Deus Ex: Human Revolution – Anteprima

Quindici ore in compagnia di Adam Jensen.

Difficile non farsi catturare dal fascino di un titolo come questo. Le sirene cantano alle nostre orecchie e ci rimandano alla memoria le notti passate sul primo capostipite, firmato da quel geniaccio di Warren Spector. Il canto si fa ancora più penetrante quando ci ricordiamo delle promesse degli sviluppatori: un ritorno al glorioso passato, dimenticando le pochezze di Invisible War. Poco conta la prova effettuata in casa Halifax tre mesi or sono per mano del nostro NeoSquall (e che vi invitiamo a leggere cliccando qui e qui): ora il gioco è in mano nostra, incarnato in una versione preview per Xbox 360. Approcci diversi… perché una cosa è il flirt pubblico, un’altra sono le coccole nella rassicurante intimità di casa propria.

CONTRASTI ED ESSENZIALITÀ
Dopo una quindicina d’ore in compagnia di Adam Jensen, la prima cosa che vi dobbiamo riportare è la duplice natura del titolo di Eidos Montreal. Addentrandosi nel gioco emerge un forte dualismo tra aspetti meravigliosamente azzeccati e altri che stridono in relazione alle velleità del progetto originale. Ad esempio, già dopo qualche ora è evidente come la presunta libertà di azione e approccio ai problemi si trasformi, a tratti, in una sorta di forzatura. È vero che esistono parecchie strade che possono portare al risultato finale, ma è altrettanto palese che molte di queste sono impraticabili qualora Adam non sia stato potenziato in un determinato modo. La forte componente ruolistica che ne caratterizza il progresso sembra rivelarsi quindi un’arma a doppio taglio, perché da un lato mette in mano al giocatore scalpello e martello per modellare a proprio piacimento il protagonista, ma dall’altro vincola in modo determinante le opzioni nel mondo di gioco. La struttura è quindi elastica e rigida allo stesso tempo, soprattutto in relazione ai pochissimi punti Praxis che vengono elargiti con estrema parsimonia e che devono essere spesi con estrema attenzione per aggiungere abilità al nostro Adam, rendendo di fatto obbligatorio creare un personaggio estremamente specializzato, piuttosto che spalmare perk e potenziamenti su più di due o tre fronti. Queste osservazioni devono comunque essere prese da tutti voi con le pinze. In primo luogo perché quindici ore sono un tempo di gioco discreto, ma comunque lontano dalla completezza necessaria per valutare Deus Ex: Human Revolution nella sua totalità. In secondo luogo, perché mancano ancora tre mesi all’uscita sugli scaffali, il che rende possibile da parte dello sviluppatore una modifica sostanziale nel rapporto di crescita di Adam in relazione alla progressione nella storia.

Un altro aspetto critico riguarda l’intelligenza artificiale e il comportamento dei nemici. Questi, tanto per cominciare, tendono a pattugliare in modo ordinato l’area secondo pattern predefiniti e sempre uguali: se da un lato si tratta di un comportamento che permette di pianificare in anticipo le nostre mosse (soprattutto se, come nel nostro caso, il buon Adam è stato potenziato secondo scelte spiccatamente stealth), dall’altro non introduce alcuna variabile interpretativa. Il comportamento negli scontri a fuoco mette in mostra avversari indemoniati anche a livello di difficoltà Normale: la fatica a rimanere vivi è più che altro determinata dalla nostra ricorrente inferiorità numerica e dalla tendenza dei nemici a coprirsi a vicenda e a stanarci dietro al nostro riparo. Tuttavia, siamo incorsi qualche volta in comportamenti illogici, con avversari che ci sono venuti a scovare in uno sgabuzzino uno alla volta dopo essersi messi in fila col numero in mano come dal salumiere, anziché entrare in massa o attendere che mettessimo il naso fuori di nostra iniziativa.

STILE, MISURA E CYBERPUNK
Non è una bestemmia paragonare la Detroit di Deus Ex: Human Revolution alla Los Angeles cupa e distopica di Blade Runner. E, per certi versi, Adam Jensen può ripercorrere le tracce del poliziotto Rick Deckard, che nel capolavoro di Ridley Scott faceva del pragmatismo la caratteristica essenziale della propria personalità. Tuttavia, Adam vive nel titolo di Eidos Montreal una situazione agli antipodi: è lui il “diverso”, colui che è stato modificato per essere tenuto in vita, probabilmente oltre le necessità di sopravvivenza. Il giocatore è accompagnato da un viaggio più “dentro” al protagonista che “fuori”, e le scelte nei dialoghi ne tratteggiano in modo decisivo il profilo psicologico: l’empatia, insomma, è garantita. Parimenti, appare notevole il lavoro di cucitura di un nugolo di personaggi secondari cui affezionarsi o verso i quali provare disgusto. Dopo una quindicina d’ore di gioco il quadro non si svela, ma si ha l’impressione che poco alla volta i tasselli del puzzle comincino a incastrarsi e dare un senso al tutto, concedendo al giocatore una lenta ma continua sensazione di progressione e coerenza narrativa.

Se, quindi, da una parte il plot si appoggia saldamente su tradizioni letterarie spiccatamente cyberpunk, dall’altra il dipinto non è valorizzato da una cornice altrettanto efficace. A questo punto della lavorazione ci saremmo attesi progressi evidenti dal punto di vista tecnico rispetto al nostro ultimo incontro con Adan Jensen, e invece tocca rammaricarsi di come il motore grafico non renda giustizia all’ottimo costrutto narrativo e allo splendido design degli scenari. Intendiamoci… la Detroit del 2027 con i suoi contrasti gialloneri ha stile da vendere, ma il confine tra essenzialità ricercata e pochezza delle texture è troppo labile per non far storcere il naso in alcuni passaggi. Oltretutto, a tre mesi dal lancio Deus Ex: Human Revolution non può ancora definirsi un mostro di stabilità, visto che in taluni frangenti il frame rate si è mostrato eccessivamente ballerino. Certo, è pur sempre un codice preview. E certo, manca ancora un po’ di tempo all’uscita. Ma se la memoria non ci fa difetto, non abbiamo mai visto un titolo modificarsi così radicalmente dal punto di vista tecnico in un periodo così breve. Lieti di essere smentiti al nostro ritorno dalle ferie, s’intende…