BioShock 2 – Recensione PC/PS3/Xbox 360

Questa volta il Big Daddy siamo noi!

Ci siamo.
Dopo anteprime, contro-anteprime, press tour, hands-on, lazzi, frizzi e mazzi assortiti, abbiamo finalmente giocato da cima a fondo la versione finale di BioShock 2.
Argomento delicato. Delicatissimo.
Perché quello che abbiamo di fronte è la quintessenza del “more of the same”, vale a dire un prodotto fatto con lo stampino del predecessore, sebbene limato in alcune faccende. Il che è un bene o un male a seconda del punto di vista di ciascuno. Il nostro è evidente dal voto che leggete qui a destra e le ragioni le spiegheremo nelle prossime righe, sperando di convincere anche il più titubante di voi della bontà del giudizio che ci apprestiamo ad assegnare.

Cominciamo col dire che il fatto di essere un Big Daddy, piuttosto che un umano, non semplifica la vita al giocatore. Sono, invece, alcune scelte di design che rendono BioShock 2 una passeggiata meno intricata verso i titoli di coda. I livelli sono topograficamente meno complessi e si percorrono in modo più comodo. Il merito è di un indicatore che consente di sapere sempre quale sia la strada da seguire, senza essere costretti a fare ping pong tra la mappa e la schermata principale. Plasmidi e armi si possono ora utilizzare in contemporanea, il che elimina quei secondi “morti” in cui si passava dagli uni alle altre e viceversa. Tutto più agevole, nevvero? Così come l’hacking, che è diventato una semplice prova di riflessi che premia l’occhio e il dito veloci: il clone di Pipemania è stato sostituito da un essenziale minigioco dove occorre fermare un indicatore all’interno di un settore opportunamente colorato. Si veda l’immagine qui sotto per una snella comprensione della dinamica.

C’è, insomma, un po’ l’impressione che BioShock 2 faccia l’occhiolino a tutti coloro che sono alla ricerca di uno shooter/adventure che fili via liscio, piuttosto che a qualcosa che incarni nel proprio DNA alcune sfumature da GdR. Perché – non dimentichiamocelo – qui stiamo parlando della serie erede spirituale di System Shock 2. BioShock 2, però, con il capolavoro della fu Looking Glass c’entra come i cavoli a merenda, proprio come il capostipite di due anni e mezzo fa d’altronde. Proprio per questo piacerà parecchio anche (e sottolineiamo “anche”) ai giocatori non hardcore.

Grande idea quella della videocamera. L’oggetto sostituisce in tutto per tutto la macchina fotografica nella ricerca sui ricombinanti, ma con una sottile differenza che tanto sottile poi non è. Mentre nel primo BioShock il progresso nello studio dipendeva solo dalla qualità dello scatto, la cinepresa riprende l’intero combattimento e dona punti a seconda della varietà e dell’intelligenza delle nostre azioni. Trivellare a nastro i nemici senza ritegno non porta quindi grandi risultati. La sperimentazione dei vari plasmidi, armi e gadget, invece, accelera notevolmente le cose, soprattutto se questa avviene in sintonia con le opportunità che l’ambiente circostante offre copiosamente. Insomma… si è spinti a provare cose e a variare approccio, e questo è solo un bene.

CRapturati dall’atmosfera onirica e parzialmente steampunk della città sommersa, il divagare per luoghi una volta felici (e ora teatro di lotte sanguinose per qualche goccia di ADAM) non suscita più stupore, bensì compiaciuta familiarità. Il muoversi circospetto e timoroso ha lasciato il posto a un’esplorazione snella e al piacere di sentirsi un po’ a casa. Ok… i livelli sono diversi e sono state introdotte le passeggiate in esterno, che comunque fungono da semplice trait d’union tra una sezione e l’altra. Ciò detto, però, pervade sempre quell’atmosfera di già visto, già sentito, già sperimentato. Questo supponiamo sia dovuto un po’ al fatto che il gigantesco luna park di Rapture risultava alla lunga uguale a se stesso già nel primo BioShock (e quindi figuriamoci ora), ma anche un po’ all’empatia tra giocatore e alter ego, visto che il protagonista si trova a muoversi in ambienti a lui familiari e non è stato catapultato dal “caso” in luoghi sconosciuti.

Un elemento che concorre a rafforzare questa impressione è sicuramente il motore grafico. Questo è praticamente rimasto invariato (si tratta del vecchio Unreal Engine 2.5) se non per alcuni dettagli che riguardano il sistema di illuminazione. Qualche ruga sul volto comincia a palesarsi, ma il viso è ancora tonico e i capelli brizzolati riescono a donare quel fascino argenteo che attrae, nonostante passino gli anni. Certo, avremmo potuto sperare in qualcosa di più, sopratutto per quanto riguarda l’interazione con l’acqua, ma alla fine l’atmosfera è comunque salvaguardata.

E poi ci sono le Big Sister, un vero concentrato di velocità e cattiveria.
La loro comparsa di tanto in tanto mescola le carte e ci trasforma da cacciatore a cacciato. È il momento della tensione, della paura, della Camera della Vita, dei “vaffa… muori!” urlati con gusto allo schermo quando ci si rende conto che manca solo mezzo pixel di energia residua prima che l’acerrima nemica passi a miglior vita. Sentimenti in antitesi a quelli che ci spingono, da persone di buon cuore, a salvare le sorelline e ad accompagnarle nella loro perigliosa raccolta di ADAM. Oppure a prosciugarle, abbandonandole al loro destino. Meglio, molto meglio essere protettivi e far loro da scudo al momento della siringa impavida: sarà pur una fatica compiere il proprio dovere di genitore adottivo, ma la ricompensa sarà di gran lunga superiore allo sforzo profuso per ottenerla.

Altri fatti nuovi.
Oltre alle vecchie conoscenze, sono a disposizione nuovi plasmidi e un certo quantitativo di tonici, alcuni dalla dubbia utilità, altri fondamentali per costruirsi un Big Daddy dal fiero cipiglio e in grado di affrontare anche la più feroce delle Big Sister. La trivella ha più o meno la medesima funzione della chiave inglese, con la differenza che il suo uso consuma benzina e che nelle prime fasi del gioco si entra in possesso di un’abilità peculiare ad essa legata e della quale non vi diciamo nulla per non rovinarvi la sorpresa.

Come concludere quindi?
Beh… alziamo il calice e brindiamo in felicità, perché questo è un signor gioco, proprio come lo era il suo predecessore. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti più di un BioShock 1.5 che di un seguito vero e proprio. In effetti, gli sviluppatori non hanno fornito troppi argomenti per rispondere a questo tipo di critica. Di certo c’è anche che si tratta di un titolo un po’ più semplice di quello che lo ha preceduto e che strizza un po’ l’occhio al casual gamer di turno. Però… il fatto che ce lo siamo bevuti alla goccia senza che niente ci sia venuto mai a noia è sintomo che l’alchimia ancora funziona egregiamente. E, alla fin fine, è quello che conta davvero.

N.B.: In questa recensione si è paralto del solo single player. Per un giudizio sul multiplayer vi rimandiamo a un apposito speciale che pubblicheremo nei prossimi giorni.