caratteristico sia per ambientazione che per ritmo. E così, se in tutta la prima parte acquisiremo familiarità con controlli e dinamiche, andando via via incontro ad un ritmo sempre più serrato, nella seconda, a sorpresa, ci ritroveremo catapultati nella zona fognaria della città dove level design ed enigmi ambientali raggiungono la loro massima espressione, cedendo il passo ad un ritmo complessivamente meno incalzante ma molto più ragionato, in cui salti millimetrici e tempismo continueranno comunque ad essere fattori imprescindibili. E’ la terza ed ultima parte del gioco a sollevare qualche perplessità ed essere, forse, meno godibile per quanto in linea con l’intera avventura. In questa fase, infatti, assisteremo ad un tentativo di congiunzione, dal punto di vista strutturale, della prima e della seconda parte di gioco, con un ritmo serratissimo e la contestuale risoluzione di piccoli enigmi (in questo caso necessariamente banali, visto il ritmo) ma con l’aggravante di un comprimario che ci darà più di qualche noia poiché sempre necessitante del nostro aiuto. Purtroppo permangono alcuni difetti legati al sistema di controllo che, per quanto decisamente migliorato, risulta talvolta impreciso decretando delle sequenze abbastanza frustranti (nel nostro personale caso parliamo di tre situazioni in tutta la nostra corsa alla sopravvivenza, quindi nulla che infici realmente la godibilità del gioco). I difetti sul versante tecnico, invece, riguardano alcuni glitch grafici, delle compenetrazioni non troppo sporadiche ed un antialiasing non ottimizzato che, sovente, lascia emergere più di qualche scalettatura, fattore, questo, perdonabilissimo vista la discreta bontà dell’impianto grafico e l’ottima direzione artistica, ma che, a fronte di macchine decisamente performante rispetto al passato e vista la tipologia di gioco, poteva essere a nostro avviso risolto senza particolari problemi.
La vera aggiunta in Deadlight: Director’s Cut è la modalità sopravvivenza, novità che si propone di attenuare, ma riuscendovi solo in minima parte, il grosso problema del prodotto: la longevità. Deadlight: Director’s Cut, infatti, rimane estremamente breve (meno di 3 ore e mezza, escluse le morti ed i nuovi tentativi che, se contemplati, portano il tempo ad un lordo di 7 ore). Certo, bisogna ammettere che il fascino dell’ospedale da cui sarà impossibile uscire (l’arena di questa modalità) e l’incessante lotta utilizzando una serie di elementi per rallentare gli zombi, guadagnare tempo, eliminarli, evitarli e via dicendo, rappresenta una reale sfida che viene però parzialmente ridimensionata dalla sensazione che lo sviluppatore non vi abbia profuso la necessaria cura, rendendo questa modalità un’aggiunta che, per quanto godibile, si rivela infine piuttosto marginale e non rappresenterà in alcun modo una valida motivazione all’acquisto per quanti hanno giocato il titolo nella sua prima versione.