Alla Camera si parla di videogiochi violenti. Purtroppo. Lo scorso tre marzo, presso la VII Commissione Cultura, vicepresidente l’On. Ilaria Capua (che ha scritto la famosa lettera aperta al Presidente del Consiglio in merito alla questione videogiochi violenti), si è tenuta una “audizione informale della Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Agcom, la dottoressa Angela Nava Mambretti, sulla circolazione e sull’utilizzo da parte dei minori di videogiochi implicanti scene di violenza” (qui trovate il video completo).
Ci sono numerosi errori e imprecisioni (più o meno involontari, questo non è dato sapere) nell’intervento della dottoresa Nava, che è opportuno mettere in evidenza, perché forniscono un quadro scorretto e inesatto della realtà. E mi limito a riportare solo brevemente la sua opinione personale (che non condivido, ovviamente), secondo cui: “GTA V è la summa teologica del terrore“. Però ci dà un’idea del punto di partenza della discussione. In estrema sintesi:
Bugia n.1
Parlando di PEGI, la dottoressa afferma che: “AESVI si è data, secondo un input che direi europeo, una sorta di autoregolamentazione“.
Sbagliato. L’autoregolamentazione è a livello europeo, decisa dall’industria videoludica nel suo complesso, non da AESVI, che non ha seguito nessun input né si è data alcuna autoregolamentazione. La stessa AESVI riporta, sul suo sito, che “per garantire che il pubblico dei minori continui ad essere protetto nei confronti di possibili contenuti non adatti alla loro età, nel 2002 l’industria videoludica ha creato un sistema pan-europeo di classificazione dei giochi denominato PEGI che permette di identificare l’età consigliata e il contenuto del titolo acquistato“.
Bugia n.2
“Sul retro (della scatola) compare in modo non del tutto visibile” il bollino con l’indicazione dell’età“.
A smentire quanto detto, credo basti la seguente immagine:
La domanda che mi pongo, come cittadino, come giornalista, come genitore, è: prima di presentarsi di fronte a una Commissione parlamentare, la Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Agcom non si è neppure presa la briga di dare un’occhiata a ciò di cui va a parlare? Fossi nei panni dell’On. Capua, mi sentirei quantomeno offeso da tanta leggerezza.
Bugia n.3
“L’autoregolamentazione (il PEGI, ndr) si è tradotta in un consiglio – un po’ una foglia di fico che salva la coscienza del produttore ma non aiuta il consumatore”
E perché mai? L’indicazione PEGI è assolutamente cristallina. Dice chiaramente a chi vuol comprare GTA: se hai più di 18 anni va bene, se ne hai di meno no. Se vuoi giocare a Evolve, e hai più di 16 anni, OK. Altrimenti è meglio di no”. Non c’è nessun fico, e soprattutto nessuna foglia. È un “consiglio” solo perché non è legge, e non è legge perché l’industria videoludica non ha il potere di promulgarne alcuna.
Bugia n.4
C’è poi un azzardato paragone con i puzzle: secondo la dottoressa Nava, i genitori “non comprano al figlio che è molto sveglio un puzzle consigliato dai 3 anni in su“. E questo può essere vero. Però poi dice “il genitore, che vorremmo informato, interpreta quel 18 come ‘il mio bambino è molto bravo’, supera tutte le difficoltà quindi glielo posso prendere per 18“.
Ora, come il PEGI passi improvvisamente da indicazione di età consigliata per un videogioco a specifica del suo livello di difficoltà, è un passaggio che è chiaro solo a chi l’ha pronunciato. Al contrario, il PEGI stesso sul suo sito specifica espressamente che “la classificazione in base all’età non tiene conto del livello di difficoltà o delle abilità necessarie per utilizzare quel determinato gioco”. Possiamo spingerci a pensare che la dottoressa Nava non abbia neppure aperto il sito del PEGI? Sì, e la conferma arriva poco dopo.
Bugia n.5
“Quanto dice il PEGI è molto chiaro – ma non è riportato sul gioco“
Falso, di nuovo. Smaccatamente falso. In primis, il bollino con l’età consigliata è ben visibile, sulla copertina del gioco. In secondo luogo, il bollino è nuovamente riportato sul retro, insieme agli indicatori relativi ai contenuti del gioco (violenza, linguaggio ecc.).
Bugia n.6
La dottoressa dice di riportare le indicazioni del PEGI circa il bollino 18: “il gioco adatto alla maggiore età implica la descrizione di scene di violenza molto realistiche, a volte così pesanti da indurre sentimenti di disgusto e repulsione – è il codice che lo dice – per violenza si intende non solo la presenza di ferite, morte, ma anche l’eventuale la presenza di immagini e rumori che possano alterare il normale stato psicologico della persona provocando sensazioni di paura, angoscia o stress; è inoltre presente una quantità di sangue che spesso si può modificare od annullare grazie a delle opzioni. Il linguaggio può essere estremamente volgare, le scene di sesso possono avere connotazioni esplicite così come l’uso di sostanze stupefacenti“.
Questa NON è la descrizione della classificazione 18 del PEGI, ma quella riportata sulla pagina italiana di Wikipedia.
La descrizione del PEGI, quella vera, si trova sul sito italiano, e dice che “la classificazione per soli adulti si applica quando la violenza raggiunge un livello tale da diventare rappresentazione di violenza grave e/o da includere elementi di tipi specifici di violenza. La violenza grave è molto difficile da definire in quanto può spesso essere molto soggettiva, ma in termini generali la si può classificare come la rappresentazione di un tipo di violenza che farebbe provare a chi la vede un sentimento di repulsione. I descrittori presenti sul retro della confezione indicano i motivi principali per cui un gioco è stato classificato in un determinato modo. Vi sono otto descrittori: violenza, linguaggio scurrile, paura, droga, sesso, discriminazione, gioco d’azzardo e gioco on line con altre persone”.
Se cercavate conferma del fatto che la dottoressa Nava non ha mai aperto il sito del PEGI, eccola qui.
Bugia n.7
“Chi produce contenuti deve prendersi la responsabilità di dichiarare per quale fascia d’età è il suo prodotto“
Che è esattamente quel che tutti i produttori di videogiochi fanno con il PEGI. E quindi? Di cosa abbiamo parlato fino a questo momento?
La dottoressa conclude l’intervento proponendo due cose, una delle quali mi trova – come sapete – perfettamente d’accordo: “una campagna di sensibilizzazione è assolutamente imprescindibile, che la responsabilità di un genitore arriva se c’è un’adeguata informazione“. E qui abbiamo già speso tante parole, che sarebbe anche ora di passare a qualche fatto.
Poi, scansando l’idea di rendere obbligatorio il PEGI per legge, lancia la peggior proposta possibile per regolamentare la vendita di giochi violenti, ossia “una proposta di legge sull’autocertificazione. Il produttore dichiara per quale fascia d’età – ci può essere un comitato, che valuta anche ex post per quali fasce, e ci possono essere delle sanzioni. Credo che sia una strada che il mondo anglosassone ci indica, una delle vie d’uscita da una situazione d’empasse a sbranarci sul ‘caso’“.
La peggiore delle ipotesi possibili, tutta tipicamente italiana: creare un ALTRO organo che valuti i contenuti di un gioco, ne decida la fascia di età adatta, e ne regolamenti la vendita. Ex post, nientemeno! Quindi GTA V per PC, che in tutto il mondo esce il 14 aprile 2015, in Italia rischia di uscire chissà quanto, tipo il settordici ottembre del 2016 perché la commissione deve avere il tempo di valutarne i contenuti (ex post, ribadisco, quindi dopo che è stato pubblicato) e decidere per quale fascia d’età metterlo in commercio. Perché mica si vorrà metterlo in commercio senza una adeguata classificazione del nuovo organo istituito per l’occasione! Non sia mai. Chissà come saranno contenti i produttori di videogiochi. Il mercato italiano è già messo male di suo, lo sappiamo bene: questa alzata d’ingegno ne rappresenterebbe solo la mazzata definitiva.
Se si vuole fare uno sforzo normativo (a cui io sono favorevole, come ho detto in più occasioni), mi domando, è davvero troppo complicato prendere il PEGI così com’è, e obbligare i commercianti rispettarne le indicazioni? Non costa nulla, non si creano nuove poltrone, comitati e commissioni da pagare. Il sistema già c’è, funziona. Perché dobbiamo inventarci di nuovo tutto da capo? Oltretutto senza le competenze (e questo mi pare evidente) per poter valutare correttamente un prodotto? Se queste persone non si sono neppure prese la briga di GUARDARE per due secondi la scatola di un gioco prima di definirlo “la summa teologica di tutto il terrore” e sono convinte che il bollino del PEGI sia un minuscolo riquadretto infognato in qualche punto nascosto della confezione, si rischia davvero di partire con il piede sbagliato.
Forse, e lo dico con amarezza e delusione, la VII Commissione Cultura avrebbe bisogno di trovare altri interlocutori. Qualcuno che di queste cose ne sappia davvero. Qualcuno di AESVI, per esempio. O dello stesso PEGI. Gente che il mondo dei videogiochi lo bazzica da decenni, e un pochettino meglio della dottoressa Nava lo conosce, e ne può parlare in maniera più seria e competente. Però, ed è qui la delusione maggiore, l’On. Capua sa benissimo che questi interlocutori esistono. L’ho contattata personalmente, via email e al telefono, nei giorni scorsi, proprio per parlare di queste cose, e sa perfettamente che ci sono persone interessate a che questo discorso venga portato avanti in maniera intelligente e costruttiva. Mi chiedo se la cosa le interessi davvero.
Su un punto la dottoressa Nava ha ragione: che è assolutamente imprescindibile una campagna di sensibilizzazione, di informazione per i genitori e le famiglie, che la responsabilità educativa passa anche dalla conoscenza di un problema che molti – sbagliando – trascurano, che occorre dare ai genitori (e non solo a loro) gli strumenti per capire meglio i videogiochi. Su questo ha ragione da vendere. Purtroppo, in mezzo alla marea di castronerie e di – perdonate la franchezza – ignoranza sull’argomento, anche le cose giuste si perdono.
Bonus track
C’è poi un lungo intervento di una ricercatrice del Censis che parla delle conseguenze dei videogiochi violenti, su cui non voglio soffermarmi troppo, ma comunque ricco di perle illuminanti, come il fatto che “esiste una produzione scientifica internazionale immensa sugli effetti dei contenuti violenti: migliaia, migliaia e migliaia di studi“. Pensate che “gli Stati Uniti fanno un’enciclopedia in più volumi che raccoglie i risultati di questi studi. La comunità scientifica concorda sull’impatto dei contenuti violenti, che avrebbero un effetto imitativo per quanto riguarda la fascia dei bambini maschi di bassa età e fascia sociale più bassa, ed effetti a medio e lungo termine sulla mentalità, sul modo di vedere il mondo, che da una parte produce de-sensibilizzazione, dall’altra parte produce paura rispetto al mondo che viene avvertito come luogo pericoloso. questi due effetti – antitetici – sono anche il prodotto di tanti altri fattori (personalità, contesto in cui si vive, sistema di relazioni).
“Chi dice che non hanno effetti di alcun genere, o non sono competenti in materia, o mentono sapendo di mentire”.
“I genitori 35-50enni che hanno i bambini piccoli magari si comprano i giochi con contenuti molto violenti, per giocare loro stessi, e non si rendono conto che magari il bambino se lo trova per casa e può giocarci. Questa cosa non va bene, però è così“.
Per quest’ultima frase basterebbe semplicemente chiedere alla signora del Censis se ha in casa qualche film non adatto ai minori. Senza andare lontano, eh, Arancia Meccanica. Pulp Fiction. Qualche pellicola di Tinto Brass. E la chiuderemmo facilmente qui.