Furi – Recensione

“Un grazie davvero speciale a Shinj Mikami, Hideki Kamiya, Keiji Inafune, Hideo Kojima, Hidetala Miyazaki, Genyo Takeda, Platinum Games, Grasshopper e Treasure Co. Grazie per i bei giochi e i bei ricordi”. Con queste parole si conclude il viaggio attraverso il mondo di Furi. Vedendo quei caratteri apparire sullo schermo,  in quel  preciso istante, ho percepito chiaramente la voce dell’autore rivolgersi al sottoscritto, come se ci conoscessimo e avessi vissuto nello stesso condominio durante l’era doro del gaming giapponese. Pomeriggi persi tra sprite e poligoni grezzi che via via si facevano più raffinati e ricercati, mantenendo però saldo il legame con una filosofia di sviluppo che in nessun modo voleva tradire la propria vocazione, ovvero la ricerca di un gameplay che fosse preciso, bilanciato e – soprattutto – divertente. Furi è un gioco figlio di chi ha distrutto pad lanciandoli contro il muro, per poi pentirsi, raccoglierli e ributtarsi all’attacco per vincere una battaglia all’apparenza impossibile: il titolo marchiato The Game Bakers non si limita a proporre una sfida estrema in cui inserirsi interpretando un ruolo a piacimento per poi venirne fuori nei modi più disparati, ma diventa insegnante severo che non concede nulla al proprio discepolo, perché la via della spada è una sola e qualsiasi digressione in merito comporterebbe una corruzione del proprio cammino.

furi-recensione-screen-004

UN TUFFO NEL PASSATO

Furi prova a rimescolare i dogmi degli action 3D con la sua natura lineare e schietta che vede il giocatore fronteggiare solamente boss battle, una dietro l’altra, con un gameplay ibrido che unisce la frenesia di titoli come Bayonetta alla freddezza dei bullet hell da sala giochi. La nostra arma principale è infatti una pistola, con cui possiamo tenere costantemente sotto pressione il nostro rivale grazie alla sua buona frequenza di fuoco e possibilità di caricare i colpi, in grado di abbattere gli scudi. Nel momento in cui riusciamo ad avvicinarci alla nostra preda, è possibile tirare fuori la spada e provare a infliggere danni considerevoli, passando poi (a seconda del boss e dell’occasione) alla modalità duello in cui l’azione si circoscrive in un raggio ridotto e bisogna diventare maestri nella lettura delle mosse avversarie per parare e contrattaccare, completando il tutto con una combo.

Gli scontri sono scanditi dall’alternarsi di danze tra proiettili, parate perfette per recuperare energia e la capacità di trovare le aperture nelle tattiche rivali, spesso risultato di azioni un po’ più coraggiose del consueto. Ogni avversario ha una caratterizzazione, un’ambientazione e uno stile di combattimento profondamente diverso dagli altri assicurando varietà ad una struttura che all’apparenza potrebbe risultare povera di brio e che invece cambia le carte in tavola in continuazione cambiando anche radicalmente i pattern nemici ad ogni barra di energia che gli viene privata. Ogni duello dunque si svolge in fasi e tra queste recuperiamo tutta l’energia della barra utilizzata, denotando quanto la severità sopra accennata sia compensata comunque da una lealtà innegabile. Non è altrettanto buono con noi il gioco quando non riusciamo a completare una fase nemica nella sua interezza, riportandoci al suo inizio e ricaricando l’energia avversaria: sì, sarà anche leale e giusto, ma dopo avere affrontato le diverse sezioni di ogni fase a testa alta, venire riportati all’inizio della stessa per ricominciare e ricominciare (fino all’esaurimento delle vite) può logorare la fibra dei guerrieri meno tenaci.

furi recensione screen 003

Ogni duello di Furi è una lezione, in cui la sfida che ci viene proposta cresce costantemente, a tratti sorprendendoci con interessanti twist, per assicurarsi che non solo si superino i livelli a noi posti dinanzi, ma che si possa anche crescere come giocatore e quindi migliorare noi stessi come protagonisti. In questo gioco si parla mettendo in campo la nostra abilità di combattimento, in quanto il nostro avatar è totalmente muto e diventa partecipe di monologhi in cui i nostri avversari rievocano ricordi o avvenimenti di cui “dovremmo” essere a conoscenza ma di cui – ovviamente – non abbiamo traccia nella nostra memoria. Gli appellativi che ci vengono rivolti non sono mai lusinghieri e sorge la voglia di capire il perché di questo odio, perché si venga considerati così pericoli al punto di essere rinchiusi in una prigione “matrioska” da cui è possibile uscire solamente sconfiggendo i migliori combattenti di quel mondo. E quando emergono le personalità dei boss, si può provare empatia, stima, insofferenza, stupore… come in un perfetto shounen giapponese, la verità non è un assoluto e anche un nemico può identificarsi come personalità degna di nota, al punto di spiacersi quando si pone fine alla sua esistenza.

Furi picchia duro quanto a gameplay, ma anche visivamente: l’utilizzo di un cel shading acido – verrebbe da dire – ricco di colori accesi e neon, ci trasporta in una fantasia anni ’80 che si riflette nell’eccezionale colonna sonora che si pone come uno degli elementi di maggior successo dell’intera produzione. Prestazioni solidissime a 60fps, che garantiscono una risposta dei comandi impeccabile, muovono un comparto le cui scelte cromatiche permettono di identificare con efficacia le minacce cogliendone le tempistiche , così da interpretare adeguatamente le mosse nemiche. Sebbene nelle scene d’intermezzo sia fin troppo presente un fastidioso tearing, visivamente è innegabile l’efficacia della collaborazione con Takashi Okazaki, creatore di Afro Samurai, che ci regala personaggi eccentrici ma affascinanti, che non scadono praticamente mai nel pacchiano o nel prevedibile.

furi-recensione-screen-002

Uno stile così caratteristico necessitava di una direzione artistica di livello che potesse esprimersi nei vari biomi che fanno da cornice ai nostri combattimenti, ricchi di geometrie coraggiose e visuali azzardate che regalano punti di vista assolutamente originali nei tratti di transizione tra un livello e l’altro. Proprio in queste situazioni ci viene fornito qualche stralcio della trama dal nostro misterioso accompagnatore, interessato a sfruttare le nostre abilità per abbandonare lui stesso la prigione – sebbene mostri di avere abilità fuori dal comune nel muoversi nello spazio, quasi si teletrasportasse. In questi momenti il gioco assume un ritmo drammaticamente lento, sopportabile per via di una camminata automatica (attivabile premendo X) che ci solleva dalla responsabilità di guidare il personaggio verso il prossimo obiettivo litigando con i continui cambi di inquadratura. Ma la trama è solo parte dell’esperienza e se ne coglie la rilevanza solo all’avvicinarsi della fine degli eventi, in cui mettendo insieme i pezzi si ottiene una storia sicuramente originale, a tratti prevedibile ma a conti fatti davvero sorprendente, che lascia i dovuti “buchi” per consentirci di riempirlo con speculazioni e intuizioni.