L'ultima casa a sinistra – DVD

E’ giusto continuare a fare i remake dei grandi horror degli anni ’70? I migliori prodotti del genere sono stati infatti realizzati in quel periodo storico, e non a caso: si stava spegnendo la…

Regia: Dennis Lliadis
Cast: Monica Potter, Tony Goldwyn, Garrett Dillahunt
Distribuzione: Universal
Lingue: italiano, inglese, spagnolo
Sottotitoli: ita, ing, spa, por, ebr, slo, croa
Schermo: 1.85:1
Audio: DD 5.1
Dischi: 1
Extra: scene eliminate; uno sguardo dietro le quinte

E’ giusto continuare a fare i remake dei grandi horror degli anni ’70? I migliori prodotti del genere sono stati infatti realizzati in quel periodo storico, e non a caso: si stava spegnendo la Grande Illusione della rivolta giovanile, hippies e figli dei fiori, fate l’amore e non fate la guerra, e invece che andare a San Francisco con i fiori nei capelli si finiva in cerca di sesso e droghe sulle strade di un’America rurale e ostile che era stata solo sfiorata dall’evoluzione dei costumi che aveva invece ribaltato le due coste. Non che nelle metropoli le cose andassero meglio, perché anche lì l’illusione della rivoluzione sessuale, del libero amore, del “libero tutto”, come ogni cosa portata all’eccesso, stava mostrando i suoi limiti, come avrebbero mostrato nelle loro storie registi come il primo Francis Ford Coppola, Bob Rafelson, John Schlesinger, Hal Ashby, Paul Mazursky, Mike Nichols, Jerry Shatzberg e poi Scorsese, Penn, Malick, Lumet, autori che con l’horror non c’entrano per niente, ma le cui storie mostravano i segni della fine delle speranze in un cambiamento, la fine del Nuovo Sogno.

Anche gli zombie di Romero datano 1972 e Carrie di De Palma è del 1976, senza dimenticare due film di Friedkin, Cruising (1980) sorta di inquietante thriller-horror metropolitano, dove i mostri si incontravano anche nei locali sotto casa, senza andarseli a cercare nella provincia, o il caposaldo L’esorcista, 1973, dove il Male è ancora più subdolo, vicino e devastante, con tutto il seguito di storie di “possessione” (quando non si riesce a spiegarsi perché l’umanità non riesca proprio a migliorare, si ricorre al sovrannaturale per giustificare la sua crudeltà). Incombeva inoltre l’escalation della guerra del Vietnam, mai finita nonostante le speranze, le lotte, le ribellioni degli anni ’60 e per di più il paese era oppresso da una cappa di paranoica sfiducia dovuta anche ai mai risolti omicidi politici degli anni precedenti (i due Kennedy, Malcolm X, Luther King), che autorizzava le più cupe illazioni complottiste (I tre giorni del condor, Va e uccidi, La conversazione, Il giorno dello sciacallo, Perché un assassinio e anche il successivo Osterman Weekend).

E lo scandalo Watergate risale proprio al 1972. Alcuni registi geniali come John Carpenter, Tobe Hooper, Wes Craven, Sean Cunningham, in quegli anni sono riusciti così a rinnovare un genere da sempre presente nella storia del cinema ma bisognoso di essere attualizzato. Per l’epoca erano stati film impressionanti: Non aprire quella porta, L’ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi, Halloween, Venerdì 13. Oggi è tutto molto diverso e, dopo anni di vari prodotti ripetitivi che solo grazie al cinema orientale e spagnolo hanno goduto di qualche innovazione, assistiamo al ripescaggio di tutti i titoli più noti, con remake, prequel e sequel a non finire, mentre vengono anche realizzate storie ispirate, quasi clonate, su temi già trattati (pensiamo solo quanti film sono stati fatti prendendo come protagonisti i soliti incauti adolescenti in cerca di sballo a spasso per il mondo), limitandosi a enfatizzanre l’esibizione delle più efferate atrocità. Questo premessa per dire che però un discorso così è generazionale, riguarda cioè coloro che sono abbastanza grandi da ricordarsi i predecessori, mentre ai ragazzi che hanno intravisto i vecchi classici sul piccolo schermo, pure frantumati dalla pubblicità, questi remake possono anche piacere, perché forse non troverebbero altrettanto “divertenti” gli originali, troppo soft per i loro gusti ormai drogati. L’ultima casa a sinistra era il primo film diretto nel 1972 da Wes Craven, vagamente ispirato a La fontana della vergine di Bergman, precursore del filone cosiddetto Rape & Revenge, che nei decenni ha portato fino a Tarantino. Nel remake attuale si è riservato il ruolo del produttore insieme a Sean Cunnigham (Venerdì 13) a conferma che su certe buone idee si può campare a lungo. Era un film per stomaci forti, angosciante e disturbante come pochi, girato con pochi mezzi e senza nessuna ricerca estetica e interpretato da un cast di attori mai assurti a maggiore fama, destino comune a quasi tutti i protagonisti degli horror più noti del periodo. Il remake di cui parliamo è diretto dal quasi esordiente Dennis Lliadis, autore in precedenza di Hardcore, film sulla prostituzione giovanile ad Atene, e vede come protagonisti alcuni attori di media notorietà come Monica Potter e Tony Goldwyn nel ruolo dei genitori. La storia è semplice: bella famiglia affettuosa, papà medico, mamma professionista, e Mari, figlia adolescente nuotatrice oltre che seria studentessa, se ne va in vacanza nella casa di campagna, in mezzo ai boschi nelle vicinanze di un bel laghetto. Ma Mari, in uscita con un’amica più spregiudicata di lei, dimentica la sua avvedutezza e va a cacciarsi in un guaio che potrebbe essere l’ultimo della sua vita. Mentre entrambe sono in cerca di erba per uno spinello, incappano in un ben diverso gruppetto famigliare, quattro delinquenti efferatissimi in fuga dopo l’evasione del capo famiglia. Insieme a lui faranno la poco gradita conoscenza dello psicopatico fratellino Francis, della ferocissima mogliettina Sadie e di Jason, il figlio succube “degenere” in quanto l’unico a non condividere la crudeltà dei suoi parenti. Saranno trascinate in una spirale di orrore, con violenze e sadiche sevizie. Dopo essersi liberati delle ragazze, i delinquenti cercano rifugio in una casa vicina, fingendosi vittime di un incidente stradale. Ignorano, tapini loro, di essere finiti proprio nella casa dei genitori di Mari, che quando scopriranno la terribile verità, abbandonata ogni borghese ritrosia, renderanno pan per focaccia. Finale con variazione rispetto all’originale (lì era con una sega a nastro, strumento molto presente dopo Non aprire quella porta, qui qualcosa di più tecnologico), anche leggermente più ottimista.

Il film è un prodotto medio di professionale fattura (quello che si definisce un onesto B movie), con più budget e più eleganza formale, con maggiori effetti splatter (anche perché dell’originale girano infinite versioni tutte tagliate), che ai nostri sensi ormai saturi non fa più molto effetto, a differenza dell’originale al tempo della sua uscita. Il cast inoltre è troppo hollywoodiano, nel senso che i protagonisti non sono abbastanza brutti, sporchi e cattivi da inquietare adeguatamente. Se la cava meglio di tutti nel ruolo di Francis, Aaron Paul, giovane attore validissimo co-protagonista della serie tv Breaking Bad, mentre Riki Lindhome (Sadie) si limita a enfatizzare la sua faccettina già di natura poco simpatica. Jason, qui del tutto bravo ragazzo, è Spencer Treat Clark (lo ricordiamo bimbetto ne Il gladiatore). Insufficiente purtroppo il “cattivo” Krug, qui interpretato da Garrett Dillahunt (Deadwood, Non è un paese per vecchi), troppo piacente e quasi chic, mai adeguatamente laido e crudele come era invece l’azzeccatissimo David Hess, maschera davvero da orco del primo film. Il film esce direttamente su DVD Universal. L’immagine è pulita e di buona definizione soprattutto nella prima parte, rispetto alla seconda quasi tutta in interni e più buia, nella riproduzione di una fotografia originale poco satura. Ottimo l’audio, potente e molto dettagliato nella ricostruzione ambientale e nella resa di effetti sonori e musiche. Come extra solo nove minuti di scene tagliate e un brevissimo “dietro le quinte”
quasi un trailer anche quanto a durata.

Film: 65
Audio/Video: 80
Extra: 60