La neve intrisa di sangue sulla lunga strada che porta a Berlino. Ecco le nostre impressioni sui massacri più “gelidi” della Seconda Guerra Mondiale, dopo la prova londinese sull’RTS di Relic.
Non era raro, per i bambini della mia generazione, “subire” una visione distorta e unidirezionale della Seconda Guerra Mondiale: in televisione era difficile assistere a un film di guerra che non appartenesse alla stagione propagandistica del cinema bellico hollywoodiano, con tutta l’attenzione concentrata sull’Europa Centrale, magari nel nord della Francia, oppure sui deserti africani e sull’intricata vegetazione (spesso ricreata sul set) di qualche isola del Pacifico. In un certo senso, anche i moderni videogame hanno rischiato di rimanere incollati a questa linea – non molto sottile, e nemmeno rossa – se non fosse per la vivida rappresentazione del primo Call of Duty e, in tempi più recenti, per l’eccellente interpretazione multiplayer di Red Orchestra. In effetti, mettendo mano per la prima volta allo storymode di Company of Heroes 2 ho avuto una specie di visione, connessa in particolare allo sparatutto di Infinity Ward, come se lo sguardo si astraesse dagli occhi del soldato per inquadrare il complesso delle strade e delle piazze di Stalingrado, nell’ottica ragionata del comandante, con un pugno di uomini al posto del singolo “coscritto” di Call of Duty. Ed è quasi un peccato mortale, quello di pensare a un FPS mentre si gioca a un nobile videogame strategico. Giuro che non l’ho fatto apposta.
Il fattore spettacolo è sicuramente il “colpevole” dell’infausto pensiero. Company of Heroes 2 è terribilmente coinvolgente a livello visivo, e questo riguarda anche i primi passi nella città assediata dall’esercito tedesco, con il compito di conquistare un presidio nazista protetto da corazzati. In mezzo all’efficacissimo fumo delle esplosioni, con uno zoom generoso e un livello di dettaglio regolato di conseguenza, l’impressione di realismo viene ulteriormente esaltata da una felice variante nella rappresentazione dello scenario: tra le macerie è necessario muoversi “a vista”, perché gli elementi attivi dell’ambientazione (soldati, veicoli e postazioni) diventano visibili solo se inquadrati dal cono visivo dei soldati; per dirla insieme a uno dei game-designer di Relic, Jason Lee, “nella gran parte degli strategici abbiamo a che fare con uno spazio di visibilità innaturalmente circolare, all’interno del quale è possibile scorgere ogni cosa; il sistema TrueSight, invece, blocca la visuale delle unità di fronte a ostacoli, edifici e vegetazione, così da organizzare assalti e difese su criteri di maggiore verosimiglianza”.
Naturalmente, il TrueSight è foriero di opportunità più fantasiose e ampie, specie per le imboscate e gli aggiramenti: ciò è vero anche nella missione di Stalingrado, in forma volutamente ridotta e minimale, con la necessità di aggirare postazioni di mitragliatrici per poi conquistare un cannone, da usare contro i carri nemici (dimostrando subito, se ce ne fosse bisogno, l’unico modo di contrastare efficacemente i mezzi, in assenza di supporto alla fanteria). D’altra parte, come da tradizione del genere, la campagna single-player ha anche il valore di un gigantesco tutorial, sceneggiato sui fatti storici e contemporaneamente attento alle introduzioni del gameplay: sempre a Stalingrado viene mostrata un’altra piccola variazione, meno sbandierata ma comunque utile, che contempla la facoltà di scavalcare i ripari, velocizzando gli attacchi a sorpresa; in un altro livello (ne ho potuti provare 5, a fronte di 14 missioni complessive), più “primaverile” rispetto alla media di CoH2, viene presentato l’upgrade che consente ai coscritti di curare i compagni, in questo caso reparti d’assalto impegnati in prima linea, per poi accedere gradualmente ai contenuti avanzati, missione dopo missione, fino a sbloccare carri armati, missili Katusha e tutte le risorse belliche salvate dalla furia nazista. A questo punto, però, l’inverno russo ha già invertito per sempre le sorti dell’Operazione Barbarossa.
Il fumo è una delle cose migliori del motore grafico.
Un ruolo sempre più importante, via via che si procede nella campagna, è assunto dalla simulazione climatica di CoH2, denominata ColdTech, che ho potuto provare per esteso anche nella beta multiplayer e nella corposa (nonché irrinunciabile, a mio modo di vedere; ne parlo qui) espansione “progressiva” Theatre of War: innanzitutto, come ha precisato Jason, “i soldati rabbrividiscono e si muovono in modo impacciato, anche al di fuori dei tratti coperti dalla neve, e si riprendono un poco quando raggiungono una copertura, da cui riescono a sparare con maggiore precisione.” In questo contesto, aggiungo io, anche una semplice scia sul terreno può diventare il segno di un’imminente imboscata, così come è possibile capire quali forze il nemico si è portato appresso e prepararsi al peggio, nel caso le tracce sulla neve appartengano a un mezzo. Specie in multiplayer, dunque, è sempre possibile depistare l’avversario movimentando le truppe in modo creativo, così che i segni sul terreno non permettano una facile identificazione del pericolo.
Anche le distese ghiacciate possono fungere da elemento tattico, con precise limitazioni e potenziali vantaggi: da un lato è possibile piazzare cariche esplosive nei tratti più sottili e fragili, per rallentare o distruggere un convoglio nemico; dall’altra, è sempre necessario muovere i veicoli pesanti con la giusta attenzione, non solo per il pericolo di imboscate nemiche, ma anche per le insidie derivate dallo spessore del ghiaccio. Sulle bufere di neve vale un discorso simile, in termini di influenza sullo schema di gioco: le tempeste consolidano lo spessore dei percorsi sull’acqua gelata, ad esempio, come ulteriore tocco di verosimiglianza, e soprattutto rendono ancora più difficili e lenti i movimenti dei soldati. D’altra parte, come ho potuto provare personalmente con notevole (e sadica) soddisfazione, nessuno impedisce di avanzare coraggiosamente in mezzo agli sbuffi di neve, consci di perdere diversi uomini durante l’impresa. A proposito: l’assideramento dei militi può essere impedito con la costruzione di appositi falò, oppure portando i soldati nei pressi dei bivacchi già esistenti.
Visto che siamo entrati in tema di multiplayer, vale la pena di esplorare l’ampia possibilità di personalizzazione degli eserciti, in parte condivisa anche dalla campagna in singolo. In generale, ogni giocatore ha a disposizione cinque layout da richiamare in partita, comprensivi di Comandanti, Bollettini d’intelligence e skin mimetiche (per i veicoli) sbloccati durante la crescita dei rank. I Commander funzionano come un complesso bonus, che va adoperato nelle fasi avanzate della partita per portare alla propria fazione nuove unità, a patto di aver costrui
to le corrispondenti caserme, fregiandosi al contempo di specifiche skill in attacco e in difesa. Nella closed beta, disponibile con i preordini e conclusa da un paio di settimane, erano presenti tre comandanti, mentre il gioco completo ne metterà a disposizione una decina. I meccanismi dei Bollettini d’intelligence, invece, sono vicini a un classicissimo sistema di skill, per cui l’uso intensivo dei vari reparti (semplici fanti, ingegneri, cannonieri e via di questo passo) porta a migliorie e potenziamenti per quella particolare unità, a seconda del numero di uccisioni e degli obiettivi conseguiti.
Non è che di notte le cose siano più serene, neh…
Infine, è bene spendere anche qui un paio di parole sulle intelligenze artificiali, come ho già fatto per l’espansione co-op e single player Theatre of War. A fronte di un gioco che ha mantenuto le sue caratteristiche base, con un approccio “violento” alle logiche RTS che non contempla alcuna risorsa, le routine mi sono apparse fin da subito particolarmente aggressive, specie nella produzione e nell’uso immediato di mezzi, unità e caratteristiche speciali (come i lanciafiamme, per gli ingegneri e i mezzi blindati): la conquista dei punti d’interesse è dunque il primo “pensiero” per le IA, esattamente come deve esserlo per il giocatore, in modo da creare un numero ampio e variegato di squadre sul campo, con gruppi di ricognizione sempre pronti a rilevare eventuali zone sguarnite. E, talvolta, ho dovuto dannarmi l’anima, complici le realistiche conseguenze del TrueSight, per scovare le maledettissime postazioni di mortai, disposte dalla CPU con una perizia davvero inusitata dietro a strutture, collinette e file di alberi. Uno dei pochi appunti potrebbe riguardare la relativa semplicità all’inizio della campagna: in particolare, le limitazioni sulle unità e la portata degli obiettivi sviliscono un poco le caratteristiche delle IA , che sembrano esprimersi al meglio su territori ampi e articolati, densi di presidi da conquistare. Il che, comunque, corrisponde a un complimento piuttosto raro, con i tempi che corrono.