Il gioco di cui parleremo oggi non è un titolo qualunque. Per i più attempati fra noi, il suo nome produrrà dei ricordi indelebili, i quali risalgono ad un’epoca di “meraviglia” tecnologica e di stupore grafico. Outcast è infatti un autentico gioiello del passato, un monumento alla sperimentazione ed alla innovazione tecnica uscito originariamente nel 1999, il quale sin da subito si dimostrò come un punto di riferimento nell’industria, dato che la tridimensionalità nel mondo gaming era ancora piuttosto acerba ed il concetto di open world, quest’oggi abusato in tutte le salse, era ancora un’autentica novità. In aggiunta, utilizzando un impianto grafico voxel, Outcast ottenne subito una immediata riconoscibilità, che si tradusse velocemente in un ottimo successo commerciale e di critica. Sono passati quasi vent’anni e, se purtroppo un secondo episodio non è mai venuto alla luce, la SH autrice del titolo Appeal si è rituffata nel selvaggio mercato moderno proponendo una rimasterizzazione del titolo, dopo un Kickstarter fallito ed un salvataggio in zona Cesarini attuato dal publisher Bigben Interactive, che ha finanziato e dato vita al progetto.
Diciamolo immediatamente, senza mezzi termini: per i fan ed i nostalgici, l’esperienza di gioco sarà irrimediabilmente piacevole. Tornare a calpestare lo stranissimo (e geniale) universo di Adelpha, ci farà apprezzare ancora di più la genuina innovatività del titolo, soprattutto pensando alla sua impostazione open world ed alla piena libertà di esplorazione pensata per il giocatore. In aggiunta, la storyline del gioco è ancora adesso una delle migliori della storia dell’industria, così come la capacità degli sviluppatori di rendere il gioco vivo anche attraverso l’interazione con gli NPC piuttosto profonda e diversificata. Il merito del titolo è, per certi versi, anche ricordarci cosa significava giocare venti anni fa, con sistemi gioco privi di segnalatori, mappe ultra dettagliate, percorsi visibili e semplificati ecc. Ma come l’audience moderna potrebbe rapportarsi al gioco?
Ed eccoci quindi giunti, con le nostre fauci, a masticare la remastered di un titolo che, per i più attempati, ha un sapore di leggenda e di pura nostalgia. Outcast – Second Contact è da poco disponibile su Steam, Xbox one e Playstation 4 e ci ripropone le (dis)avventure del protagonista, al secolo Cutter Slade, intento a salvare il mondo da una minaccia incombente. Il nostro eroe, infatti, avrà il compito assieme ad un gruppo di scienziati, di recuperare una sonda in un universo parallelo e che, di contro, è la probabile causa di una reazione a catena che culminerà in una ecatombe. Come da definizione, una remastered è solita contenere notevoli migliorie grafiche ma quasi nulla di nuovo a livello di contenuti. In realtà, in questo caso non è propriamente vero, visto che alla build originale sono state aggiunte delle nuove cutscene ed alcune aree segrete le quali, tirando le somme, renderanno marginalmente differente l’originale esperienza di gioco.
Come ogni rimasterizzazione che si rispetti, Outcast sarà corredato di un comparto tecnico/estetico di nuova generazione. Nella fattispecie, il titolo vanterà un motore grafico sorretto dalla potente tecnologia targata Unity Inc., rifatto totalmente da zero e che ha integralmente abbandonato la “vecchia” voxel visual. Partiamo col contemplare proprio il lato tecnico: se le migliorie rispetto al titolo originale sono insidacabilmente drastiche, se paragonato alla media dei titoli moderni Outcast non è esattamente esente da difetti. Non ci vorrà un occhio particolarmente esperto per scovare alcuni difetti nel comunque notevolissimo lavoro di rimasterizzazione, soprattutto per quanto concerne alcune texture (le quali sembreranno alle volte traslate integralmente dalla vecchia versione del titolo) e, in generale, una realizzazione tecnica piuttosto altalenante, soprattutto guardando i modelli poligonali dei personaggi. In linea di massima, comunque sia, il gioco offrirà begli scorci e, in generale, un buon livello grafico in media con le produzioni AAA e indipendenti dell’attuale mercato ludico.
Ma qual è il vero problema di Outcast? Anzi, poniamoci la domanda in modo diverso: qual è il vero problema che affligge gran parte delle remastered? La problematica è che, in generale, le operazioni nostalgia sono spesso affrettati cambi di trucco di giochi di epoche passate, che conservano si un sapore mistico ma che, al contempo, traslano con se tutti i limiti ed il modus operandi di giochi partoriti eoni (ludicamente parlando) fa. Outcast non fa eccezione: un utente moderno, purtroppo, non troverà nel titolo movimenti fluidi o animazioni verosimili, considerate oggigiorno uno standard richiesto. Anzi, tutto l’opposto: se si confrontassero la versione originale con l’attuale remaster, si noterebbe si un miglioramento, ma nulla che copra in modo sufficiente la sensazione di vecchio. Ma parliamo “cash”! Il nostro Slade, ad esempio, sembrerà sempre in una sorta di “scivolamento continuo”, con il suo muoversi che in realtà somiglierà più ad una perenne fluttuazione. In generale, il moving system darà l’impressione addirittura che fra il movimento visibile a schermo ed il nostro input iniziale ci sia una sorta di latenza standard. In più, capiterà piuttosto spesso che il nostro fido Cutter si incastri in pezzi di scenario o venga immobilizzato da piccoli oggetti sparsi sul suolo, come ad esempio quando saremo chiamati a saltare sopra determinati ostacoli di piccole/medie dimensioni, oppure nel caso in cui si tenti di fuoriuscire da alcuni specchi d’acqua.
A questa parziale arretratezza tecnica, si aggiungano una serie di animazioni legate al movimento/combattimento antiquate che, comunque sia, mostreranno appieno la reale età del titolo. Perchè si, anche il combattimento è rimasto fermo al 1999, con il risultato che alle volte sembrerà di giocare ad una versione pre-alpha di un shooter in terza persona indie. Nel dettaglio, le possibilità di mira saranno piuttosto limitate, non ci saranno action atte a ripararsi/schivare ed il tutto, in linea generale, risulterà piuttosto freddo e legnoso. Se a questo si aggiunge una I.A piuttosto semplificata (in linea con il passato) che rimarrà spesso ferma a subire il nostro fuoco, si arriverà ben presto a contemplare le fasi action come un mero diversivo. Ma, per chi conosce il titolo da tempo immemore, Outcast è sempre stato focalizzato sull’esplorazione e la scoperta. Il gioco sarà sostanzialmente suddiviso in tre aree di grandi dimensioni che saranno liberamente esplorabili, senza muri invisibili che ci costringano a restare in una particolare area. Sparse per il gioco, troveremo una serie particolare di risorse, che ci serviranno per costruire il nostro equipaggiamento (tra le altre cose, piuttosto vario ed esteso). Ed è durante la fase esplorative che potremo comunque apprezzare la varietà e l’ottimo lavoro di concept fatto vent’anni fa, nel creare un universo vivo, vario e coerentemente eterogeneo.
In ultima analisi, una rapida menzione anche al comparto audio che, purtroppo, somiglia più ad un porting 1:1 del sound system originale che ad un reale aggiornamento. Nonostante il feeling vintage possa magari attrarre i più nostalgici, alcuni suoni mostreranno tutti i limiti di una rimasterizzazione a tratti incompleta. In particolar modo, basterà ascoltare alcuni suoni specifici (l’input sonoro di quando si entrerà in acqua sarà il più emblematico) per comprendere appieno la problematica indicata.