Ted – Recensione

La nostra recensione della commedia scorrettissima che segna il debutto al cinema del creatore dei Griffin Seth MacFarlane. Protagonista: un orsetto molesto.

Immaginate Steven Spielberg nella sua cameretta, all’età di dieci anni. In cortile gli amici stanno giocando e lo chiamano per unirsi a loro, ma lui preferisce afferrare la tazza di tè bollente, coprirsi con un plaid e mettersi a letto a leggere libri d’avventura. Ecco, se il piccolo Steven avesse invece accettato la sfida, impugnato una Coca ghiacciata e fosse sceso da basso a fare a gara di rutti con i coetanei sfidandoli a suon di citazioni di film di fantascienza, oggi forse non avremmo E.T. o Indiana Jones ma Ted.
Fossimo un ufficio stampa, questo piccolo spot (modestamente) avrebbe convinto anche il più scettico degli spettatori. Invece siamo solo giornalisti, e comunque a vendere il film basta il nome che ci sta dietro: Seth MacFarlane, già creatore dei Griffin, dei “Griffin senza cane ma con l’alieno” (American Dad!) e dei “Black Griffin” (The Cleveland Show). Un curriculum che lo mette in testa alla lista degli uomini più potenti della tv americana; non necessariamente una garanzia di successo nel passaggio animazione-live action, ma sicuramente un buon punto di partenza. E se è vero che il personaggio di Ted avrebbe dovuto essere protagonista dell’ennesima serie animata firmata MacFarlane, a conti fatti la scelta di trasformarlo in un film vero e proprio si è rivelata vincente.

Orsacchiotto molesto
Spogliato di tutti gli orpelli, Ted non è niente più di una favola, un racconto di formazione con tanto di morale finale. L’eponimo orsacchiotto entra in scena quando il protagonista John a otto anni, esprime il desiderio di poter avere un vero miglior amico. Così, anche senza l’aiuto di una fata madrina, John si ritrova in casa un peluche parlante che gli giura eterna fedeltà.
I due crescono ma l’affetto reciproco rimane, nonostante il lungo momento da rockstar di Ted e, conversamente, la vita noiosa e anonima di John, intrappolato a trentacinque anni nel corpo di Mark Wahlberg (sempre meglio nei ruoli comici che in quelli action che continuano a rifilargli), in un lavoro senza prospettive e in una storia d’amore (quella con Lori-Mila Kunis) che non vuole saperne di evolvere.
C’è più psicanalisi in questo film che in dieci sedute di MacFarlane dal terapista: John e Ted (a cui è lo stesso regista a donare movimenti e voce) fumano erba, bevono birra, ruttano e giocano all’Xbox, hanno la suoneria di Guerre Stellari e un’adorazione viscerale per Flash Gordon.
Praticamente un’autobiografia, e forse non è un caso che il film venga messo in moto da uno scontro tra John e Lori riguardo al “crescere”. Perché Seth MacFarlane è un bambinone: lo dimostra uno script che non rinuncia alle famose “scene random” dei Griffin, alle costanti battute scorrette, alle gag a base di tette&culi, rutti&peti. Come non rinuncia a un’esplicita citazione di Peter Griffin e ad un paio di camei gratuiti e quindi deliziosi. In un certo senso Ted è una versione più matura dei Griffin, spogliata di tutto ciò che MacFarlane ha rubato ai Simpson e quindi più personale. Compresa la voglia di osare che è tipica di uno che si è ritrovato per le mani un giocattolo nuovo: e quindi ecco inseriti nel tessuto del film tanti piccoli, bizzarri esperimenti di regia, che citano Hazzard e Spielberg senza sembrare inseriti a forza per salvare una scena debole, stile The Amazing Spider-Man.

Imperfetto, ma con un grande cuore
È il grande segreto di Ted: tolti i giochetti e trovate varie (e geniali) nell’essenza rimane comunque tra le mani un film solido, emotivamente coinvolgente, ricco di sorprese e con un ritmo che fa crepare d’invidia gran parte delle commedie che si vedono in giro.
Ovviamente non è tutto rose e fiori. Sotto quel cuore anni Ottanta grande così – o forse proprio a causa dell’importanza data all’aspetto più emotivo del film – si nascondono momenti di stanca, personaggi non del tutto sfruttati (Giovanni
Ribisi, che sarebbe il villain, entra in scena troppo tardi perché ce lo si possa godere davvero), qualche battuta meno brillante del solito. Si ride, anche molto, ma i crampi, quelli che colpiscono durante le migliori puntate dei Griffin, non fanno mai capolino. Ma è la vecchia storia della moglie piena e della botte ubriaca (o il contrario?): per presentarsi a Hollywood, Seth MacFarlane ha deciso di giocare secondo le loro regole e sacrificare un po’ (poca) della sua iconoclastia. E sapete cosa? Chissenefrega: ci abbiamo guadagnato una delle commedie migliori degli ultimi anni. (Mario Guerra)