Chi mi conosce, sa che sono un grande estimatore della saga di Tales, che a mio modesto parere in certi casi ha toccato delle vette paragonabili a quelle di franchise ben più conosciuti (Tales of the Abyss rimane a tutt’oggi uno dei migliori episodi della serie).
Eppure, Tales of Berseria è riuscito a stupirmi più del previsto. Questo perché gioca con elementi familiari di Tales of, introducendo allo stesso tempo degli elementi di rottura. La trama (che bello poter parlare della trama di un gioco!) è molto diversa da quella dei classici Tales. Se nei precedenti episodi, infatti, i protagonisti erano eroi chiamati a salvare il mondo, la vicenda di Berseria è molto più raccolta e intimista. Si tratta infatti di una vera e propria storia di vendetta, qualcosa che vedremmo più facilmente in un film di Tarantino piuttosto che in un videogioco giapponese. La premessa vede la protagonista, Velvet Crowe, prendersi cura del fratello minore, Laphicet, all’interno di un mondo corrotto e decadente. Il loro rapporto è una delle ultime cose belle rimaste in questo scenario così desolante. Ed ecco che arriva una scena che mi ha lasciato proprio interdetto: il fratello di Velvet viene sacrificato per “curare” il mondo. Dieci anni dopo, Velvet è stata segnata profondamente da questo trauma: da ragazza amorevole è diventata una guerriera diabolica (corrotta e affetta da un male chiamato demonite), e vuole solo uccidere la persona che ha ordinato il sacrificio.
Dimenticatevi la spensieratezza di Lloyd o la purezza di Colette di Tales of Symphonia: Velvet è il classico personaggio passato al lato oscuro, che non ha più posto nel cuore per la positività, né tanto meno per l’eroismo. Interessante notare anche come questo sia il primo Tales of con una protagonista femminile, ed è encomiabile che gli sceneggiatori siano andati ben oltre lo stereotipo della guerriera fantasy poco vestita, dando forma a un personaggio nei confronti del quale è facile provare empatia, ma che riserva anche i suoi momenti di disprezzo e sgradevolezza. Il ribaltamento dei ruoli rispetto al classico canone dei JRPG è una delle caratteristiche narrative che mi ha colpito di più di Tales of Berseria, convincendomi ad andare avanti e investire nella storia, dandomi più di un motivo per empatizzare con i protagonisti. Anche gli altri personaggi sono caratterizzati in maniera simile, dando l’impressione di una banda di disadattati unita da desideri egoistici; come Eizen, un pirata alla ricerca del capitano della sua nave, o Rokurou, un demone che cerca vendetta contro il suo stesso fratello.
[quotesx]Dimenticatevi la spensieratezza di Lloyd[/quotesx]Naturalmente questo non vuol dire che manchino momenti più leggeri, anche perché in tutta franchezza non avrei proprio sopportato una deriva “angry teenager” di Tales of. Berseria è un gioco dove la scrittura la fa da padrone, come del resto nei precedenti episodi della saga; l’approfondimento psicologico dei personaggi è gestito tramite le skit, scenette (che possono anche essere saltate) dove i protagonisti parlano tra di loro, completamente doppiati. C’è da dire che lo stile anime giapponese è sempre molto prepotente, per cui preparatevi a dialoghi molto seri, alternati a dialoghi che vi faranno provare una fastidioso imbarazzo empatico. Tales of è così, del resto: prendere o lasciare. Fortunatamente, il cast non è composto soltanto da gente rancorosa o “emo kid”: a fare da contraltare a questi personaggi, c’è infatti Eleanor, che a differenza degli altri pensa ad aiutare gli altri e ha un sistema di valori molto radicato dentro di lei. Le tensioni che si verranno a creare tra il suo animo gentile e le motivazioni oscure degli altri personaggi, contribuiscono ad aggiungere forma, mordente e tensione alla storia. La vicenda in sé non brilla per originalità, va detto (nonostante ci siano comunque dei colpi di scena non indifferenti), ma a reggerla in toto sono assolutamente i caratteri così contrastanti dei personaggi.
Se mi è piaciuta molto la caratterizzazione dei personaggi, non sono rimasto per niente soddisfatto dalla direzione artistica del mondo di gioco, apprezzabile in alcuni punti, ma del tutto trascurabile in altri. Come nei Tales più recenti, non esiste una mappa del mondo, ma ci si muove piuttosto di location in location. Il problema è che le location sono davvero prive di ispirazione, sia a livello naturalistico che architettonico. Sinceramente, mi sarei aspettato che fossero coerenti con la tematica principale del gioco, con la decadenza e l’“antieroismo” suggerito dalla premessa iniziale. Inoltre, il tutto potrebbe girare tranquillamente su PlayStation 3, che tuttavia è qualcosa a cui noi appassionati di JRPG siamo ormai abituati da svariato tempo (sì, parlo con te Hyperdimension Neptunia). Anche i dungeon, nonostante qualche sporadico guizzo creativo, sono la fiera del riciclo di asset. A volte, fortunatamente, l’art direction e i colori suppliscono alla povertà della confezione, ma in generale si tratta di un gioco che un qualunque Persona si mangerebbe a colazione a livello di stile grafico.
[quotedx]Il gioco dura tra le 40 e le 50 ore[/quotedx]Ma non sarebbe un Tales se non ci fosse un sistema di combattimento astruso, e allo stesso tempo divertente. Il combat system si muove in tempo reale, all’interno di un’arena dove è possibile muoversi liberamente. In Berseria dobbiamo dire addio alla barra Technical Point, e salutare invece la Barra Anima, da cui deriva la possibilità di inanellare tra di loro combo e Artes (il nome che usa Tales of per incantesimi e abilità). La barra si riempie “rubando” le anime dai personaggi nemici, mandandoli a tappeto o paralizzandolo. Come al solito, il combat system di un Tales è molto semplice e immediato sulla superficie, ma nasconde una sorprendente profondità. Ogni personaggio infatti dispone delle sue Artes peculiari; queste, oltre a essere tantissime e molto diverse tra di loro, possono anche essere concatenate con quelle degli altri personaggi del party, dando vita a combo speciali. Abbiamo poi le Break Artes, attacchi devastanti che tuttavia svuoteranno completamente la vostra Barra Anima. La gestione della barra, nonché il posizionamento dei personaggi all’interno del campo di battaglia, permettono a Berseria di offrire una non indifferente complessità strategica. Il button mashing è concesso, ma è anche uno spreco, considerata la soddisfazione che porta con sé un attacco ben pianificato; il sistema di progressione è, tra le altre cose, molto semplificato: potrete semplicemente salire di livello senza influire significativamente sui diversi parametri.
Infine, c’è da dire che il gioco è “tanto”, nella migliore tradizione dei JRPG. Per completarlo, seguendo tutte le skit e andando alla ricerca dei segreti più nascosti, impiegherete tranquillamente tra le 40 e le 50 ore. È vero che un gioco non si misura “al chilo”, ma chi ama il gaming alla giapponese cerca trame assurde con decine di plot twist e approfondimenti narrativi e sotto questo punto di vista Tales of Berseria non vi deluderà. Aggiungete poi i tanti passatempi collaterali, come la cucina o il gioco di carte hanafuda, e avrete il classico titolo che vi impegnerà tante settimane.