Cartoline da Los Angeles – Speciale

Ho perso il conto delle volte che sono venuto da queste parti per presenziare all’E3, ma ogni anno ci sono cose di Los Angeles che mi stupiscono e mi colpiscono nel profondo. È una città dalle mille contraddizioni, quella che si affaccia sull’Oceano Pacifico e che resta in costante bilico tra la brezza oceanica e l’attesa del Big One, il temutissimo (da queste parti) mega-terremoto che trasformerà un pezzo di California in un’isola, prima o poi.

All’aeroporto, dopo il lungo viaggio che ha portato qui la truppa di GamesVillage.it, non mancavano aitanti giovani che recuperavano enormi surf al reparto bagagli eccezionali, pronti a lanciarsi sulle onde dalle parti di Santa Monica, laddove i messicani tengono fermi i teli da spiaggia con le calibro 45. Allo stesso modo, il controllo alla frontiera pullulava di gente venuta da queste parti alla ricerca spasmodica di qualche volto famoso, in una sorta di danza feticista che li porterà in questi giorni a stiparsi in piccoli e scomodi pulmini, fiamme fugaci tra le ville di Hollywood e la Sunset Boulevard.

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Sembrerebbe la città dell’opulenza e della gioia del sole, dove tutto è perfetto e il sogno americano è a un passo dalla realizzazione. Ma, come detto, le contraddizioni vanno a spasso a braccetto da queste parti, molto più che altrove. Davanti al Chinese Theatre, sulla Walk of Fame, stazionano personaggi improbabili, per lo più vestiti da eroi dei fumetti, speranzosi in qualche spicciolo in cambio di una foto. Dal Rock Cafè si nota un viavai di gente “pettinata”; poco fuori, tuttavia, seduto a terra c’è un mendicante che osserva con animo pietoso il suo carrello degli averi. Ricchezza e povertà, mano nella mano, in un contrasto impossibile da non scuotere chi non è abituato a queste cose.

Alzi gli occhi e ti accorgi che anche il profilo di Los Angeles si adegua. Un palazzo fatiscente, che sembra uscito dal peggior film di Spike Lee, è appoggiato a un altro di una trentina di piani, la cui intera facciata pubblicizza la prossima serie televisiva griffata HBO. Downtown, ovvero il centro città che ospita anche il Los Angeles Convention Center, nell’immaginario collettivo appare come il fulcro economico di una città pulsante, ma è un luogo dove di notte la gente si rintana negli edifici, come se un’orda zombie stesse per invadere le strade. Qui la povertà a livello strada è più evidente che altrove: dopotutto, di giorno ci passano i colletti bianchi, più propensi a mollare qualche moneta rispetto ai turisti che popolano le spiagge di Venice Beach. Eppure, l’aria dell’E3 spalma addosso a Downtown un’aria di modernità di plastica, che probabilmente sparirà tra qualche giorno, ma che ora riempie la vista con sontuose gigantografie dedicate a questo o a quel videogioco.

Invidiosi? Fate solo bene.
Invidiosi? Fate solo bene.

Un appassionato non può rimanere insensibile: c’è la sensazione che da queste parti il videogioco sia già un fatto culturale accettato, e non un affare per bimbiminkia. La prova è che, da queste parti, tutti sanno cos’è l’E3, che viene vissuto un po’ come la settimana della moda a Milano o il Festival del Cinema a Venezia. Parli con qualsiasi cameriera (infinitamente gnocca, sempre e comunque) e sa subito perché sei qui; scambi due chiacchiere con il portinaio dell’albergo che ti augura “buona fiera”, senza nemmeno che tu gli abbia detto perché stai visitando sua città. Evidentemente, ce l’abbiamo scritto in faccia il nostro essere un po’ nerd. Dopotutto, se al controllo passaporti eravamo in grado di riconoscerci tra giornalisti del settore (spagnoli, tedeschi, portoghesi o inglesi, poco importa), qualcosa vorrà pur dire. E che sia un buon E3 per tutti, anche per quei poveracci che passano le giornate seduti fuori dai locali, con un bicchiere semivuoto tra le gambe.