Perchè l'educazione siberiana di Salvatores non funziona al cinema

L’adattamento di Salvatores del romanzo di Lilin si dimostra per molti versi una delusione: capiamone il motivo

Mentre scorrono titoli di coda di Educazione siberiana, l’unico interrogativo che non trova risposta concerne i motivi per i quali Gabriele Salvatores abbia scelto di fare proprio questo film. Meglio dunque rompere il ghiaccio e spiegare il contesto. Educazione siberiana, prima che un film, è un caso editoriale. Copia più, copia meno, si parla di circa 100.000 copie vendute in uno dei paesi a più basso indice di lettori d’Europa (l’Italia). Poi delle 14 lingue in cui è stato tradotto. Un successo dell’autore – Nicolai Lilin – ma anche dei professionisti che lavorano alla casa editrice Einaudi, sicuramente molto complici nel conferire al libro un’alta capacità di suggestionare.

Educazione siberiana si guadagna una prima fetta di lettori grazie soprattutto ad una entusiastica recensione di Saviano (2009). Il resto lo deve soprattutto al comune passaparola. Di Lilin, che nel frattempo ha scritto altri tre libri ed è diventato collaboratore de L’Espresso e di Repubblica, si dibatte da anni sui giornali e in rete. Tutto verte intorno al grado di veridicità della storia raccontata: l’autobiografia romanzata di un ragazzo che si forma secondo le regole della comunità siberiana degli Urka, a loro volta parte del mondo “vory v zakone” (adepti del codice mafioso russo, tradotti da Lilin come “criminali onesti”).

Perché tanto accanimento? Sostanzialmente perché Educazione siberiana è una sorta di Romanzo criminale slavo-orientale: una storia piena di episodi al limite, nella quale un giovane fuorilegge condivide con il lettore/spettatore il suo punto di vista e i suoi codici. Veniamo quindi al punto. Qualunque cosa si pensi del libro di Lilin, una cosa è certa: è materiale filmico puro, qualcosa da prendere e da trasformare senza troppi complimenti in immagini forti. Lo stesso successo personale dell’autore – il fatto che le sue conferenze siano affollate di gente, che fuori dal suo studio di tatuatore ci sia la fila, che i giornali gli abbiano dedicato una miriade di servizi fotografici – parla implicitamente della voglia di dargli un volto e di indagarne la figura.

Bizzarri criminali russi coi denti bianchi

Ecco, il film di Salvatores passa tranquillamente sopra tutto questo. Non se ne cura. Più precisamente, lo asfalta. Prende la storia, la suddivide in una serie di richiami sparsi, ne espelle i lati controversi, e la trasforma essenzialmente in una vicenda d’amore. Non c’è che dire, la scelta è coraggiosa. Il fatto però è che sembra rompere un incantesimo senza crearne un altro. La vicenda del rapporto tra il protagonista e Xenja (la prima interprete femminile, la splendida Eleanor Tomlinson), che nel romanzo occupa uno spazio limitato e nel film diventa il centro di tutto, trascende fino a lasciare lo spettatore – in particolare quello che non ha letto il libro – particolarmente disorientato. Sull’altare di una trama che cambia significativamente i contenuti originari, viene dunque sacrificato lo scandire formativo della formazione criminale, cancellati i lati brutali (l’omofobia, il carcere, il senso marziale della giustizia, le crudeltà), marginalizzati i motivi di seduzione: la lama, le armi, il tatuaggio rituale, il bere il čifir, l’anti-occidentalismo, il banja (la sauna russa), ecc…

Questo vizio di fondo del film può contrariare o meno lo spettatore. Interpellato in merito, Lilin stesso ci ha dichiarato: “sono soddisfattissimo della trasposizione cinematografica del libro. Avendo collaborato, sento il film come mio […] La storia d’amore c’è anche all’interno del libro, solo che forse non si nota molto perché ho cercato di nasconderla. Ma c’è, c’è. Romanzo e film sono comunque due cose non paragonabili. Il film deriva dal romanzo ma non lo deve rispecchiare. Abbiamo creato una storia completamente diversa”.

De gustibus. Fatto sta che insieme alla siberiana educazione, non convince in molti punti anche la messa in scena. Un criminale siberiano con i denti bianchi come quelli di Malkovich (nonno Kuzja) è difficile da immaginare. Stessa cosa per un coprotagonista, l’attore lituano Vilius Tumalavičius, bravo nella parte ma troppo simile a Silvio Muccino per non pensarlo in vacanza a Santorini invece che in Transnistria. E poi il protagonista, Arnas Fedaravičius, così fisso nell’espressione che con qualsiasi fermo immagine si potrebbe stampare la stessa figurina.

Insomma, Educazione siberiana è un film che si lascia vedere. Se però si è in cerca di una storia che racconti la forza antiborghese dell’essere criminali, i riti iniziatici, l’antico senso di libertà di un’anima russa che non si piega né all’occidente capitalistico né a quello sovietico, è meglio cercare in libreria.

Maurizio Carta