Transformers: Dark of the Moon – Recensione

“Siamo rimasti io, tu e le mazzate che stai per prendere.”

Ci sono cose nel mondo dei videogiochi letteralmente incise nella pietra, tanto sono vere e tanto sono vecchie. Una di queste – un autentico pilastro – è che i tie-in nella stragrande maggioranza dei casi sono dei bidoni colossali. Queste produzioni hanno ammorbato fin dall’alba dei tempi qualsiasi piattaforma, senza distinzione alcuna, arrivando anche a decretare il fallimento di interi team di sviluppo, spazzati via dall’ennesimo tentativo di riportare le atmosfere di una qualsivoglia pellicola in forma digitale.
Il perché di tanti insuccessi è tema di eterna discussione fra tutti gli appassionati, e se di tanto in tanto qualcuno riesce a tirare fuori qualcosa di buono è solo perché in qualche modo è riuscito a slegarsi da alcune ben note politiche commerciali (vedi gli ultimi due giochi dedicati ai lungometraggi Pixar, ovvero Toy Story 3 e Cars 2). Il tie-in, infatti, vive della luce riflessa del film da cui è tratto, quindi deve rispettare categoricamente la data d’uscita, cosa che, come ben sappiamo, in questo campo è una vera e proprio chimera. A questo punto sono due le cose che una software house può fare: tentare disperatamente di produrre un gioco che segua pedissequamente la trama del blockbuster in questione, oppure inventarsi una trama parallela, un prequel, insomma qualcosa che possa garantire un minimo di libertà agli sviluppatori.

Questa è fortunatamente l’idea che ha animato i ragazzi di High Moon Studios, i quali, per il terzo capitolo della saga cinematografica dei Transformers, hanno deciso di farci vedere (e giocare) eventi antecedenti a quelli raccontati in Dark of the Moon. Un evidente aspetto positivo di questa scelta è che non troveremo alcuno spoiler relativo alla trama, pertanto non rischieremo di rovinarci la visione al cinema. Inoltre, questo fatto ha permesso agli sviluppatori di sbizzarrirsi con le ambientazioni e le situazioni di gioco, facendoci tranquillamente passare dalle foreste del Sud America ai ghiacci della Siberia senza il minimo problema.

Dark of the Moon è fondamentalmente uno sparatutto in terza persona che ci vedrà, a seconda dei livelli, interpretare il ruolo degli Autobot quanto quello dei Decepticon, con un robot diverso per ognuno dei sette stage presenti. Prenderemo quindi il controllo di alcuni fra i più amati protagonisti di questa serie, a partire dall’amatissimo Bumblebee fino al possente Optimus Prime, passando ovviamente per Megatron e il suo inaffidabile scagnozzo Starscream. Ognuno di essi è ovviamente caratterizzato da armi specifiche e caratteristiche uniche, per non parlare della forma veicolare. Quest’ultima è divisa in due stadi, uno classico dove si controlla il mezzo normalmente, e un’altro, detto “modalità furtiva”, dove invece le armi sono esposte ed è possibile muoversi anche lateralmente, tipo strafe. In questa forma saremo in grado non solo di sparare, ma anche di reggere un maggior numero di colpi.
Ogni robot dispone inoltre di due tipi armi e altrettante abilità speciali, utilizzabili però solo per alcuni secondi, esauriti i quali toccherà attendere un certo quantitativo di tempo per poterle riattivare. Si tratta spesso di attacchi molto potenti o caratteristiche speciali, come il camuffamento ottico di Mirage, che oltretutto introduce a una fase di gioco blandamente stealth.

Gli High Moon hanno scelto l’immancabile Unreal Engine 3 per muovere il loro tie-in, portandosi dietro pregi e difetti del motore di Epic. Da un certo punto di vista bisogna dare atto ai grafici per aver reso con estrema efficacia i complessissimi robot ideati dell’Industrial Light & Magic. Peccato che la stessa cura non sia stata riservata alle ambientazioni, piuttosto blande, caratterizzate da texture mediocri e non proprio ispiratissime. Il lato tecnico risulta piuttosto deficitario, con un tearing costante, frame rate ballerino, assenza di anti-aliasing e l’immancabile pop-up delle texture, vera croce dell’UE3. Al tutto si sommano effetti alpha (esplosioni, fuoco, fumo, etc.) a bassissima risoluzione, cosa particolarmente evidente nella sezione aerea con Starscream all’inseguimento di Stratosphere, con seghettature a tutto spiano a caratterizzare i bordi di tutti gli oggetti a video (per fortuna pochi, visto che il suolo è furbamente nascosto da un’impenetrabile coltre di nuvole).

Un paio di parole, prima di passare al commento, vanno spese in merito alla versione PlayStation 3: la console Sony si deve sorbire un’installazione di ben 4 GB, una procedura che purtroppo non evita i problemi di texture streaming, ma almeno accorcia i caricamenti, cosa che invece non accadeva con un altro ben noto mattonazzo, Duke Nuker Forever. Non sarà tanto, ma in questi casi è meglio non buttare via nulla.