Siamo andati a Parigi per vedere con i nostri occhi come sia facile passare dal Vecchio West ai giorni nostri, senza colpo ferire. [Preview]
Stanchi degli inflazionatissimi scenari malavitosi? Proprio per niente, eh? Già, è lo stesso per noi, soprattutto poi se arriva un gioco che, all’interno del genere videoludico delinquenziale, colma un po’ una lacuna, ovvero la poca attenzione riservata sinora alla modalità cooperativa. Call of Juarez: The Cartel, che passa dallo scenario western dei primi due capitoli alla contemporaneità, vi vedrà infatti sempre alla guida di tre poliziotti costantemente impegnati in un fuoco incrociato contro i criminali. Siamo stati invitati a Parigi per un primo assaggio del titolo griffato Techland, e quindi non potevamo lasciarci sfuggire l’opporrunità di raccontarvi quello che abbiamo avuto il piacere di osservare.
Come detto, l’attenzione di Call of Juarez: The Cartel è indirizzata verso il multiplayer cooperativo, ma l’azione corale sarà in primo piano anche qualora decidiate di dedicarvi esclusivamente al gioco in singolo, nel qual caso due sbirri saranno guidati ovviamente dal computer. Detto questo, non pensiate che il vostro sia un ruolo “assistenziale”, come sembra andare di moda ultimamente, come accade in Enslaved e Knights Contract, o come succederà in NeverDead, giusto per citare alcuni fulgidi esempi. Qui si parla di un intelligenza artificiale interventista e pure tattica, e ve ne accorgerete quando i due compari non smetteranno mai di premere il grilletto col doppio scopo di bersagliare e coprirvi le terga. Tanto più che nel gioco appariranno dei “fantasmi” che indicano le posizioni migliori di copertura: una volta che qualcuno le raggiunge, scatta la routine comportamentale che fa muovere strategicamente e di conseguenza tutti gli altri della combriccola. Non essendo quella di Parigi una prova giocata, non sappiamo dire se il meccanismo sia oliato a dovere, ma a vedersi fa davvero una bella impressione.
Una bella impressione la fanno pure i tre protagonisti. Gli sviluppatori polacchi di Techland ci tenevano a dotare di un certo carisma i tre, e così hanno preparato alcuni splendidi intermezzi a condimento dell’azione di gioco, oltre a un look ricercato e un background in cui i soggetti in questione possano esprimere una certa personalità. Ad esempio, in una sequenza ottimamente sceneggiata di “pedinamento-discussione sul da farsi-irruzione” i tre non solo si consultavano sul modo migliore per presentarsi in un covo di criminali, ma si lanciavano in divertenti frecciate, da cui trapelava la rivalità tra le tre diverse agenzie di ordine pubblico di appartenenza: FBI, DEA (la squadra antidroga americana) e LAPD (dipartimento di polizia losangelino).
Come detto, anche il look e il background dei protagonisti è stato curato nei minimi dettagli. Ben, che è un discendete dei cowboy dei primi due capitoli, ha un aspetto da vero rinnegato, con le sue mille cicatrici in faccia e un impermeabile da giustiziere. La fascinosa Kim è la copia sputata di Halle Berry, con un completino sportivo che ne fa risaltare il fisico sexy. Eddie, infine, ha un look ricercato da… Scarface. Il loro passato poi parla di guerra del Vietnam che ha plasmato un animo vendicativo per Ben, infanzia difficile con una certa familiarità con la criminalità per Kim, e bische clandestine per Eddie (che poi, per Eddie, rappresentano non solo il passato, ma anche il presente).
Di Call of Juarez: The Cartel ci sono state mostrate due situazioni distinte. La prima, successiva all’introduzione del gioco, ci vede protagonisti di una sparatoria all’interno di una discoteca. Appena cominciato lo scontro a fuoco, la gente, che si dimenava in allegria solo un secondo prima, si è gettata a terra, mentre i tre protagonisti hanno dato luogo a un bersagliamento incrociato. Dall’altra parte c’erano scagnozzi vari (con tanto di catenazza al collo, giusto per darvi un’idea della “tamarraggine”) che davano l’impressione di impegnarsi in una continua danza di fiancheggiamento, le cui “coreografie” sono diventate ancora più evidenti quando abbiamo attivato l’immancabile bullet time.
La sparatoria è proseguita all’aperto, in un tipico inseguimento appiedato, che è diventato motorizzato una volta scoperto che è possibile trafugare le vetture presenti nello scenario di gioco. Tutto piuttosto intenso, dotato dei suoi bei particolari e ben inscenato.
La seconda situazione che ci è stata mostrata dagli sviluppatori prevedeva un incipit già a bordo di un veicolo, per la precisione un pick-up. In questa fase abbiamo osservato un giocatore alla guida, mentre gli altri due erano addetti a far volare proiettili. Anche in questo caso lo sviluppo della storia (e dell’azione) si è rivelato più che convincente: nell’antefatto il trio aveva il compito di controllare strani “traffici” nel deserto messicano (con la bella Kim nel ruolo di cecchina del gruppo), mentre nell’epilogo occorreva sparare a più non posso dopo essere stati avvistati dai contrabbandieri. In una situazione come quella appena descritta, il conducente si è dovuto impegnare a fare a sportellate o ad affiancare i veicoli nemici per favorire il crivellamento da parte del due soci addetti alle armi, i quali erano evidententemente deputati a sparare a tutto ciò che si stesse muovendo, bersagli appiedati compresi. Il tutto in una sarabanda di automezzi che si capottavano ed esplodevano (con tanto di elicottero a sostegno!), e scagnozzi imboscati dietro rocce e cactus che bersagliavano senza pietà il nostro trio di estemporanei protagonisti.