Yomawari: Midnight Shadows – Recensione

Appena un mese fa, i due episodi di Yomawari, il survival horror tanto grazioso quanto cruento nato da un’idea di Yu Mizokami e prodotto da Nippon Ichi Software, hanno raggiunto (e oramai superato) la quota di 100000 unità vendute nel solo territorio giapponese, una cifra ragguardevole per un progetto rilasciato quasi in sordina che ha poi conquistato una propria nicchia grazie al passaparola degli appassionati, tanto da venire celebrato dalla compagnia con un particolare concorso che mette in palio il loro intero parco titoli previsto per il 2018. Il primo Yomawari, termine traducibile come Ronda Notturna e legato alla struttura basilare del gameplay, giunto qui da noi con il sottotitolo Night Alone, vede la giovanissima protagonista immersa nella tetra realtà crepuscolare di una cittadina di provincia, alla ricerca della sorella e del suo cagnolino inghiottiti dalle tenebre, con la sola protezione offerta dalla flebile luce di una torcia elettrica: come anche gli adulti ricordano bene, la notte è oscura e piena di terrori, e così la sfortunata bambina si ritrova circondata da mostri e fantasmi di ogni tipo, alcuni innocui e altri (la maggior parte) decisamente aggressivi, contro i quali non ha nessuna difesa se non fuggire a gambe levate o trovare rifugio dietro un provvidenziale nascondiglio. Il felice connubio tra fondali e personaggi disegnati a mano, l’impatto emotivo della storia, l’atmosfera opprimente ricostruita con una minuziosa predisposizione dei suoni e dei rumori ambientali, nonché la spiccata tendenza a sorprendere il giocatore con passaggi efferati e raccapriccianti, in netto contrasto con lo stile grafico adottato, hanno concorso alla realizzazione di una piccola avventura di culto che ha riscosso molto più successo del previsto, accordando quindi ampio spazio di manovra all’autrice per approfondirne le tematiche con un nuovo capitolo.

In realtà, Mizokami si è detta stupita dei consensi raccolti in occidente per il suo titolo, dato che lo spirito infuso nello stesso affonda le radici nella tradizione folcloristica e religiosa del Sol Levante, senza offrire interpretazioni o chiarimenti per chi non ha dimestichezza con i fenomeni paranormali incontrati nell’avventura e, dunque, non conosce le leggende connesse alle teste di donna che si muovono a gran velocità sulle braccia (i teke teke) o ai cani dal volto umano (i jinmenken). Inoltre, l’ambientazione è quella tipica delle periferie nipponiche dove i grattacieli non hanno ancora soppiantato i grandi parchi e le villette a due piani, onde aumentare il senso di familiarità nei suoi connazionali e di smarrimento quando gli scenari nostalgici vengono deformati dall’ostilità degli spettri malevoli. Tuttavia, i medesimi elementi hanno in effetti ottenuto i favori del pubblico oltreoceano, evidentemente affascinati dal soggetto, e così la divisione americana della Nippon Ichi si appresta a distribuire anche il secondo episodio della serie in lingua inglese, rilasciato a fine agosto in patria con l’appellativo Shin Yomawari (dove shin non è scritto con il tipico kanji di nuovo o vero, bensì con quello di profondo, che nella nostra lingua può essere adattato in Ronda della Notte Profonda) e che nel resto del mondo arriverà come Midnight Shadows, permettendo stavolta ai proprietari di PlayStation 4, trascurati dal predecessore, di unirsi a chi ha già avuto modo di provare l’originale su PC o PlayStation Vita e squarciare il velo di oscurità che avvolge questo inedito, bellissimo e straziante incubo… sarà vero che persino la notte più tenebrosa ha pur essa un mattino?

Non tutti gli spettri sono spaventati dalla luce della nostra torcia, men che meno i boss di fine livello!

SE SCORGI UN MOSTRO, CAMMINA PIANO, ALTRIMENTI TI VEDRÀ

Haru e Yui sono due scolarette delle elementari, amiche da tempo immemore: la seconda è in procinto di trasferirsi in un’altra città, così Haru approfitta delle tradizionali festività di fine estate per invitarla ad assistere al fenomenale lancio di fuochi d’artificio dalla sommità di una vicina montagnola, in modo da passare con Yui quanto più tempo possibile assieme prima dell’inevitabile separazione. Una serie di eventi bizzarri e inquietanti sulla via del ritorno le costringono purtroppo a dividersi con largo anticipo, perciò spetterà a noi calzare alternativamente i panni dell’una e dell’altra, sfuggire alle sinistre figure che emergono dai recessi del sottobosco, dei vicoli, dei mucchi di immondizia e dei tombini e comprendere (forse) il mistero che si cela dietro la comparsa di un quantitativo tanto cospicuo di apparizioni notturne, tutto nel tentativo di ricongiungere finalmente le due.

I comandi, spiegati nel corso di un drammatico tutorial iniziale che mette alla prova la volontaria sospensione dell’incredulità del giocatore, consentono di spostarci verso gli otto punti cardinali, correre o procedere a piccoli passi, raccogliere e lanciare sassi e altri oggetti per distrarre i nemici, spostare casse o altri impedimenti per agevolare il passaggio e rivolgere il fascio della nostra pila in tutte le direzioni, unico modo per rivelare gli spettri invisibili o bloccare e respingere quelli vulnerabili alla luce: le meccaniche sono intenzionalmente semplici per darci modo di concentrare l’attenzione sul comportamento dei numerosi demonietti che infestano l’altrimenti silenzioso centro abitato e sulle tattiche migliori per oltrepassarli, senza venire ostacolati da controlli ostici o poco immediati. Poiché i personaggi principali non sono instancabili combattenti super addestrati, la loro resistenza ha un limite che si riduce ancor di più con l’approssimarsi delle creature e impedisce loro correre per lunghi periodi di tempo, fattore che ci si ritorcerà contro qualora ne dovessimo incontrare qualcuna particolarmente accanita: in tal caso, cespugli e cartelloni sono il giusto nascondiglio dietro cui cercare riparo, nell’attesa che gli inseguitori scompaiano nel nulla o, quantomeno, si allontanino a sufficienza in modo da poter riprendere la fuga. Per nostra fortuna, è anche possibile recuperare degli speciali amuleti da indossare per ottenere qualche vantaggio aggiuntivo, come la capacità di trasportare un numero maggiore di pietre o di accelerare il passo: la loro natura eterogenea ricorda, non a caso e con le debite proporzioni, la schiera di manufatti riscattabili in The Binding of Isaac. Nel caso di Yomawari: Midnight Shadows, comunque, nessuno di essi è in grado di annientare definitivamente i famelici avversari, il cui tocco significa anche in questo caso morte certa.

Nonostante lo stile grazioso, Yowamari non si fa scrupoli a disseminare dettagli truculenti un po’ ovunque…

Yui e Haru si trovano di frequente a visitare gli stessi posti, e le azioni di una possono influenzare in maniera marginale quanto è possibile fare con l’altra: se vi aspettate un grado di interazione simile a quanto visto in Resident Evil, però, resterete delusi perché le due vicende procedono su due binari attigui ma comunque paralleli, intersecandosi solo in determinati frangenti. La presentazione si avvale di una grafica quasi completamente bidimensionale, che ai veterani dell’epoca 16-bit rievoca in un certo qual modo l’opulenza scenica di titoli quali Secret of Mana e Chrono Trigger: i fondali, illustrati con una prospettiva isometrica, vantano un livello di dettaglio incredibile che spazia dalle tegole dei tetti alle piccole crepe sull’asfalto stradale, passando per i mucchi di foglie accatastate nei giardini, per le venature delle costruzioni in legno e per le suppellettili che decorano i locali al chiuso: ogni più piccolo dettaglio visivo è stato riprodotto con una cura quasi morbosa, e l’unica mancanza percepibile è una generale staticità del mondo di gioco, che aiuta tuttavia a sottolineare le movenze dei nemici. Viceversa, Midnight Shadows non vanta tracce audio con l’unica eccezione del tema introduttivo perché, al pari del primo capitolo, pone l’accento sugli effetti acustici e scandisce con estrema precisione lo scalpiccio delle protagoniste, differenziandolo a seconda della superficie calcata.

La difficoltà del secondo Yowamari si basa sempre sull’approccio per tentativi, benché il margine di tolleranza per le reazioni del giocatore alla comparsa improvvisa di uno spettro sia un po’ più abbondante. La natura sibillina dei pochi indizi rinvenibili non impedisce comunque di trovarsi più volte in situazioni senza apparente via d’uscita, che si traducono in una repentina sequela di decessi fino alla risoluzione dello stallo: le numerose statue di Jizō Bosatsu (il Bodhisattva Kṣitigarbha, protettore dei morti e dei viandanti) sparpagliate un po’ ovunque rimediano in parte al problema facendoci ripartire dal salvataggio più recente, previo versamento di un piccolo obolo votivo, come pure di spostarci con celerità da un punto all’altro della mappa. L’ottimo intreccio narrativo resta in ogni caso la spinta migliore a perseverare, ed il discreto numero di colpi di scena (alcuni piuttosto telefonati, altri assolutamente no) che si succedono prima della conclusione mantengono vivo l’interesse fino in fondo.