Gravity Rush 2 – Recensione

L’edizione Remastered del primo Gravity Rush ha messo a nudo una scottante verità: il titolo era di casa su home console, risultando ben più convincente della versione originale uscita su PlayStation Vita. Per carità, il titolo faceva un figurone sulla portatile di casa Sony, ma non saprei se esprimere ammirazione o solidarietà per chi ha tentato di agguantare le medaglie d’oro nei gravity slide, tanto per dirne una. Forte di questa identità “rifondata” è stata anche la progettazione del sequel, questa volta interamente attorno alle caratteristiche di PS4. Il risultato è un prodotto splendido, che nel bene e nel male sceglie di rimanere molto fedele al passato.

PAESAGGI VERTICALI

Gravity Rush 2 è un sequel a tutti gli effetti e, per quanto proponga migliorie e novità rispetto al predecessore, sento di considerare l’esperienza “Gravity Rush” come un qualcosa di unico, composto in percentuali identiche dai suoi due capitoli; aggiungerei all’equazione, con un peso minore vista la sua natura per lo più promozionale, anche la piccola serie animata omonima disponibile gratuitamente su YouTube, realizzata dallo studio Khara di Hideaki Anno, responsabile della tetralogia “Evangelion: nuova versione cinematografica”. La contaminazione col mondo dell’animazione giapponese non è affatto un elemento casuale, infatti Gravity Rush è una delle produzioni videoludiche più simili a un anime tra tutte quelle che hanno raggiunto la grande distribuzione internazionale. La sua forza risiede nella semplicità e nella chiarezza delle sue componenti strutturali. Ha personaggi amabili (Kat, la protagonista, in primis) e ottimamente disegnati, ha una storia non banale ben soppesata nel suo mondo interattivo dal brillante level design incentrato sulla verticalità e, a proposito di interattività, ha un gameplay essenziale, preciso, pulitissimo, basato sul concetto geniale di proiezione dei personaggi in funzione della manipolazione della gravità: in Gravity Rush non si vola, bensì “si cade verso l’alto”, e con stile. Nel caso specifico del secondo episodio sono state introdotte delle novità come le gravità a gradiente differenziato (quella lunare e quella di giove), che sono sì funzionali, rendendo il nostro precipitare più violento o delicato, ma non determinanti, salvo situazioni molto specifiche (e molto limitate). È comunque una soddisfazione attivarle con un tocco, facendo scorrere il dito sul touch pad del dualshock 4, e ancor di più lo è il sentirle annunciare da una vocina dal gusto molto “japanimation”, specialmente mentre affrontiamo dei mech, altro elemento di novità sul quale è posta una discreta enfasi.

Gravity Rush 2,

UN QUADRO IN MOVIMENTO

Non mancheranno le decine e decine di missioni secondarie, proprie di più o meno mordente a seconda dell’obiettivo e dei gusti di chi gioca, rinfrescate dalla possibilità di scattare fotografie, curiosità che con buoni risultati è stata implementata anche nell’interazione online asincrona: potremo caricare le nostre foto sui server dedicati e valutare quelle di altri giocatori in base a quanto queste possano facilitarci il ritrovamento di tesori nascosti. Credo però che la maggior qualità di questo Gravity Rush 2 sia l’aver irrobustito il suo immaginario estetico, dimostrando ancora una volta come uno stile espressivo non passi necessariamente dal “numero dei cavalli del motore” (e, per inciso, Gravity Rush 2 non fa certo economia di forza bruta in termini di complessità e qualità grafica). Le sue tinte leggermente più tendenti all’acquerello rispetto al passato, unite a una splendida colonna sonora, una storia anime-style di fascia shonen con sfumature mature e una giocabilità liscia come l’olio, restituiscono al giocatore un quadro complessivo di grande valore che, mi sia concesso, somiglia più ai titoli di gran cuore di qualche generazione fa che non a quelli contemporanei (in senso buono). Titoli come Gravity Rush 2 saranno probabilmente sempre più rari in futuro, e anche per questo andrebbero assaporati e vissuti, tanto più che il suo autore, Keiichiro Toyama (già regista di capolavori assoluti del calibro della trilogia di Siren e del primo Silent Hill di Konami), ha dichiarato di considerare l’avventura di Kat e dei suoi compagni conclusa.