[E3 2012] Medal of Honor: Warfighter – Anteprima

Provato per voi in anteprima il multiplayer di Medal of Honor Warfighter.

Call of Duty, inizia a tremare, Medal of Honor sta per tornare! Con questo motto terrificante, dovuto più che altro all’esposizione delle abbaglianti luci della fiera e a un abuso eccessivo di bibite energetiche (che negli States sono ovunque!), ho voluto dare inizio alla visione di Warfighter, nuovo sparatutto in prima persona dedicato a tutti i guerrafondai sparsi per il globo. Con una storia che si dipana dall’inizio del secolo in corso ai giorni nostri, questa produzione targata Danger Close Games promette di donare ai più un’esperienza militare come mai nella vita. Giuro. Sul serio. Almeno, questo è quanto mi hanno raccontato gli sviluppatori, nel momento in cui mi sono seduto davanti alla postazione di gioco per una sessione multiplayer in versione PC. A dir la verità, mi hanno persino un filo ammorbato con dei dettagli sui quali avrei preferito soprassedere, ma dato che io ho sofferto, è giusto che condividiate con me parte dell’agonia.

Tanto per cominciare, c’è tutta la questione della storia dei Tier-1, che è stata spoilerata in parte, ma che eviterò di spiattellarvi qui, giusto perché non voglio essere preda di insulti e lanci di monetine varie (specialmente quelle da 2 centesimi, che generano solo pessimismo e fastidio). Sappiate che dietro l’angolo è pronto un bel tour mondiale a base di missioni impossibili basate su fatti realmente accaduti e, ovviamente, romanzati ad hoc perché altrimenti sai che noia. Ci troveremo così a combattere contro i pirati in Somalia, che non sono quelli dei Caraibi, quindi niente mostri marini ed effeminati capitani col mascara, bensì bruttissimi ceffi e tagliagole pronti a vendersi la madre pur di accaparrarsi la propria fetta di denaro. Poi, giusto per infastidire un po’ anche i separatisti islamici, da sempre tolleranti e pacifici, non mancherà un assalto in grande stile al gruppo Abu Sayyaf, che da anni terrorizza le isole a sud delle Filippine.

Scena un po’ inutile in ottica multiplayer, visto che gli scenari non saranno malleabili come quelli di Battlefield 3.

Il tutto sarà comunque una grande scusa per mettere in piedi il più grande show pirotecnico della storia dei videogiochi moderni, mettendo sul campo quasi ogni comparto militare d’elite del pianeta. Avremo così i Seals per gli Stati Uniti, i SAS per la Gran Bretagna, gli Spetsnaz per la Russia e i Carabinieri per l’Italia. No dai, scherzo, l’Italia non c’è proprio. Ho anche provato a chiedere come mai le nostre forze militari fossero assenti, ma mi hanno guardato con un sorrisetto che ricordava Sarcozy e la Merkel durante un ben noto Consiglio Europeo. Ridete, ridete… tanto ci incontreremo in qualche party.

Comunque, facezie a parte, l’aspetto che più mi ha colpito durante il primo impatto con il gioco è, manco a farlo apposta, lo straordinario impatto grafico, per certi versi addirittura superiore a quello visto in Battlefield 3, nonostante lo spropositato uso di marrone e verde. Del resto, il motore grafico è proprio il celebratissimo Frostbyte 2 e non poteva deludere in alcun modo. La resa delle ambientazioni, la qualità dell’illuminazione, la quantità impressionante di effetti di post-processing era tale da lasciare a bocca aperta. A questo proposito risuonano quanto mai veritiere le parole del direttore creativo di EA, Richard Farrelly, quando disse che Medal Of Honor: Warfighter avrebbe spinto l’engine sviluppato da DICE verso nuovi livelli.

Hei tu porco… leva le mani di dosso dal mio compagno.

E a proposito di DICE, ho avuto la conferma che i ragazzi di Battlefield a questo giro non avranno nulla a che fare con il comparto multiplayer, che quindi rimane fermamente nella mani dei Danger Close, pur riprendendo buona parte degli elementi presenti nel primo capitolo. Nella prova era disponibile una mezza dozzina di gruppi Tier-1, manco a dirlo ciascuno di essi dotato di personalissime armi, abilità e Kill Streak. Di particolare interesse strategico è l’introduzione del Fire Team, ovvero un sistema che lega ciascun giocatore a un altro dello stesso gruppo, con effetti diversi. Ad esempio, un “gemello” ucciso può essere riportato in vita senza necessità di attendere il respawn, sei saremo così abili e veloci a vendicarlo sul campo, eliminando il nemico che si è impunemente impossessato della sua vita. Si tratta di una cosa che funziona bene e che costringe a ragionare in un’ottica di coppia oltre che di gruppo, soprattutto alla luce del fatto che le mappe non sembrano particolarmente grandi e aperte, e che la velocità in cui tutto si svolge sembra più vicina a un Call of Duty che a un Battlefield a caso, da cui comunque Medal of Honor ha attinto alcune idee. Peccato solo che, nonostante la presenza del Frostbyte 2 sotto al cofano, la “distruttibilità” degli scenari sembri estremamente limitata, almeno durante la prova losangelina.