Aliens: Colonial Marines – Recensione PC

Più che una recensione, una caccia allo xenomorfo.

Piccola premessa. Halifax, che distribuisce Aliens: Colonial Marines sul territorio nazionale, non ha finora spedito a nessuno un codice del gioco in formato PS3 o Xbox 360, e quindi questa recensione si basa esclusivamente sulla versione PC. A ogni modo, entro oggi (che, guarda caso, è il giorno di distribuzione nei negozi) dovremmo ricevere le promo delle versioni console, per cui aspettatevi un aggiornamento tecnico a breve. A mio modesto avviso, il fatto che SEGA non abbia fornito nessun codice review di quelle che reputa le versioni più “povere” la dice abbastanza lunga su quanto il publisher giapponese creda nel lavoro di Gearbox. Peraltro, la versione PC non è che sia un concentrato di prelibatezze tecniche da leccarsi i baffi, il che aumenta ulteriormente la perplessità di non aver visto, fino ad ora, nulla di Aliens: Colonial Marines in salsa console, visto che le differenze non dovrebbero essere così evidenti. A ogni modo, questo è il resoconto della mia esperienza a blastare xenomorfi, successiva all’installazione via Steam di una decina di giorni fa: caricate le smartgun e preparatevi alla guerra.

ALIEN INSIDE
Il pregio più grosso di Aliens: Colonial Marines è di non aver edulcorato o annacquato l’iconografia aliena tratteggiata da H.R. Giger all’epoca della sua collaborazione con Ridley Scott. Il titolo di Gearbox è un concentrato di tutto quello che un fan della saga si aspetta di trovare in un videogioco dedicato, anche se alcune incoerenze narrative potrebbero far storcere il naso agli afecionados più integralisti. Il protagonista è il marine Christopher Winter, cui tocca salire sull’astronave Sulaco dopo che una squadra di soldati ha ivi fatto una brutta fine, in seguito a una chiamata di soccorso. Chi di voi conosce bene la quadrilogia cinematografica, sa bene che quella chiamata è opera di Dwayne “decolliamo e nuclearizziamo” Hicks, fuggito dal pianeta LV-426 (assieme a Ellen Ripley, a quel che restava del sintetico Bishop e alla piccola Newt) dopo l’esplosione della colonia Hadley’s Hope, nelle penultime battute di Aliens: Scontro Finale. Le vicende narrate da Aliens: Colonial Marines, dopo una breve fase iniziale a bordo della Sulaco, prendono piede proprio sul pianeta LV-426, nei pressi di quella colonia che avrebbe dovuto essere ridotta a un cratere nucleare, ma che invece sembra più vittima di qualche casuale colpo di cannone. Questa è solo una delle libertà narrative che si sono regalati i ragazzi di Gearbox, pur di “reimmergere” il giocatore in quegli ambienti che tanto hanno colpito l’immaginario di milioni di fan, nell’arco dei decenni.

Fin dalle prime battute si capisce che Aliens: Colonial Marines è un FPS old-school che più old-school non si può, vista la presenza in giro per i livelli di medikit per ripristinare la salute e scudi aggiuntivi, anche questi da raccogliere negli stage e regolati da una barra a svuotamento. Il level design, non certo ispiratissimo, si risolve in un canalone à la CoD, ma senza portarsi dietro tutta la dose di spettacolarità ignorante del titolo Activision. D’altronde, il tentativo di Gearbox è quello di coinvolgere con la tensione e l’atmosfera cupa tipica dei film, non certo con effetti speciali e colori ultravivaci. Da questo punto di vista, nonostante alcune soluzioni siano abbastanza scontate, lo sviluppatore si guadagna un bel “Obiettivo Sbloccato”, visto che certi momenti non dico facciano saltare dalla sedia, ma di certo non possono essere affrontati con la serenità con la quale si gioca a un Ni No Kuni a caso.

Poteva forse mancare il lanciafiamme?

L’INVINCIBILE O’NEIL
Aliens: Colonial Marines ha quindi alcuni pregi evidenti, ma anche altrettanti difetti. Il più eclatante riguarda l’Intelligenza Artificiale dei marine che ci accompagnano lungo buona parte della vicenda, e che sono quindi controllati dalla CPU. Avete presente quei giochi in cui siamo affiancati da compagni che non uccidono un nemico manco a piangere e la cui presenza è utile solo a fini narrativi? Beh… il titolo di Gearbox non soffre di questo problema, ma di quello opposto, visto che i soldati che ci seguono farebbero invidia perfino al Dr. Mahnattan per quanto sono invincibili ed efficaci in battaglia. Per dire, in diverse occasioni mi è capitato di trovarmi in difficoltà nel bel mezzo di una scaramuccia tra xenomorfi e mercenari della Wayland-Yutani (eh sì… ci sono anche loro!) e ne sono venuto fuori semplicemente accucciandomi in un riparo nascosto e attendendo che i compagni facessero pulizia. Per carità… non si tratta di un sistema che funziona sempre e avere al proprio fianco soldati che non siano semplici automi è ottimo, in linea generale; tuttavia, la loro immortalità rompe tutto l’equilibrio, visto che non ci costringe a fornire un supporto incrociato, come invece loro fanno con noi.

L’Intelligenza Artificiale non proprio brillante affligge anche i nemici, che siano xenomorfi o mercenari poco importa. Sia i soldati della Wayland-Yutani, sia gli schifosissimi alieni, attaccano senza eccessivo uso della fantasia, con pattern predefiniti che possono essere comodamente interpretati anche dai videogiocatori meno abituati al genere al quale Aliens: Colonial Marines appartiene. Di contro, è altrettanto vero che non si assiste mai a gravi fenomeni di stupidità artificiale e che gli scontri a fuoco, tutto sommato, sono sufficientemente divertenti da reggere l’azione fino alla fine.

JONES? QUI, MICIO MICIO…
Questione armi. Nel gioco ne esistono di due tipi: quelle normali e quelle leggendarie. Se le prime vengono messe a nostra disposizione mano a mano che si prosegue nel gioco, le seconde richiedono un minimo di esplorazione per essere trovate e rappresentano il mezzo definitivo per la caccia all’alieno e al mercenario: i fucili di Hicks e Hudson, in particolare, sono davvero devastanti e in grado di eliminare i nemici con una certa precisione e velocità. L’unico limite imposto al loro uso riguarda la necessità di trovare le giuste munizioni, distinte da quelle per le armi normali da un colore dorato anziché grigio, ma non temete… restare a secco è davvero difficile, tanto che saranno pochi i momenti in cui ripiegherete su altre forme di offesa. C’è da dire che le armi non leggendarie hanno invero il pregio di poter essere potenziate: accumulando XP, difatti, il nostro Winter sale di livello e più permettersi di spendere un punto a ogni “ding” per acquistare accessori e potenziamenti.

Qui si fanno esperimenti interessanti. Che sia il caso di far saltare tutto per aria?

Come detto, una volta che un’arma è nostra, lo è per sempre: niente cap massimo a due e niente limitazioni nell’inventario, anche per quanto riguarda altri
oggetti come, ad esempio, le granate. Questo vantaggio si paga con la moneta della scomodità al momento in cui la selezione avviene attraverso un menu radiale che non mette in pausa l’azione e che, quindi, deve essere richiamato solo nei momenti tranquilli o quando ci si trova dietro un’adeguata copertura.

MULTIXENO
Al di là della campagna single player (che si porta a casa in una decina di ore, a livello di difficoltà normale), Aliens: Colonial Marines propone una sorta di campagna multiplayer, in cui accrescere ulteriormente il livello del nostro alter ego e sbloccargli così aggiornamenti ulteriori per le armi, oltre a perk sempre più potenti. Giocando online, peraltro, è possibile vestire i panni di tre tipi di xenomorfi, due dei quali dedicati esclusivamente al corpo a corpo, mentre il terzo (lo Splitter) ha la capacità di sputare acido da un chilometro di distanza. Per quel poco che ho potuto provare (i server erano pressoché deserti, a parte per qualche altro giornalista straniero) le modalità proposte sembrano abbastanza divertenti ed è stimolante prendere confidenza con le proprietà particolari degli alieni, anche se non ho idea di quanto a lungo ci si possa far entusiasmare dalla cosa, prima che subentri un’inevitabile dose di noia.

Invece, parlando di multiplayer, è molto più interessante l’opzione che permette di affrontare l’intera campagna del gioco in cooperativa, fino a un massimo di quattro giocatori in contemporanea. In questo caso, eliminare xenomorfi e mercenari è uno spasso non da poco e procura un godimento nettamente superiore rispetto a quanto faccia la storia qualora venga vissuta nell’amarezza della solitudine.

Bip… bip… bip, bipbipbipbip!

SULLA GRAFICA E ALTRI FATTI
Nel 2013 un gioco “tripla A” con uno sviluppo come quello che ha avuto Aliens: Colonial Marines non può presentarsi al mondo con carenze tecniche così evidenti. Sebbene gli sviluppatori siano riusciti a riproporre in modo convincente le atmosfere della saga cinematografica, dal punto di vista puramente grafico non si più soprassedere su texture spesso imbarazzanti e sulla legnosità costante delle animazioni in tutti i personaggi umani (gli xenomorfi, invece, un po’ si salvano dal disastro, anche se non c’è comunque da gridare al miracolo). Tanta pochezza è ancor più imperdonabile soprattutto considerando cosa sta uscendo in questo periodo: Crysis 3 e BioShock Infinite, ad esempio, si mangeranno sicuramente a colazione gli alieni di Gearbox in quanto a resa visiva. Per lo meno, Aliens: Colonial Marines ha il pregio di fare un buon uso del contrasto ombre/luci e riesce a girare bene anche su sistemi hardware non proprio recenti, mantenendo un frame rate costante e senza indecisioni.

Ultima nota negativa. Passi su console, ma il fatto che su PC non ci sia una funzione di Quick Save non è il massimo della vita, considerato anche il fatto che taluni checkpoint sono un po’ messi a pene di segugio e sembrano più essere stati posizionati tirando un dado in una serata a base alcolica, piuttosto che seguendo strette logiche di gameplay.