ReCore – Recensione

Non amo Keiji Inafune. Il famigerato producer ex-Capcom si è costruito negli anni una fama quasi immeritata, che l’ha posto al pari di mostri sacri del mondo del videogioco senza avere in realtà mai creato qualcosa di realmente indimenticabile nella sua carriera: egli non è il padre di Mega Man, quanto più un interessato tutore, e l’avidità con cui ha portato avanti i kickstarter di Mighty No.9 e Red Ash (quest’ultimo perso nelle nebbie di bizzarre operazioni di finanziamento parallele) con la sua Comcept, lo ha identificato in maniera piuttosto plateale come tra gli elementi negativi di questo settore.  Con quale spirito dunque mettersi al pad e giocare ReCore, ultima opera del dinamico duo Inafune/Comcept?

ReCore recensione

SU DI UN PIANETA LONTANO

Perché per fortuna è stato chiamato in ballo l’impegno di Microsoft Studios, che ha messo Armature Studio al servizio del “guru” giapponese per realizzare un titolo decisamente non convenzionale, in esclusiva per i sistemi Xbox e Windows 10. Già, ReCore è il primo titolo a fregiarsi della dicitura “Play Anywhere”, che contraddistingue i titoli acquistabili e installabili su console e pc con un singolo acquisto, in una sorta di Cross Buy definitivo che si estenderà alla futura Scorpio. Questa prova è in effetti stata affrontata su un PC dotato di Windows 10 di fascia medio/alta, ma non di certo ideato per il gaming, e non su Xbox One, con settaggi a 1080p, 30fps di cap e dettagli elevati. Finita la lezione tecnica, entriamo nel vivo: ReCore ci mette nei panni della giovane Joule, approdata sul pianeta desertico Far Eden, obiettivo della colonizzazione umana. Quello però che veniamo a sapere è che la nostra protagonista è la sola umana in circolazione, in quanto le colonie con gli esseri umani in ibernazione, che avrebbero dovuto raggiungere il pianeta una volta terraformato in condizioni abitabili, non sono raggiungibili via comunicazione e pare che nessun altro sia approdato nel frattempo. Seguita dal suo fido Mack, il cagnolino robotico decisamente più simile nel comportamento all’animale piuttosto che a una macchina, parte dunque alla scoperta di un mondo arido e costellato di ostacoli naturali, da esplorare e riportare alla normalità ripristinando le malfunzionanti – non si sa per quale motivo – tecnologie introdotte dall’uomo per rendere accogliente la loro nuova casa.

Questo è l’incipit di un action platformer ibrido che trae ispirazione da titoli come i Jak & Dexter su PS2 e i bei vecchi Prince of Persia della trilogia tridimensionale, aggiungendo un pizzico di Metroid. Messa così pare che ci si trovi di fronte ad un capolavoro spropositato, pronto a settare nuovi standard, e quantomeno all’inizio le sensazioni sono molto buone: il gioco procede in maniera spedita nella sua fase tutorial, come un normale gioco d’azione in terza persona basato sulle armi da fuoco, introducendo la meccanica dell’estrazione in maniera semplice e comprensibile: ogni essere presente su Far Eden è un NucleoBot, ovvero un robot mosso dall’energia di una sfera pulsante, e il combattimento con il fucile è solo l’inizio, in quanto nel momento in cui il nemico subisce abbastanza danni o è in difficoltà, ci viene data l’opportunità di lanciare il nostro “rampino” per tentare di rubargli il “Core”, appunto. In un tira e molla da pescatore, bisogna gestire la tensione della corda perché non si rompa, al tempo stesso ricordandoci che chi ci è attorno continuerà ad attaccare. Con il tempo e con l’esperienza si impara dunque ad essere propositivi in attacco e estrarre i nuclei solo quando è opportuno, attivando poi l’utilissima estrazione rapida quanto il nostro contatore combo è abbastanza elevato, che ci consente di eliminare il nemico in un colpo solo. Va considerato inoltre che ReCore basa gran parte del suo sviluppo sul recupero delle risorse e dei pezzi di ricambio, che vengono abbandonati dai nemici sconfitti e che invece non appaiono sul campo di battaglia in caso di estrazione.

ReCore recensione

Il nostro arsenale consiste nel fidato fucile, che può acquisire tre varianti di potere (rosso, blu e giallo) utili ad affrontare i nemici dello stesso colore con un danno maggiorato e a sbloccare serrature corrispondenti con un colpo preciso. Ultimo elemento da considerare in battaglia sono i due NucleoBot che è possibile portarsi al seguito, da alternare con un tasto, che ci coadiuvano attaccando autonomamente – spesso attirandosi l’attenzione dei nemici – e in grado di scatenare potenti attacchi alla nostra pressione di un tasto. La loro efficacia è massimizzabile alternandoli sul campo, in quanto il NucleoBot in riserva apparirà dove indicato dal nostro mirino generando un’onda d’urto che destabilizza i nemici. Come detto, atipico: ReCore non è solo combattimento, che per quanto divertente non si sviluppa in maniera profonda come dovrebbe, ma anche un gioco di esplorazione in cui brillano le meccaniche platform. Il mondo di Far Eden si pone a noi gradualmente, mostrando strutture e geometrie da navigare con prontezza per proseguire con la trama, ma che non perdono occasione di lasciare indizi e stimoli per strada, invitandoci senza troppe riserve al backtracking fin dai primi istanti di gioco. La mossa funziona, sopratutto alla luce dei numerosi “segreti” e vie alternative che si scoprono nelle primissime ore, in quanto genera un’aspettativa consistente in merito all’ampiezza del titolo: viene voglia di girare per anfratti sospetti, provare a saltare su dirupi e sporgenze non propriamente consoni (e la routine delle collisioni non proprio perfetta premierà i più coraggiosi con qualche glitch in grado di facilitare la prosecuzione), padroneggiando un sistema di controllo preciso e responsivo, in cui si ha il pieno controllo del personaggio nell’ambiente 3D.

Si accede di volta in volta in dungeon  caratterizzati da un obiettivo finale comune, il Nucleo Prismatico che rappresenta in pratica le “stelle” di Mario e il cui contatore fa da lasciapassare per accedere a sezioni di gioco e dungeon avanzati. Sono disponibili però anche tre sfide opzionali (tempo, attivazione di otto interruttori e reperimento di una chiave) che consentono di trovare alla fine del percorso bonus aggiuntivi, Nuclei Primastici compresi. Il mondo è inoltre costellato di progetti per creare nuovi pezzi da installare sui nostri compagni, sempre più potenti e dotati di effetti speciali: gradualmente siamo in grado di trasformarli in macchine da guerra prestanti, col rischio a volte di farli sembrare un po’ figli di Frankestein per via della varietà dei componenti equipaggiabili. Tutto funziona davvero bene e senza intoppi, se non fosse  che abbastanza presto il titolo perda di coesione e ci lasci a pascolare solitario nel tentativo di aumentare il proprio contatore di nuclei: improvvisamente dunque, da un certosino lavoro di imbastitura della trama e instradamento del giocatore, si passa al mondo libero pieno di luoghi slegati dalla trama. Si percepisce dunque in maniera palese che il sentore di vastità inizialmente percepito probabilmente proveniva dalla casa a fianco, perché nella nostra – a conti fatti – si ritrova un titolo che si preoccupa di mettere in piedi sezioni di gioco dal level design sopraffino, collegate da una trama che è solo un pretesto per muoversi.

ReCore recensione

I livelli di ReCore sono tutti molto diversi, alcuni incentrati sul combattimento, altri sul precise platforming, altri ancora sulla risoluzione di piccoli enigmi: ogni stanza, ogni area, ogni dungeon prova a rendersi differente, sfruttando in un modo o nell’altro varie combinazioni dei controlli a nostra disposizione, facendoci muovere, ad esempio, in maniera radente in volo evitando il pavimento sotto di noi e i laser sopra le teste o richiedendo tempismo e capacità di lettura delle distanza. Raramente (tradotto, mai) mi è capitato di avere tra le mani un personaggio così responsivo seguito da una telecamera in grado di restituire un senso di profondità adatto a muoversi con rapidità in verticale e in orizzontale, saltando e scattando senza tregua grazie al doppio salto e allo sprint in aria per arrivare con sicurezza su piattaforme anche di misura 1×1, con l’aiuto anche della capacità di Joule di arrampicarsi sulle sporgenze con efficacia. ReCore è uno splendido esercizio di level design che sfrutta le capacità extra dei compagni di Joule per donare momenti di adrenalina portandoci ad altezze immense (chiedere del ragno Seth) e ricordarci cosa significhi muoversi nelle tre dimensioni con sicurezza e baldanza. Per buona parte del titolo si trova un buon equilibrio tra esplorazione e platforming coerentemente al contesto, salvo sul finale trovarsi ad affrontare sfide cucite ad hoc per i gamer davvero “hardcore” che vengono messi alla prova in stanze finali in cui la difficoltà delle sezioni di salto aumenta esponenzialmente (sebbene non risulti frustrante per la sopracitata precisione dei controlli e validità della visuale), innalzando poi in sequenza dei muri di progressione legati al numero dei nostri Nuclei Prismatici, da recuperare col backtracking agevolato – quantomeno – da un sistema di viaggi rapidi assolutamente salvavita.

ReCore recensione

In quel momento, di fronte all’ennesima richiesta di tornare ad esplorare le lande di Far Eden per raccogliere i nuclei – magari in un momento topico della trama – appaiono nella mente del giocatore tutti i difetti di cui si macchia ReCore, dalla sua tecnica discreta ma piena di incertezze, passando per la trama debole per finire al sistema di combattimento piuttosto privo di grandi variazioni e che tende ad annoiare: tutto questo a causa della rottura del flow dell’esperienza, che porta il titolo ad allentare la presa sul giocatore. Ed eccolo qui, l’istante che definisce la vostra esperienza con il gioco: staccare mentalmente e immaginarlo come box in cui provare alcune delle situazioni più riuscite in ambito platform degli ultimi anni è un’opzione valida per trarre il meglio da quanto giocato fino a quel momento e proseguire con serenità, opzione che si contrappone alla difficoltà (lecita) che altri potrebbero avere nel prendere sul serio un prodotto vittima di falle di progettazione e che sembra mancare di consistenza poche ore dopo l’inizio, dando l’impressione di avere davanti un indie pretenzioso che si perde in sé stesso dopo il classico inizio scoppiettante.