Uno dei motivi per cui ricorderemo Cuphead, è sicuramente la diatriba che è sorta intorno al giornalista di settore Dean Takahashi, reo di non essere riuscito a superare il tutorial e di aver pubblicato in rete il video delle sue abilità non esattamente da progamer. Senza neanche volerlo fare apposta, gli sviluppatori si sono trovati un potentissimo slogan per definire Cuphead: “il gioco talmente difficile che non riuscirai a finire il tutorial”. E certo, in tutte le fiere (ormai tante) in cui il gioco è stato mostrato, i giornalisti tutti hanno lodato l’elevata difficoltà dell’avventura, oltre che ovviamente il suo particolarissimo stile grafico. Dov’è la verità? Dov’è il mito astutamente alimentato dal marketing (ammesso che ce ne sia uno)? Vediamo di scoprirlo insieme.
Che Cuphead sia un gioco difficile, c’è poco da contestare, e non sarò certo io a fare lo splendido, dato che non sono proprio il più abile dei giocatori, sebbene la mia tenacia abbia ben pochi rivali. Però la sua è una difficoltà sana, ossia non è quel tipo di difficoltà che semplicemente ti riempie lo schermo di nemici e piattaforme impossibili e ti lascia lì, inerme, senza neanche sapere da che parte cominciare. Il gioco, per i comuni mortali (escludiamo quindi le piovre del joypad), può essere affrontato tranquillamente con una buona percentuale di studio e osservazione.
[quotesx]Una difficoltà sana[/quotesx]Cuphead è praticamente il figlio illegittimo di Contra e Ghost ‘n Goblins, che riprende dal primo la frenesia e il ritmo sincopato, e dal secondo la necessità di dover entrare in sintonia con la testa dei designer, imparando a memoria ogni piattaforma e anticipando ogni nemico quasi come se si trattasse di passi di danza. I nemici semplicemente non smettono mai di arrivare, non lasciandovi neanche un momento di tregua, e generando quel classico “effetto batticuore” che provavamo quando rimaneva una sola astronavina nemica in Space Invaders. L’anima platform di Cuphead si combina così a quella di sparatutto, creando così un ibrido “run & gun”; esistono poi alcuni livelli interamente sparatutto, dove vi muovete a bordo di un aeroplanino all’interno di sequenze tipicamente “bullet hell”, con la possibilità, tra le altre cose, di rimpicciolire il vostro veicolo o di lanciare delle bombe speciali.
Nonostante sia ormai abusatissima, l’espressione “il Dark Souls dei platform” ha un suo perché, non tanto per la difficoltà intrinseca del gioco, quanto perché esprime bene un concetto. Tale concetto è che il platform di Studio MDHR non si limita a essere ostico, ma vi mette nelle mani tutti gli strumenti per ragionare, fare strategia e andare avanti, ovviamente stimolando adeguatamente i vostri riflessi; non solo, proprio come i giochi di Miyazaki, anche Cuphead ha una fisicità tutta sua, che rende ogni scontro una potenziale minaccia. Il tutto in pochissime frazioni di secondo, va detto. Le similitudini con i soulslike non finiscono qui: i nostri protagonisti infatti possono anche compiere delle scivolate a mezz’aria, e fidatevi che vi torneranno utilissime per evitare all’ultimo momento un proiettile che proprio non avevate visto; similmente, sono disponibili anche le parate attivabili con il giusto tempismo, che introduce un ulteriore elemento di profondità tattica. E, anche qui, proprio come nei soulslike (vi promettiamo che smetteremo di citarli), Cuphead è un gioco che invita all’osservazione dei pattern d’attacco degli avversari e della traiettoria dei loro proiettili. Queste infatti sono incredibilmente mutevoli, il che vi costringe a rivedere costantemente il vostro approccio durante tutta la durata del gioco.
E non aiuta che l’algoritmo di Cuphead sia strutturato in modo tale che i nemici assumano comportamenti sempre diversi di volta in volta, riducendo al minimo la possibilità di poter imparare a memoria le loro mosse e coglierli di sorpresa! La sensazione che ho avuto è che gli sviluppatori non si siano limitati a offrire lo stesso tipo di sfida e a replicarlo all’interno dei diversi stage, ma piuttosto abbiano accuratamente modellato ogni singola sfida, lanciando di continuo al giocatore nuovi cimenti, e nuovi ostacoli machiavellici. La varietà di situazioni è semplicemente esaltante, e rende il gioco una scoperta continua fino a che non raggiungerete i titoli di coda. Questo è particolarmente vero per quanto riguarda i boss, spesso in grado di occupare lo schermo intero, e che hanno tante frecce al loro arco, tra cui la possibilità di dare un effetto ai proiettili in modo da cogliervi di sorpresa; non solo, i boss possono anche essere affrontati più volte, e a ogni scontro avranno delle abilità e degli schemi d’attacco completamente diversi: Cuphead farà la gioia di ogni completista compulsivo, è chiaro fin da ora.
[quotedx]Ogni sfida è stata modellata[/quotedx]In questo senso la morte in Cuphead assume un senso completamente diverso rispetto alla maggior parte dei platform. Morirete, e morirete tanto, ma ogni volta che le vostre vite scenderanno a zero, uscirete dalla partita con una nuova consapevolezza. E ci riproverete, con ancora più determinazione di prima. Sono sempre stato affascinato dal concetto di un videogioco che ti insegna a giocare usando la morte e il fallimento come principale strumento “didattico”, e da questo punto di vista Cuphead non mi ha deluso affatto. A coadiuvare la difficoltà, un brillante level design, diabolico e insidioso, senza per questo essere frustrante: insomma, non siamo dalle parti dei livelli impossibili di Super Mario Maker… L’elevata difficoltà contribuisce comunque ad accrescere il senso di reward che ti accompagna alla fine del livello; sono convinto tutto sommato che l’industria dei videogiochi abbia ancora bisogno di giochi veramente difficili, che ti riportino ai primordi: solo tu, il joypad, e centinaia di nemici da sconfiggere. Un’impresa fisica, forse persino improba, ma che ci riconcilia con l’anima più pura del videogioco, quella scanzonata e un po’ piratesca degli Anni ’90.
Credo, tutto sommato, che Cuphead sia comunque un gioco alla portata di tutti, perché pur essendo severo introduce gradualmente nuovi elementi, e non mette mai il giocatore di fronte a una sfida che non sarebbe in grado di affrontare. Personalmente preferisco affidarmi solo alle mie forze, ma il gioco permette anche di personalizzare i protagonisti, guadagnando una speciale valuta all’interno dei livelli e spendendola all’interno di appositi Shop. Il vostro personaggio, infatti, ha diversi slot a sua disposizione, che possono essere usati, ad esempio, per potenziare la stamina, ma anche per ottenere nuove armi e nuove mosse. Proprio come in Ghost ‘n Goblins, l’uso di un’arma può cambiare completamente l’approccio di un livello, per cui è molto utile sperimentare e tentare più volte, perché magari un livello che avete difficoltà a superare può diventare una vera passeggiata semplicemente scegliendo l’oggetto giusto. I nostri eroi infatti possono equipaggiare, tra le altre cose, anche una raffica di proiettili (sacrificando però la precisione chirurgica), oppure un missile a ricerca. È anche vero che alcuni livelli (ma non tutti) dispongono dell’opzione “Easy”, che pur non trasformandoli in una passeggiata li rende comunque più umani rispetto a quelli standard. Inoltre, non dimentichiamo la possibilità di affrontare il gioco in co-op, che lo rende ancora più folle e introduce la possibilità di eseguire attacchi combinati.
Se non siete giocatori molto bravi sicuramente il tempo per completarlo si alza, e anche di parecchio, ma d’altro canto avete a ricompensarvi un’esperienza visiva di primissimo livello. Eh già, perché, proprio come nei bei vecchi giochi di una volta, si gioca per il solo gusto di giocare, e per vedere quello che verrà dopo. Per quanto i trailer li avete già visti tutti, non si può proprio prescindere dal commentare entusiasticamente la bellezza cosmetica del gioco, che riprende in pieno lo stile delle Silly Symphonies di Walt Disney, restituendo un fascino sinestetico dove immagini e musica si muovono di pari passo, per avvolgervi e catturarvi nelle loro spire. Cuphead è un tripudio di invenzioni lisergiche e fuori di testa, tanto che vi chiederete in più di un momento se gli sviluppatori abbiano realizzato tutto questo sotto effetto di sostanze psicotrope, soprattutto nei tantissimi momenti in cui sovvertono le regole del platform.
La verità è che non si tratta di semplice e puro estro artistico, ma lo stile 2D ha anche una propria funzionalità a livello di design, principalmente perché sono le fluidissime animazioni a rendere il flusso di gioco avvincente, e a darvi quel momento di esaltazione tipico di quando siete riusciti a superare indenni un passaggio semplicemente affidandovi al vostro istinto. Un po’ come faceva Obi-Wan Kenobi con Luke Skywalker, durante i passaggi più difficili nella vostra testa si sentirà un monito, che vi inviterà a lasciarvi andare e giocare semplicemente rispondendo di volta in volta agli stimoli dei nemici. Il bello di Cuphead è che un gioco che va giocato con il cuore, ancora prima che con la testa, e i momenti migliori li riserva proprio quando entrate in completa sintonia con il suo mondo completamente folle e le sue sfide. Ma forse stiamo un po’ divagando…
[quotesx]Un mondo “rimbalzoso”[/quotesx]Dicevamo, il look particolarissimo di Cuphead si basa perlopiù sulle animazioni, che sembrano davvero uscite dagli Anni ’30: avrete la sensazione di muovervi all’interno di un mondo “rimbalzoso” (esiste questa parola?) e dinoccolato, con protagonisti e nemici di grandissima qualità, che esprimono la loro caratterizzazione proprio tramite i loro movimenti. È chiaro che Studio MDHR non si è limitata a copiare l’estetica di un determinato periodo dell’animazione occidentale, in un vuoto esercizio di stile, ma è riuscita piuttosto a replicarne lo spirito e ad adattarlo all’interno di un contesto interattivo.
Cuphead rispecchia l’essenza del videogioco vecchia scuola, quello che ti fa sudare le proverbiali sette camicie e che ti spinge continuamente a migliorarti. Cuphead è destinato a diventare un piccolo cult, e questo non tanto perché, banalmente, si limita ad alzare il livello di difficoltà a dismisura, ma perché ogni nemico, ogni piattaforma, ogni ostacolo, è stato piazzato con cura amorevole dagli sviluppatori (il che, per giunta, spiegherebbe anche i continui ritardi del gioco). Cuphead è un ottimo esempio di un gioco che è superiore alla somma delle sue parti: art direction e game design si muovono di pari passo, sostenendosi a vicenda, il tutto a beneficio di un giocatore i cui occhi saranno deliziati da un cartone animato interattivo sempre sorprendente e mai noioso.